che Francesco gli ha affidato nel 2023.
«La mia vocazione è annunciare il Vangelo là dove uno si trova»
In Conclave era entrato con la nomea del meno statunitense tra i cardinali Usa. Una definizione quasi paradossale ma che fa capire bene come Robert Francis Prevost sia lontano dalle divisioni, alimentate dai media, tra conservatori e progressisti o, meglio, oggi tra avversari e sostenitori del presidente Donald Trump.
Il nuovo Pontefice, infatti è comunemente conosciuto come
uomo del dialogo, capace di ascolto e di mediazione. Una caratteristica
che ben si addice al ruolo, prestigioso e delicato, di prefetto del Dicastero
per i vescovi che papa Francesco gli ha affidato nel gennaio 2023. A
guidarlo la consapevolezza che i compiti di vertice vadano vissuti nel segno
del servizio, a Dio e agli altri.
L’autorità che abbiamo, disse alla vigilia della sua
creazione a cardinale, «è per servire, accompagnare i sacerdoti, per essere
pastori e maestri. Spesso ci siamo preoccupati di insegnare la dottrina, il
modo di vivere la nostra fede, ma rischiamo di dimenticarci che il nostro primo
compito insegnare ciò che significa conoscere Gesù Cristo e testimoniare la
nostra vicinanza con il Signore». Un
compito che lungi dall’annacquarsi deve invece rafforzarsi a mano a mano che si
sale nella gerarchia ecclesiastica.
Emblematico, in
questo senso, l’indirizzo di saluto che Prevost rivolse a papa Francesco a nome dei nuovi porporati durante
il Concistoro del 30 settembre 2023. «Non possiamo nascondere la consapevolezza
del peso di questo nuovo servizio – disse il neo cardinale Prevost nell’occasione -. Sappiamo che una carica
porta con sé un carico, ciò che i latini sintetizzavano con l’espressione
«Honos habet onus», ogni onore comporta un peso, per dirlo con sant’Agostino:
«Magis onus est quam honor» (serm. 355). Chi lavora manualmente sa, che per
portare un peso in sicurezza è meglio non alzarlo troppo da terra, da
quell’humus che ci porta all’origine di ciò che è fondamentale per ogni
discepolo di Cristo: l’umiltà.
Questo compito – aggiunse Prevost - è allora una chiamata
all’umiltà; è Cristo che ci interpella
attraverso la sua persona, Santo Padre, e cogliamo l’occasione per implorare
con maggior impegno l’assistenza dello Spirito Santo di Dio, per servire se
fosse necessario, usque ad effusionem sanguinis (fino all’effusione del sangue)».
E a rendere ancora più evidente questo impegno a rinunciare a sé stesso per
dare spazio al Vangelo c’è il costante richiamo agli anni trascorsi in Perù,
nelle missioni agostiniane, svolgendo anche il compito di vescovo. «Io mi
considero ancora missionario» ha ribadito più volte Prevost, sottolineando come sia artificiosa la divisione
tra azione pastorale ad gentes e incarichi di governo.
«La mia vocazione come quella di ogni cristiano è l’essere
missionario, annunciare il Vangelo là dove uno si trova – ha spiegato il 4
maggio 2023 in un’intervista all’Osservatore Romano -. Certamente la mia vita è
molto cambiata: ho la possibilità di servire il Santo Padre, di servire la
Chiesa oggi, qui, dalla Curia romana. Una missione molto diversa da quella di
prima ma anche una nuova opportunità di vivere una dimensione della mia vita
che semplicemente è stata sempre rispondere “sì” quando ti chiedono un
servizio. Con questo spirito ho concluso la mia missione in Perú, dopo otto
anni e mezzo come vescovo e quasi vent’anni come missionario, per incominciarne
una nuova a Roma».
Alla luce di questo profilo si capisce molto bene la scelta,
fatta da papa Francesco, di affidare a Prevost la presidenza della Pontificia Commissione per
l’America Latina. Un incarico che per sua natura evidenzia anche l’aspetto più
popolare delle fede, quello legato alla devozione semplice, che percorre le
strade del mondo lasciando a parlare il cuore. Il neo Pontefice l’ha conosciuta
da vicino e fatta propria nei vent’anni peruviani. Quel lungo tratto di
vita papa Prevost l’ha vissuto su sollecitazione
dell’Ordine agostiniano di cui fa parte, nel segno del vescovo di Ippona che ne
ha ispirato la sequela di Cristo. È risultato evidente all’inaugurazione del
Capitolo Generale del 2013 quando priore generale uscente, accolse la visita
di papa Francesco.
Nel suo saluto di benvenuto risuonò con forza la vocazione a
un cammino condiviso di tutte le componenti della Chiesa. Per evidenziarlo Prevost si rifece a un sermone di sant’Agostino, il
306 B: « … se per dei compagni di viaggio è motivo di reciproca gioia fare
insieme il cammino, quale gioia non avranno nella patria! Lungo questo cammino
i testimoni (martyres) lottarono e avanzarono sempre nella lotta, nel procedere
non si arrestarono mai. Infatti, quanti amano, vanno sempre avanti … e la via
che noi percorriamo vuole dei viandanti». Ma questo stile di cammino, questa
vocazione, presuppone la scelta di guardare avanti. «Essa detesta – scrive sant’Agostino
- tre categorie di uomini: chi si ferma, chi torna indietro, chi devia. Con
l’aiuto del Signore, il nostro andare sia protetto e difeso contro queste tre
categorie negative. Ora, in realtà facendo insieme il cammino, uno va più a
rilento, un altro si affretta; tuttavia vanno avanti entrambi». Dove la
sottolineatura centrale è al “fare insieme”, come non potrà che essere la
comunità al seguito e con il nuovo Papa.
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