Leone XIV
e gli sviluppi estremi
del capitalismo
Troppo pochi, fino ad ora, sono gli elementi per fare
una valutazione di ciò che sarà questo pontificato, e l’esperienza
dell’assordante battage mediatico di ipotesi infondate, di
false previsioni, di fake news che ha preceduto l’elezione del
nuovo papa dovrebbe metterci in guardia dalla pretesa di indovinare che cosa
farà e dirà Leone XIV.
Per limitarci a parlare di ciò che effettivamente ha fatto e
detto, possiamo cominciare dal nome che si è scelto e dalla spiegazione che ne
ha dato. Parlando ai cardinali, Prevost lo ha collegato al fatto che l’ultimo
papa a portarlo – Leone XIII – si era trovato a fronteggiare una svolta
epocale com’era la rivoluzione industriale, col conseguente avvento del
capitalismo.
Oggi, ha osservato, la Chiesa è chiamata a «rispondere
a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza
artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana,
della giustizia e del lavoro».
Vale la pena di ricordare brevemente la pagina di storia a
cui il papa si riferiva. Alla fine del Settecento e nel corso dell’Ottocento
l’irrompere delle macchine aveva capovolto il rapporto tra i lavoratori e i
loro strumenti, riducendo i primi a meri inservienti dei secondi.
Ne era conseguita la riduzione degli operai ad ingranaggi del
sistema industriale e il loro sistematico sfruttamento da parte del
capitalista, interessato ad avere il massimo profitto mantenendo bassi i
salari. Da qui condizioni di vita miserevoli delle masse, a fronte
dell’arricchimento sfrenato di una minoranza.
Inevitabile lo svilupparsi di una protesta che aveva trovato
la propria più efficace espressione teorica e pratica nel socialismo di Karl
Marx e Friedrich Engels. In tutto questo il ruolo della Chiesa – salvo qualche
isolata eccezione – era stato piuttosto quello di pilastro portante del sistema
borghese che non di voce profetica alternativa ad esso.
E in effetti il marxismo – col suo dichiarato ateismo e il
suo attacco alla religione, col suo implicito o esplicito materialismo, con la
sua proposta di una radicale abolizione della proprietà dei mezzi di produzione
e la conseguente mortificazione degli spazi di autonomia e di creatività
dei singoli – non favoriva certo l’adesione dei credenti.
Si deve a papa Leone XIII lo sforzo di valorizzare le
esigenze di giustizia e di umanità che stavano dietro queste teorie estreme e
di riscoprire nella tradizione cristiana gli elementi per proporre una visione
alternativa al marxismo e al tempo stesso fortemente critica nei confronti
del capitalismo liberale.
Renum Novarum
Nacque così, nel 1891, la prima enciclica sociale della
Chiesa, la «Rerum Novarum», che, contro il collettivismo socialista,
rivendicava il valore della proprietà come garanzia dell’autonomia della
persona rispetto alla collettività, ma – sulla scia di quanto insegnavano già i
padri della Chiesa – ne vedeva il significato non nell’interesse privato, ma
nella sua funzione sociale.
Centrale in questa prospettiva è l’idea che la terra e i beni
di questo mondo sono dati da Dio a tutti e che chi ne ha il possesso non solo
deve utilizzarli al servizio del bene comune, ma è rigorosamente tenuto a
condividerli con chi si trova in una estrema necessità.
Sulle orme di Leone XIII
E su questa linea si sono pronunziati unanimemente, dopo
Leone XIII, tutti i papi, senza tacere le conseguenze potenzialmente
rivoluzionarie di questa concezione, che molti esponenti del giornalismo e
della politica di destra oggi denunzierebbero indignati come un cedimento
inaccettabile al “comunismo”.
Emblematici due passaggi di un’enciclica del Paolo VI,
la Populorum progressio, del 1967, dove, citando un autorevole
padre della Chiesa, il papa scriveva: «“Non è del tuo avere, afferma
sant’Ambrogio, che tu fai dono al povero; tu non fai che rendergli ciò che gli
appartiene. Poiché è quel che è dato in comune per l’uso di tutti, ciò che tu
ti annetti. La terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”. È come dire
che la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e
assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera
il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario» (n.23)
Applicando questi princìpi al nuovo orizzonte planetario, nel
testo si dice anche: «Una cosa va ribadita di nuovo: il superfluo dei paesi
ricchi deve servire ai paesi poveri. La regola che valeva un tempo in favore
dei più vicini deve essere applicata oggi alla totalità dei bisognosi del
mondo» (n.49).
In un’enciclica pubblicata in occasione del centenario
dalla Rerum Novarum, il 1 maggio 1991, e intitolata perciò Centesimus
annus, Giovanni Paolo II, ne rivendicava la piena attualità: «Si può ancora
oggi, come al tempo della Rerum Novarum parlare di uno
sfruttamento inumano. Nonostante i grandi mutamenti avvenuti nelle società più
avanzate, le carenze umane del capitalismo, col conseguente dominio delle cose
sugli uomini, sono tutt’altro che scomparse» (n.33).
E precisava: «È inaccettabile l’affermazione che la sconfitta
del cosiddetto “socialismo reale” lasci il capitalismo come unico modello di
organizzazione economica» (n.35).
Trump e la fase estrema del capitalismo
Questa l’eredità che il nome scelto da papa Leone XIV
inevitabilmente evoca. Per non cadere nel gioco perverso delle previsioni,
diciamo subito che non possiamo sapere se e in che modo egli la
valorizzerà.
Quel che è certo, è che mai come in questo momento storico
appare appropriato e urgente il richiamo a questa visione
alternativa. Perché davvero, come ha colto bene il nuovo
pontefice, oggi gli ultimi sviluppi del capitalismo «comportano nuove
sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro». E
nessuno meglio di lui, che ha trascorso venti anni in uno dei paesi più poveri
del Sudamerica, è in grado di cogliere la dimensione planetaria di queste
sfide.
L’emblema degli sviluppi estremi di cui parliamo è la linea
del nuovo presidente degli Stati Uniti. Una delle prime decisioni del nuovo
inquilino della Casa Bianca, dopo il suo insediamento, è stata quella di
sospendere tutti i programmi di assistenza all’estero.
E in effetti, poco dopo, il governo americano ha tagliato il
92% dei fondi destinati all’UsAid (Agenzia statunitense per lo sviluppo
internazionale) – 58 miliardi di dollari – in massima parte destinati programmi
alimentari salvavita, una misura che il Programma alimentale mondiale (PAM) ha
definito «una condanna a morte» per milioni di persone affamate. Non meno gravi
gli effetti sul piano sanitario, visto che quel denaro serviva a curare molte
persone malate.
È una svolta. Da un capitalismo “misericordioso”, che si
sforzava di compensare le forme esplicite o implicite di sfruttamento dei
più deboli con forme di assistenza, si sta passando ora, con il nuovo inquilino
della Casa Bianca, a quello che, in nome dello slogan «America first»,
“Prima l’America”, considera gli interessi – innanzi tutto economici – degli
Stati Uniti il principale criterio delle scelte anche politiche.
In questa logica è stato possibile che il presidente dello
Stato a cui si sono rivolte, come a un punto di riferimento, tutte le
democrazie occidentali, abbia potuto annunciare tranquillamente il suo piano di
deportare dalla loro terra due milioni e mezzo di palestinesi, per costruire
sulle macerie un resort turistico: «Penso che lo trasformeremo in un posto
internazionale, bellissimo». «Sarà la rivière del Medio
Oriente».
Nella stessa logica, mentre a Gaza quotidianamente decine di
donne e bambini vengono uccisi dall’esercito israeliano col pretesto di colpire
i terroristi di Hamas, ma col motivo reale – e ormai
dichiarato ufficialmente da Netanyahu – di costringerli ad andarsene
(«liberamente», si precisa), Trump ha fatto in questi giorni un viaggio in
Medio Oriente, insieme alla sua corte di magnati miliardari, con l’esplicito
intento di concludere affari vantaggiosi, per cifre astronomiche, con
califfi ed emiri arabi.
Facendo coincidere, secondo tutti gli osservatori, due
dimensioni che strutturalmente erano e avrebbero dovuto rimanere distinte,
quella della politica e quella dell’economia, dove la prima appare ormai
totalmente asservita alla seconda.
Il capitalismo era già prima di Trump agli antipodi della
concezione sociale proposta nella Rerum Novarum, ma ora
precipita in un parossismo che ne estremizza la disumanità, rinunziando anche
al pudore che prima velava le sue logiche. Si dirà che in questo modo è più
sincero.
Ma chi si vergogna di quello che fa rivela di avere una
coscienza per cui continua ad accettare che ci siano criteri etici, anche se li
viola. Quello che colpisce nel tycoon americano è l’apparente scomparsa,
appunto, della coscienza.
Sulle orme di Trump
Peraltro la sua linea, che fino a pochi anni fa sarebbe
stata considerata insopportabilmente cinica, viene oggi salutata
come “realistica” da molti. Emblematico il caso del nostro governo, che non
perde occasione per confermare la sua stima e la sua fiducia nei confronti di
Trump, e la cui premier si è detta recentemente «orgogliosa» di aver un
«rapporto privilegiato» con lui.
Del resto, pur se in modalità diverse, la logica del
capitalismo progredisce sempre più anche nel nostro paese. Un esempio
significativo – centrale nell’insegnamento sociale della Chiesa – è quello
della retribuzione del lavoro.
Nella Rerum Novarum si insiste sulla
necessità che al lavoratore venga garantito un salario adeguato. «Se costui,
costretto dalla necessità o per timore di peggio, accetta patti più duri i
quali, perché imposti dal proprietario o dall’imprenditore, volenti o nolenti debbono
essere accettati, è chiaro che subisce una violenza, contro la quale la
giustizia protesta» (n.34). E si sottolinea che «è stretto dovere dello Stato
prendersi la dovuta cura del benessere degli operai (…) osservando con
inviolabile imparzialità la giustizia cosiddetta distributiva» (n. 27).
Nel suo discorso del 1 maggio, il presidente della
Repubblica, Mattarella (espressione del mondo cattolico precedente la Seconda
Repubblica), citando rapporti ufficiali dall’Organizzazione Internazionale del
Lavoro (Ilo e dell’Istat, ha denunciato con forza e chiarezza: «I salari reali
troppo bassi sono una grande questione, le famiglie sono in difficoltà: a marzo
2025 sono dell’8% inferiori rispetto a quelli di gennaio 2021».
Ricchi e poveri in Italia
L’Italia non è un paese povero. Secondo le statistiche più
aggiornate, i miliardari italiani sono 74, cifra che colloca il nostro
Paese al settimo posto al mondo. Ma ci sono anche 457 mila
milionari, e la ricchezza finanziaria italiana è in crescita costante.
Il nostro sistema produttivo funziona discretamente. Sono i
salari a diminuire. Non quelli nominali, che anzi crescono, ma quelli reali,
calcolati in rapporto all’inflazione. E, se si guarda a un lasso di tempo più
lungo di quello di cui parlava Mattarella, le statistiche dicono che il nostro
paese registra il peggiore risultato rispetto all’intero gruppo del G20: dal
2008 a oggi, i salari reali sono diminuiti dell’8,7%, un dato che pone l’Italia
in fondo alla classifica globale.
È evidente che si verifica uno scarto tra il mantenimento o
l’aumento dei profitti dei datori di lavoro e i loro dipendenti. Col
conseguente impoverimento di questi ultimi.
«Di questo», secondo Leone XIII, «è stretto dovere dello
Stato prendersi la dovuta cura». Quanto siamo lontani da questa preoccupazione
lo dice il fatto che, il fenomeno non viene neppure
riconosciuto. Ventiquattrore dopo la denunzia del presidente della
Repubblica, la nostra premier in un video – il mezzo di comunicazione da lei
preferito – ha detto l’esatto contrario: «I salari reali crescono in
controtendenza rispetto al passato».
Anche in Italia, dunque, il processo per cui i ricchi
diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri sembra non trovare
freni da parte delle autorità politiche.
Il capitalismo si avvia a forme estreme, che forse rendono
necessario un nuovo deciso intervento della Chiesa, come ai tempi di Leone
XIII. Non sappiamo se il nuovo papa lo farà. Ma il nome che si è scelto e la
sua esperienza passata, a cavallo tra in Nord ricco e il Sud povero
dell’America, ci permette di sperarlo.
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