lunedì 30 settembre 2019

PAPA FRANCESCO ISTITUISCE LA DOMENICA DELLA PAROLA DI DIO

CITTÀ DEL VATICANO , 30 settembre, 2019 / 12:05 AM (ACI Stampa).- 

Da oggi in poi, la Terza Domenica del Tempo Ordinario sarà la Domenica della Parola di Dio. Lo stabilisce Papa Francesco, con il motu proprio Aperuit Illis, pubblicato oggi dalla Sala Stampa della Santa Sede. Si tratta di una iniziativa che nasce direttamente dall’Anno Santo Straordinario della Misericordia, con lo scopo di rimettere la Parola di Dio al centro della vita della Chiesa.
La scelta della III domenica del Tempo Ordinario non è casuale: segna anche l’inizio della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani, e dunque, scrive Papa Francesco, la giornata “verrà a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani”. E questo perché “celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, poiché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida”.
Papa Francesco dà libertà alle singole comunità di trovare un modo per celebrare quella domenica in modo solenne, dando qualche suggerimento. I vescovi, per esempio, possono celebrare in quella domenica il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, i parroci potranno consegnare la Bibbia, o un libro della Bibbia, “in modo da far emergere l’importanza di continuare nella vita quotidiana la lettura, l’approfondimento e la preghiera con la Sacra Scrittura, con particolare riferimento alla Lectio Divina.
Per sottolineare l’importanza della Parola di Dio, Papa Francesco fa riferimento alla Costituzione conciliare Dei Verbum, al Sinodo del 2008 sulla parola di Dio voluto da Benedetto XVI, al passo biblico del ritorno da Babilonia che viene marcato dalla lettura del Libro della Legge, accompagnata dalla commozione e dal pianto del popolo, invitato a non rattristarsi perché “la gioia del Signore è la nostra forza”.
Parole, dicono, che “contengono un grande insegnamento”, dato che “la Bibbia non può essere solo un patrimonio di alcuni e tanto meno una raccolta di libri per pochi privilegiati”, ma appartiene “al popolo convocato per ascoltarla e riconoscersi in quella parola”, mentre “spesso si verificano tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad alcuni circoli o a gruppi prescelti”.
Papa Francesco sottolinea che la Bibbia è “il libro del popolo del Signore”, e l’ascolto della Bibbia porta il popolo a passare “dalla dispersione e la divisione all’unità”. Compito dei pastori è quello di “spiegare e permettere a tutti di comprendere la Sacra Scrittura”, con una particolare attenzione all’omelia, che spesso “è l’unica occasione” per i fedeli di “cogliere la bellezza della Parola di Dio e vederla riferita alla vita quotidiana”. Per questo, Papa Francesco chiede ai predicatori di non “dilungarsi oltre misura con omelie saccenti o argomenti estranei”. Impegno che dà anche i catechisti.
Papa Francesco poi ricorda che la Bibbia “non è una raccolta di libri di storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della persona”, e questo non va dimenticato, nonostante tutto ha un rimando storico. La Bibbia, nota Papa Francesco, è composta “come storia di salvezza in cui Dio parla e agisce per andare in contro a tutti gli uomini e salvarli dal male e dalla morte”.
Il Papa afferma che l’azione dello Spirito Santo opera in coloro che sono formati alla parola, ma anche in coloro che ascoltano, e quindi è “riduttivo limitare l’azione dello Spirito Santo solo alla natura divinamente ispirata della Sacra Scrittura e ai suoi diversi autori”.
Papa Francesco mette anche in guardia dal rischio di “separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione”.
Per Papa Francesco, “quando la Sacra Scrittura è letta nello stesso Spirito con cui è stata scritta “rimane sempre nuova”. Il Papa si spinge a dire che la Scrittura “svolge la sua azione profetica anzitutto nei confronti di chi l’ascolta”.
Il Papa nota che “la dolcezza della parola di Dio ci spinge a parteciparla a quanti incontriamo nella nostra vita”, ma allo stesso tempo c’è amarezza nel “verificare quanto difficile diventi per noi doverla vivere con coerenza”.
La Scrittura provoca anche alla carità, un richiamo “costante” della Parola di Dio, e per questo “la Parola di Dio è in grado di aprire i nostri occhi per permetterci di uscire dall’individualismo che conduce all’asfissia e alla sterilità mentre spalanca la strada della condivisione e della solidarietà”.
Papa Francesco fa infine riferimento all’esperienza della Trasfigurazione, che richiama alla festa delle capanne in cui veniva letto il testo Sacro al popolo di ritorno dall’esilio, e sottolinea l’importanza dell’accompagnamento di Maria nell’ascolto, perché la sua Beatitudine “precede tutte le beatitudini pronunciate da Gesù per i poveri, gli afflitti, i miti, i pacificatori e coloro che sono perseguitati, perché è la condizione necessaria per qualsiasi altra beatitudine.




domenica 29 settembre 2019

GIOVANI: DEPRESSIONE IN AGGUATO ! PERDITA DI SONNO E ABUSO TECNOLOGICO PROVOCANO GRAVI DANNI

Aumentati in 10 anni tra i giovani 
i disturbi mentali
 come ansia e depressione

Il loro cervello più vulnerabile alle nuove tecnologie e alla carenza di sonno

 In crescita tra i giovanissimi i disturbi mentali, come ansia e depressione.
 Lo rivela una ricerca pubblicata sul Journal of Abnormal Psychology secondo cui nelle altre classi di età nello stesso periodo non si è invece riscontrato un trend in crescita.
 Lo studio è stato condotto da Jean Twenge, autrice del libro "iGen" e docente di psicologia presso la San Diego State University; ha coinvolto oltre 200.000 adolescenti di 12-17 anni tra 2005 e 2017, e quasi 400.000 adulti di 18 anni o più per un periodo che va da 2008 a 2017.
 Il tasso di individui che hanno riferito sintomi depressivi è aumentato del 52% negli adolescenti tra 2005 e 2017 (passando dall'8,7% al 13,2% dei teenager) e del 63% tra i giovani adulti di 18-25 anni tra 2009 e 2017 (passando dall'8,1% al 13,2%). C'è stato anche un aumento del 71% dei giovani adulti che hanno lamentato forte stress (dal 7,7 al 13,1%) e del 43% del tasso di giovani che hanno dichiarato di pensare al suicidio (dal 7 al 10,3% dei giovani).
    "Lo studio - spiega all'ANSA Graziano Pinna, neuroscienziato della University of Illinois a Chicago - suggerisce che condizionamenti culturali (come l'abuso tecnologico e la carenza di sonno che ne deriva) possono avere effetti devastanti sul cervello in via di sviluppo dei teenager. I disturbi mentali possono sfociare proprio dall'incapacità del cervello di adattarsi alla velocità dei cambiamenti imposti dallo sviluppo tecnologico e dai nuovi trend culturali". 
"Il problema ha dimensioni pandemiche - afferma - e sarà necessario sviluppare interventi mirati e capire meglio come la comunicazione digitale favorisca i disturbi dell'umore o addirittura l'ideazione al suicidio".
 Bisogna reintrodurre i tradizionali canali di socializzazione faccia-faccia limitando l'uso degli smartphone, evitando che interferiscano con il sonno, preziosissimo per il cervello in sviluppo dei giovani (e non solo!), conclude Pinna. No quindi a telefoni o tablet in camera da letto durante la notte e spegnerli almeno un'ora prima di andare a letto".(ANSA)



GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO







sabato 28 settembre 2019

NON SAREBBERO PERSUASI NEANCHE SE UNO RISORGESSE DAI MORTI !

Nel 
(Lc 16, 19-31) 
Gesù racconta la parabola di Lazzaro e del ricco epulone

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».  

Commento di don Fabio Rosini, biblista
La nostra epoca è segnata dall’evoluzione tecnologica, con indubbie conseguenze positive, ma anche con gravi ripercussioni antropologiche. I bambini che crescono attaccati agli schermi dei tablet o degli smartphone subiscono, dicono gli studi, la repressione della funzione simbolica. In parole povere: avendo una massiccia fruizione di immagini – come mai è successo nella storia umana – non immaginano “in proprio” ma vengono asfaltati dalle immagini che ricevono. È un esempio, fra molti, di atrofizzazione.
Questo grave tema vien fatto presente nel Vangelo di questa domenica, dove c’è un uomo, il ricco epulone, «che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti» senza rendersi conto di dove questa serie di soddisfazioni lo stiano portando. Anche noi, se iperalimentati di appagamenti, perdiamo consapevolezza delle conseguenze: il comfort, il piacere e l’estetica, ci possono rendere ciechi e sordi. La storia del povero Lazzaro è quella di qualcuno che vive circondato di persone che non lo vedono, i cui sensi non funzionano.
È notevole il particolare, solo apparentemente insulso, dei cani che vanno a leccare le ferite: è l’atto della cura, che gli animali hanno intrapreso per questo povero ammasso di carne dolorante ignorata dagli uomini, ai quali i banchetti e la porpora hanno tolto l’umanità, i cani li superano in sensibilità… La prima lettura della liturgia di questa domenica è un brano di Amos che parla di “spensierati” – in ebraico il termine vuol dire “privi di problemi” – la cui orgia finisce male. Un tempo c’era l’infelice definizione di “scemi di guerra” – persone in condizione menomata a conseguenza dei traumi bellici. Oggi abbiamo gli “scemi di pace”, un esercito di persone, principalmente giovani e giovanissimi, privi di solidità per atrofizzazione da intontimento conseguente a benessere. È interessante la parola “imbecille”, che in sé deriva dal termine “imbelle”, ossia colui che non sa combattere.
L’ARTE DEL DISCERNIMENTO
Non si tratta di riproporre un assurdo machismo, ma di capire dove portano le cose. Fra i primi rudimenti dell’arte del discernimento c’è la domanda: se faccio, penso, scelgo questo o quello, dove mi porterà? «Ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento » dice il ricco, dal suo esito infernale, al padre Abramo, per i suoi fratelli che camminano anch’essi per la strada dell’appagamento che porta all’autodistruzione.
Abramo risponde: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti». È una risposta tragica: se i sensi non funzionano, non funzionano e basta. Neanche se appare Cristo risorto. Perché i sensi riprendano a funzionare bisogna usarli, de-atrofizzarli. La croce, il dolore e le scomodità spesso Dio ce li manda proprio perché apriamo gli occhi, riprendiamo ad ascoltare e torniamo in noi stessi. Così capiamo dove stiamo andando a finire, e cambiamo strada.




venerdì 27 settembre 2019

LA MERAVIGLIA... una preziosa risorsa da coltivare ogni giorno


"Meravigliarsi di tutto è il primo passo della ragione verso la scoperta".

Usando questo motto come una sorta di emblema per la sua ricerca, il celebre scienziato francese Louis Pasteur (1822-1895) riuscì a gettare le basi della moderna microbiologia e immunologia. 
Così è avvenuto anche per tanti altri studiosi che hanno conservato, accanto al rigore della loro razionalità, la freschezza della loro capacità di stupirsi di fronte alle sorprese dell’essere e dell’esistenza. È, questa, una dote che è necessaria anche per la fede e per l’amore. Credere è entrare in un orizzonte ave la ragione è necessaria ma non sufficiente. Devi capire ma al tempo stesso scoprire percorsi inattesi che ti conducono verso mete mai scontate e sempre aperte a nuovi territori dello spirito.

Similmente quando si ama, non si può ridurre tutto a un programma o a un calcolo. C’è sempre l’imprevisto, anche amaro e lacerante, ma c’è pure la sorpresa piena di luce, di gioia, di bellezza. La nostra vita acquista un sapore diverso quando si diventa capaci di rimanere affascinati davanti alla bellezza, di sostare a contemplare un paesaggio, di stare in ascolto di una musica. C’è una frase molto significativa e suggestiva dello scrittore inglese Chesterton: «Il mondo perirà non per mancanza di meraviglie, ma per mancanza di meraviglia». La brutalità del capo chino soltanto su interessi immediati, sulle banalità o sulle cose da possedere spegne non solo la poesia ma la stessa vita dell’anima.

Testo tratto da: G. Ravasi, Breviario laico, Mondadori




mercoledì 25 settembre 2019

COME SALVARE LA TERRA E VIVERE FELICI

L’alfabeto verde 
di Papa Francesco

In libreria il saggio di Franca Giansoldati dedicato alla potenza profetica dell’Enciclica Laudato si', corredato da una nota introduttiva del Papa e dalla prefazione del cardinale Angelo Becciu.

 di Roberta Gisotti – Città del Vaticano

“Un decalogo da adottare per un cammino collettivo, consapevole e illuminato”. E’ lo stesso Papa Francesco, nell’introduzione al libro della vaticanista Franca Giansoldati, a cogliere lo scopo divulgativo di questa pubblicazione “per invertire la corsa verso il baratro” e “incamminarci, tutti, mano nella mano, in una direzione di salvezza”.
La crisi ecologica non è un’esagerazione
R. “La famiglia umana – scrive il Papa - nella sua interezza è in pericolo e non è più tempo di aspettare o rimandare. La crisi ecologica, specialmente il cambiamento climatico, non è un’esagerazione o la fantasia di qualcuno che si diverte a destabilizzare. Le analisi scientifiche sono state ignorate per troppo tempo, giudicate con un certo disprezzo e persino talvolta con ironia”.
Sempre più frequenti fenomeni estremi
“In tutto il pianeta – ammonisce Francesco - sono sempre più frequenti fenomeni climatici estremi e devastanti. Difficile non accorgersi che l’incremento delle temperature dei mari, lo scioglimento dei ghiacci, l’accumulo di vapore acqueo nell’atmosfera, gli uragani o le alluvioni causano a loro volta altre tragedie collaterali, spingendo intere popolazioni, milioni e milioni di persone, a cercare una via di fuga alternativa per vivere. Come si fa a negare che un elemento non sia collegato all’altro?”
E' ingiusto che le colpe ricadano sui giovani
R. E’ giusto poi – chiede il Papa – che siano le nuove generazioni “a dover pagare il costo dell’irresponsabilità della generazione di chi li ha preceduti?” I giovani “ormai hanno compreso che erediteranno un mondo piuttosto rovinato”. “È giusto che debbano farsi carico dei danni provocati da un sistema” dove “la transizione energetica e la tutela della Casa Comune non sembrano essere prioritari, e cedono il passo agli interessi di una pratica economica e finanziaria piuttosto fiacca e ostile all’idea di riformare se stessa?”
Passi concreti per rimettere in sesto il Pianeta
R. “Non servirebbe allora, da parte di tutti, - sollecita Francesco - un costante impegno a lavorare con uno spirito nuovo, al fine di promuovere passi concreti per rimettere in sesto il pianeta? Abbiamo enormi responsabilità e di questo sfacelo Dio un giorno ci chiederà conto”, ammonisce il Papa, auspicando “una rivoluzione dal basso che parta dalle scelte quotidiane, dal momento in cui si va a fare la spesa al momento in cui si investono i propri risparmi, per esempio orientandoli verso banche etiche, rispettose degli equilibri solidali”. “È tempo  conclude la nota di Papa Francesco - che i cristiani inizino davvero a fare rete, a pensare in modo collettivo, sapendo che qualsiasi scelta, anche la più piccola, fa la differenza e che assieme, uniti, si possono cambiare le cose e invertire la rotta che porta alla distruzione della Casa Comune”.
Difendere l’ambiente per difendere l’uomo
R. “Oggi la questione ecologica - spiega nella prefazione al libro, il cardinale Angelo Becciu - è percepita da molti come un problema sociale emergente, una vera ‘chiave’ dell’intera questione sociale. Il Creato sostiene l’umanità generata in senso globale, compresa la vita, la famiglia, il lavoro, lo sviluppo e la povertà, la sua cura perciò ha a che fare con la tutela della vita dell’uomo; questa è la visione cristiana dell’ecologia. Non si può difendere l’ambiente naturale senza difendere contemporaneamente quello umano. La terra è innanzitutto dimora dell’uomo, è umana dimora nella quale l’uomo non è l’intruso bensì l’unica presenza consapevole e perciò responsabile” e “deve fare buon uso del suo sapere e potere”.
Una bussola per i cristiani il futuro
Per questo, aggiunge il porporato   “la conversione ecologica, chiamata ecologia ‘integrale, si concretizza e si pratica nella vita ordinaria, da parte di tutti, anche nei gesti più semplici e nei comportamenti quotidiani, che sfuggono all’attenzione dei media e riguardano il decoro urbano, il rispetto per le opere di interesse storico-artistico, la convivenza civile, la partecipazione alla vita ecclesiale, i buoni rapporti di vicinato, la qualità delle relazioni umane, la solidarietà con le necessità degli altri”. In questo senso conclude il cardinale Becciu “La Laudato si’ sarà la bussola per i cristiani del futuro”.
Le parole chiave della Laudato si’ spiegate a tutti
Il libro, edito San Paolo, racchiude ed esplicita in 128 pagine le parole ‘chiave’ dell’Enciclica ‘verde’, per procedere in un percorso ad ostacoli, che sta però rivelando anche vittorie inaspettate, come conviene l’autrice, la vaticanista Franca Giansoldati, premettendo l’intento divulgativo del saggio.
R. – Questo libro nasce esclusivamente con l’intento divulgativo. Sono stati scritti bellissimi libri teologici, bellissimi libri molto molto più profondi sulla “Laudato si’. Questo libro nasce chiacchierando con i figli di mie amiche, che mi chiedevano appunto del Papa, del suo cammino ‘verde’, e io tutte le volte cercavo di spiegare un pezzetto della Laudato si’. E alla fine mi è venuta l’idea di renderla veramente fruibile, anche ai ragazzi ed a chi non è vicino agli ambienti parrocchiali o della Chiesa, di andare anche un po’ oltre, ai confini di chi magari non ha mai preso in mano un’enciclica.
Che cosa ti ha appassionato, da cittadina del mondo?
R. – E’ una storia che da lontano, perché del bisogno di un’enciclica ‘verde’, che poi è un’enciclica sociale, se ne parlava già tanto ai tempi di Papa Wojtyla. Io ricordo che all’inizio, era a metà degli anni Novanta, ne parlavo con l’allora cardinale Silvestrini: ero andata a trovarlo per fargli un’intervista. Fu lì che mi colpì quello che mi disse, e cioè che c’erano tanti interventi dei Papi – a cominciare da Paolo VI – che però erano tutti slegati; quello che mancava era un quadro d’insieme. E poi qui arriviamo a Papa Francesco, che ha scritto un’enciclica – la Laudato si’ – che è bellissima ed è importante perché si rivolge non solo alla Chiesa o al mondo cattolico o ai fedeli, ma va oltre; ed è questa la sua freschezza, la novità. E’ che sostanzialmente chiede a chiunque abbia a cuore il futuro dei propri figli di guardare oltre, di capire che c’è bisogno di una rivoluzione, anche interiore, per arrivare a un mondo meno distrutto e meno distruttivo. Basta guardarci attorno per capire che c’è qualcosa che sta effettivamente cambiando e che sta cambiando anche la nostra vita e per forza di cose la cambierà anche ai nostri figli. Ci sono quindi delle novità in negativo che noi non possiamo non vedere, non possiamo non affrontare.
Sono passati quattro anni dalla pubblicazione della Laudato si’, nel 2015, e si sono avuti già dei riscontri positivi, forse inaspettati, pensiamo al fenomeno Greta e alla mobilitazione dei ragazzi, ma anche alla più grande popolarità di discorsi sull’ambiente, anche a livello personale, prima relegati in ambiti più ristretti.
R. – Uno dei risultati più belli che in questo periodo vedo è che c’è l’allarme di quelli che negano
ogni cambiamento climatico; l’allarme di quelli che sostengono: “questa è un’isteria collettiva”. Menomale che esiste un’isteria collettiva! Perché veramente l’orizzonte comune non è proprio bello, né rassicurante. Ed è bellissima anche questa mobilitazione delle nuove generazioni. La mia generazione, che è cavallo degli anni ’60/’70, farà comunque ben poco; saranno i nostri figli a portarla avanti. Perché loro, effettivamente, sono cresciuti e crescono nell’idea che non tutto è infinito. Noi siamo cresciuti con l’idea che le risorse fossero infinite, che lo stesso sviluppo fosse immenso, non avesse limiti. E questo ovviamente è un paradigma che cambia. Quindi, è bellissimo vedere questi ragazzi che prendono coscienza del proprio futuro. Io spero che non si arrivi a uno scontro quasi generazionale, perché comunque la partita che si sta giocando è una partita che riguarda tutti. Ormai ci sono tutti i maggiori e autorevoli centri scientifici che sono concordi nel dire che il ruolo fondamentale dell’equilibrio naturale è da ripristinare, da controllare, da affrontare. Anche politicamente, anche con delle misure politiche di cui al momento se ne vedono poche.

 Giansoldati, L'ALFABETO VERDE DI PAPA FRANCESCO, ed.San Paolo, 2019, pagg 128. € 15




martedì 24 settembre 2019

LA GEOGRAFIA SERVE ANCORA?

La geografia è la materia più sottovalutata a scuola. 

Ma ci insegna a capire il mondo.

-  di Silvia Granziero  -  

In occasione di uno dei Fridays for Future di febbraio, i docenti del Regno Unito si sono uniti agli studenti in sciopero per chiedere una riforma che dia più peso al tema del cambiamento climatico nei programmi scolastici. Mentre le linee guida del governo britannico affermano che gli studenti devono ricevere dallo studio delle scienze a scuola la nozione dell’“evidenza e dell’incertezza del contributo dell’uomo al cambiamento climatico”, queste affermazioni generiche si traducono nei fatti in qualche accenno veloce, stretto tra le scadenze dell’anno scolastico. Troppo poco per le generazioni di ragazzi che crescono nella consapevolezza dell’emergenza ambientale e dell’impatto che avrà sulla loro vita futura.
La geografia in quanto studio dei luoghi fisici e della relazione delle popolazioni con l’ambiente in cui abitano, potrebbe dare una grossa mano per sensibilizzare sulla minaccia del cambiamento climatico. Lo sottolinea Steve Brace, responsabile del settore Educazione della Royal Geographical Society, che ha scritto: “Combinando lo studio del mondo fisico e di quello umano, la geografia fornisce un contesto unico per studiare come il clima sta cambiando e come dobbiamo adattarci per mitigare i suoi effetti”.
Eppure in materia dilaga l’ignoranza a livello globale, se è vero che, come emerso da un’indagine del National Geographic, ai tempi della seconda guerra del Golfo, il 63% degli americani tra i 18 e i 24 anni non sapeva collocare l’Iraq su un planisfero e il 50% nemmeno lo Stato di New York. Il 30% sovrastimava il peso demografico globale degli Stati Uniti e il 74% la diffusione della lingua inglese. John Fahey, Ceo di National Geographic, ha commentato i risultati: “Eppure la conoscenza geografica è ciò che ci permette di legare persone, luoghi ed eventi. È così che diamo senso al mondo”.
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Le Indicazioni per il curricolo del primo ciclo di istruzione rilasciate nel 2007 dal ministero dell’Istruzione italiano affermano che “Fare geografia a scuola vuol dire formare cittadini italiani e del mondo consapevoli, autonomi, responsabili e critici, che sappiano convivere con il loro ambiente e sappiano modificarlo in modo creativo e sostenibile, guardando al futuro”. La dichiarazione di intenti ministeriale è però contraddetta dalla sua applicazione pratica: la riforma Gelmini ha diminuito le ore dedicate alla materia nelle scuole elementari e medie, mentre nei licei le due ore settimanali nel biennio sono diventate tre ore di geostoria, un accorpamento che di fatto porta a dedicare un’ora e mezza all’una e un’ora e mezza all’altra materia. Negli istituti tecnici, ad eccezione dell’indirizzo turistico, è scomparsa e lo stesso avviene negli istituti professionali. Ormai ultima ruota del carro nella scuola – motivo per cui sono pochi i docenti specializzati – la geografia non se la cava benissimo neanche a livello universitario, con appena 350 tra ricercatori e professori ordinari.
Cesare Emanuel, docente dell’Università del Piemonte Orientale, ha però fatto notare un aumento negli ultimi anni degli iscritti al corso di studi in geografia, per la sua peculiarità di saper mettere in luce problematiche che singoli campi di studio scientifici specializzati non possono cogliere. Per questo ha sottolineato l’urgenza di un cambiamento nella didattica, che parta da escursioni e studi sul campo per dare un’educazione più organica del mondo. Questo è l’obiettivo primario della moderna geografia, come sottolineato da Michael Palin, già attore e presentatore di documentari, poi presidente della Royal Geographic Society, che ha detto: “Il mondo è oggi molto più accessibile e credo che sia estremamente importante che noi comprendiamo il mondo e perché i Paesi sono dove sono, perché vivono come vivono, cosa producono e cos’è il clima”. In un’epoca come la nostra, in cui non esistono più terre da scoprire, e dunque l’esplorazione non può più avvenire in estensione, la geografia la porta avanti in profondità, provando a conoscere meglio quello che si è già scoperto. Nell’epoca di Google Maps e di Wikipedia la geografia non è più fatta (solo) di mappe e libri su cui imparare le capitali, ma è sempre più una disciplina di sintesi, per avere un’idea del mondo su più livelli, come sostiene il meteorologo Luca Mercalli.
La geografia non si limita alla lettura delle mappe, ma affronta temi attuali che spaziano dal cambiamento climatico alle guerre: questa disciplina serve per coordinare le strutture di soccorso in caso di calamità, ma anche per comprendere il fenomeno dei rifugiati, da dove vengono e perché, dove vanno e come si integreranno nel Paese di destinazione. La geografia è fondamentale per gestire la crescita demografica delle città, causa e insieme soluzione per risolvere i danni all’ambiente: affiancata a altre discipline come la demografia, l’economia e l’architettura, deve occuparsi della distribuzione della popolazione nei centri urbani, del suo consumo di risorse, delle diseguaglianze sociali in rapporto al territorio e degli spostamenti dei suoi abitanti.
Anche se nel 2016 il presidente Barack Obama dichiarava che quella americana fosse la più forte e durevole economia a livello mondiale, molti cittadini statunitensi hanno confermato votando per Donald Trump nelle ultime elezioni presidenziali di avere una percezione completamente diversa del Paese in cui vivono. I più importanti giornali americani hanno sede sulla East Coast e questo fa sì che i temi che riguardano più da vicino le comunità rurali e le cittadine colpite da disoccupazione e disagio sociale siano sottorappresentate nel programma mediatico quotidiano; lo stesso vale per le aziende della Silicon Valley, concentrate sulla costa opposta: i loro investimenti e le tecnologie che sviluppano distano anni luce dalla vita quotidiana della maggior parte degli Stati centrali e dai problemi che devono affrontare, creando una grave spaccatura nella società statunitense. Sarah Kendzior su Quartz.com ha scritto, a proposito della distribuzione geografica di élite e masse, “Il lavoro è diventato meno un indicatore di dove stai andando e più del luogo da cui vieni, influenzato da elementi come le tue radici geografiche, lo status sociale della tua famiglia e l’ammontare di denaro che ti serve per trasferirti altrove”.
La scarsa rilevanza data alla geografia è ancora più assurda e controproducente in un Paese come l’Italia, la cui economia ha due pilastri nella produzione agroalimentare e nel turismo, entrambi connessi al territorio. I territori del variegato panorama fisico italiano sono una buona fonte di reddito – secondo la Banca d’Italia, nel 2018 i turisti stranieri hanno speso in Italia 41,5 miliardi di euro, in crescita rispetto ai 39,2 miliardi del 2017 – e potrebbero esserlo anche di più se valorizzati a dovere, nel rispetto delle peculiarità fisiche, naturali e dell’economia locale.



domenica 22 settembre 2019

OLTRE TREMILA VOCABOLI ITALIANI RISCHIANO L'ESTINZIONE

Le parole che non ti ho detto:

Il dizionario Zingarelli promuove una campagna 

per arricchire il lessico... 

tutto inizia con un trifoglio

Alterco, boria, assorto, laconico, adombrarsi, recalcitrare, leccornia… 
queste e altre 3.119 parole sono a rischio estinzione
Per questo, la nuova edizione del dizionario Zingarelli, riporterà accanto a esse un trifoglio, un invito grafico a utilizzarle più spesso. Secondo Mario Cannella, lessicografo, sono soprattutto i giovani che dovrebbero approfondire il significato di questi lemmi e farli propri, in modo che la nostra lingua non si impoverisca.
Già da tempo sul dizionario sono presenti parole contrassegnate da una croce, che le identifica come arcaiche e desuete, ma “quelle le ha già salvate Dante”, sostiene Cannella a Il Giorno. 
Il nuovo metodo del trifoglio permette, dunque, di non dimenticare un nuovo gruppo di termini “più fragili che rischiano di essere abbandonati”. 
Secondo il lessicografo, questa perdita sarebbe un vero peccato, perché “dietro ogni parola c’è una storia”. “Con laconico, ad esempio, si sfoglia la storia antica. La Laconia era una regione di Sparta e per tradizione gli spartani, a differenza degli ateniesi, parlano poco”.
L’iniziativa non si ferma al vocabolario, l’invito infatti è rivolto anche ai principali capoluoghi italiani. A Milano ad esempio, nella settimana della moda, il marchio MSGM ha dedicato una collezione a questo tema, scrivendo sui capi lemmi a rischio come impavido, impetuoso, vivido, illogico e radioso. In altre città invece sarà proposta un’installazione-vocabolario con un monitor touchscreen che presenterà a rotazione 5 delle 3.126 parole da salvare.

Se da un lato rischia di impoverirsi, dall’altro la nostra lingua si arricchisce. “Si possono prendere in considerazione diverse categorie, - continua Cannella - per esempio nascono nuove parole nel campo dei diritti. Avremo così il biodiritto, di cui si sta discutendo molto, e il cisgender, per il quale il sesso biologico coincide con l’identità di genere”. 
Non mancano poi gli anglicismi, che però non devono essere temuti: "La nostra lingua è saldissima, ha radici profonde ed è ricchissima di sfumature nel bene e nel male. 
L’italiano ha saputo mantenere negli anni la ricchezza della parola, che adesso è tutta da rilanciare".

da TG COM 24




sabato 21 settembre 2019

AMMINISTRATORI FEDELI E INTRAPRENDENTI

Anche il denaro va sottomesso all’amore

Non potete servire Dio e la ricchezza.

Dal Vangelo secondo Luca    - Lc 16, 1-13
 In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:  
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.  
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
 Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
 Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
 Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
 Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
 Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».


 Commento di don Fabio Rosini

Il testo evangelico di questa domenica ha torturato l’immaginazione di molti commentatori, nei secoli, con le più disparate interpretazioni. Vi si racconta di un amministratore che usa male dei beni del suo padrone, e di quest’ultimo che lo convoca chiedendo conto dell’amministrazione e comunicandogli che il tempo del suo servizio è finito. Questo è un paradigma della nostra esistenza: la vita è una chiamata di Dio a ricevere tanti doni, a essere benedetti con talenti e qualità, e interpellati a prenderci cura delle persone che ci sono state affidate.
Tutte queste cose sono ricchezze che appartengono a Dio. Siamo solo i custodi. Un giorno ci verrà chiesto di rendere conto di come abbiamo gestito i nostri doni. Forse non dovremo rispondere del mondo intero, ma delle cose che ci sono state date personalmente, certamente sì! Ma al cospetto del Padre chi reggerebbe il confronto? Dice il De Profundis: «Se consideri le colpe, Signore, chi potrà sussistere?» (Sal 130,3).
Nel nostro testo l’amministratore chiamato al redde rationem riconosce di non avere la forza di procurarsi soluzioni: «Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno». Allora succede una cosa curiosa: decide di amministrare in modo sorprendente la chiusura dei conti e si mette a ridurre i debiti degli altri.
E – sorpresa! – il padrone lo loda. Ha capito come doveva amministrare i beni del padrone, era proprio così che si doveva fare. Noi rimaniamo perplessi, a meno che non focalizziamo che questi beni – essendo del nostro Padrone, del Padre di Gesù Cristo e nostro – si amministrano bene solo così: rimettendo i debiti. «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati » (Gv 20,22-23). E così impariamo che tutto ciò che ci dona la Provvidenza, soprattutto il Dono dei doni che è lo Spirito Santo, serve per amare, per usare misericordia, per rimettere i peccati. L’amministratore trova lode nel padrone quando usa i beni del padrone per ridurre i debiti. Per usare misericordia. Si vede che prima non faceva così. Solo i beni usati per amore sono usati veramente.
NELLE DIMORE ETERNE
Allora si capiscono le parole di Gesù: «Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne». Nelle dimore eterne si entra perché si è usata carità verso le persone utilizzando  secondo amore quel che possediamo, perché ogni ricchezza che abbiamo in realtà non è nostra, ma di Dio. Il Catechismo della Chiesa Cattolica dice: «La proprietà di un bene fa di colui che lo possiede un amministratore della provvidenza » (n. 2404).
O ci si pone nella condizione di amministratori responsabili dei beni di questo mondo, o si vive da padroni delle cose. Ogni singolo atto di carità richiede oblatività, generosità. Per amare bisogna disobbedire al possesso. «Non potete servire Dio e la ricchezza». No, proprio non si può. Se servire Dio è amare, allora il denaro va sottomesso all’amore. Questa è buona amministrazione.







venerdì 20 settembre 2019

CAMBIAMENTI CLIMATICI. AL VIA LA SETTIMANA DI MOBILITAZIONE

Al via la manifestazione globale per il clima. 
Strade gremite dall’Australia all’Indonesia. Oggi  cortei in 150 paesi ma la mobilitazione clou è prevista a New York dove sarà l’attivista ragazzina Greta Thunberg a guidare oltre un milione di studenti. Tutti giustificati a saltare la scuola considerata la buona causa per l’ambiente.
Il servizio di Federico Plotti

giovedì 19 settembre 2019

ASPETTANDO I BARBARI ... CONTRO LA PAURA E L'IGNORANZA

Senza barbari

 che sarà di noi?

Secondo il latinista Dionigi, la capacità di includere popoli e culture fu la vera forza della civiltà romana


di IVANO DIONIGI*

Siamo testimoni di un cambiamento d’epoca che ci consegna un mondo ametrico, senza misura, nel quale non trovano più casa le nostre identità consolidate e rassicuranti.        Oltre alla ormai conclamata rivoluzione tecnologica, che ci prospetta un uomo competitivo con la macchina, combinato con la macchina, aumentato dalla macchina e minacciato dalla macchina, assistiamo a un’altra rivoluzione: quella sociale dell’immigrazione, che decreta l’eclissi della centralità dell’Europa e del primato dell’Occidente, quasi a ricondurci umilmente alle ragioni della sua etimologia di 'mondo destinato al tramonto'.
Questa rivoluzione ha il volto e il nome dei nuovi popoli che fuggono da guerra, fame, persecuzione e chiedono giustizia. Impauriti e smarriti, come davanti a un bivio senza segnaletica, ci chiediamo quale strada prendere, quale insegnamento seguire, quale maestro adottare.
Un’indicazione, anzi una vera e propria lezione illuminante, ci viene dalla Roma classica e segnatamente da una circostanza raccontata da Tacito (Annali 11, 24, 1-4). È l’anno 48 d. C.: ai senatori che, in una sorta di grido 'prima i Romani', pretendono che i seggi vacanti vengano riservati a- gli indigeni e ai residenti e non ai transalpini, l’imperatore Claudio ricorda che, secondo l’esempio degli antenati, «a Roma va trasferito quanto vi è di eccellente altrove », che in passato furono chiamati a far parte del Senato cittadini provenienti da tutte le province, e che Spartani e Ateniesi rovinarono perché «respinsero i vinti come stranieri (alienigeni)». Per Claudio bisognava, piuttosto, prendere esempio dal padre Romolo che «ebbe tanta saggezza da trasformare i nemici (hostes) in cittadini (cives)». Quello stesso Romolo che, come racconta Livio (1, 8 sg.), non solo costruisce mura più grandi del necessario «in previsione di una popolazione futura numerosa» ( in spem futurae multitudinis), ma offre anche un asilo ( asylum), vale dire un luogo 'inviolabile', alle popolazioni vicine, senza distinzione fra liberi e schiavi ( sine discrimine liber an servus esset). Anche la leggenda del ratto delle Sabine rispondeva all’intento di mescolare sangue e stirpe ( sanguinem et genus miscere).
Nel segno di questa eterogeneità va anche il racconto dei sette re, in una alternanza etnica fra Romani, Sabini, Etruschi. Si comprende, da questi antefatti, come la storia di Roma andrà letta come un inarrestabile processo di inclusione, che parte dall’asilo di Romolo e arriva alla Constitutio Antoniniana, l’editto del 212 d. C. con cui l’imperatore Caracalla estende la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero. I Romani volevano essere più numerosi per essere più potenti. Opposta, e per questo fallimentare, la politica dei Greci, i quali hanno alzato un muro tra chi è dentro e chi è fuori: «Il barbaro deve obbedire al greco, perché loro sono schiavi e noi siamo uomini liberi», dichiara l’Ifigenia di Euripide.
All’inclusione politica, si aggiunge quella culturale: celeberrimo il motto oraziano secondo il quale Roma ha conquistato la Grecia con le armi, ma la Grecia ha conquistato Roma con le arti (Epistole 2, 1, 56 Graecia capta ferum victorem cepit). E all’inclusione culturale, si aggiunge quella religiosa: dotati di una vera e propria virtus religiosa, come riconosce Minucio Felice (Ottavio 6, 2 sg.), uno dei primi scrittori cristiani (IIIII sec. d. C.), i conquistatori romani «cercano gli dèi stranieri e li fanno propri» ( deos quaerunt et suos faciunt), configurando un Pantheon meticcio e multietnico. Roma ci ha educati alla cultura dell’et et, non dell’aut aut. Per questo, con Rémi Brague, è da ritenere che più che la tradizione ellenica o ebraica sia la Romanità - intesa come attitudine a ricevere, trasmettere e assimilare - il modello di quell’arcipelago culturale che si chiama Europa.
A nobilitare questa molteplice virtus romana, politica, culturale e religiosa, sarà il messaggio universalistico e umanitario di Seneca, il quale - oltre a constatare (
La consolazione alla madre Elvia 6, 4 sgg.) che nelle città e nei luoghi più dispersi e disparati «ci sono più forestieri ( peregrini) che indigeni ( cives) » e che «tutto risulta da mescolanza e innesti» ( permixta omnia et insiticia sunt) - enuncia ( Lettera 95, 51 sgg.) un triplice comandamento di sorprendente consonanza evangelica: «porgere la mano al naufrago» ( naufrago manum porrigere), «indicare la via a chi è smarrito» ( erranti viam monstrare), «dividere il pane con l’affamato» ( cum esuriente panem dividere).
È, questo, il messaggio di un pagano che dovrebbe fare riflettere e arrossire i tantissimi cattolici avversi agli immigrati. Lo stesso Seneca ricorderà che l’auctor dell’Impero, Enea, è un esule ( exul) e un profugo ( profugus) venuto dal mare.
Roma, dunque, modello di politica umanitaria? Certamente no. Sappiamo bene che accanto all’utopia della 'città eterna' c’era la storia con la maledizione della guerra e la ferocia delle legioni; che antecedente e parallela a quella cristiana c’era «una resistenza spirituale contro Roma » (Harold Fuchs) da parte dei vinti che non accettavano soprusi e violenze; che l’imperium e la pax, profetizzati da Anchise ad Enea, per i popoli sottomessi erano propaganda politica e addirittura mistificazione linguistica («I Romani il depredare, il massacrare, il rapinare con falsi nomi li chiamano impero, e là dove fanno il deserto lo chiamano pace», farà dire Tacito nell’Agricola a un oppositore): al punto che Simone Weil individuerà proprio nella Roma imperiale le radici dell’hitlerismo.
Non modello di humanitas o di pietas, ma di realpolitik e di un grande disegno politico: Roma è stata la più potente ed è durata a lungo perché non ha alzato muri tra sé e gli altri, perché ha tenuto dentro lo straniero e 'il barbaro'. A noi la rivoluzione cristiana e la rivoluzione illuministica hanno consegnato il grande messaggio di essere fratelli: più forte che essere consanguinei, più impegnativo che essere cittadini, più nobile che essere uomini. Se non riusciamo ad apprendere questa lezione, ascoltiamo almeno quella di Roma: là dove non arrivano virtù e convinzione, giustizia e humanitas, dovrebbero supplire e soccorrerci il calcolo e la lungimiranza della politica, il realismo e la convenienza, vale a dire la consapevolezza che loro, 'i barbari', possono essere la soluzione dei nostri problemi, la via della nostra sopravvivenza, la direzione del nostro destino.
Lo aveva ben intuito Costantino Kavafis: «Che aspettiamo, raccolti nella piazza? / Oggi arrivano i barbari. / … / Perché d’un tratto questo smarrimento / ansioso? (I volti come si son fatti serî!) / Perché rapidamente e strade e piazze / si svuotano, e ritornano tutti a casa perplessi? / S’è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. / Taluni sono giunti dai confini, / han detto che di barbari non ce ne sono più. / E adesso, senza barbari, cosa sarà di noi? / Era una soluzione, quella gente» ( Aspettando i barbari).

Sintesi della relazione tenuta al Convegno "Pordenonelegge"

*Ivano Dionigi, latinista, presidente di Alma Laurea e della Pontificia Accademia di Latinità, già Rettore dell’Università di Bologna

Da AVVENIRE – www.avvenire.it

Ivano Dionigi, OSA SAPERE, CONTRO LA PAURA E L’IGNORANZA, ed. Solferino, pag. 90, € 7,90