SCUOLA/ “Carattere”, valutazione, più autonomia: facciamone un circolo virtuoso
di Letizia Stefani
L’esperienza pandemica e la Dad hanno
drasticamente messo in evidenza quanto sia fondamentale il contatto umano nel
percorso educativo, quanto l’educazione sia un “incontro di personalità”.
Quanto l’interazione con il gruppo sia determinante per i ragazzi nella
costruzione della propria identità. Quanto occorra avere dei maestri che siano
a fianco degli studenti, non di fronte o dietro uno schermo. Quanto al centro
del progetto formativo di una scuola occorra mettere la persona del discente,
perché la sua capacità di apprendimento dipende non solo dalla qualità dei
saperi trasmessi, ma anche dalle caratteristiche specifiche di ognuno.
La proposta di legge sulle “competenze non cognitive”, approvata dalla
Camera l’11 gennaio, va in questa direzione. Non vuole “snaturare” la scuola o
addestrare il carattere degli allievi per omologarli ad uno standard umano
prefissato da una “nuova ideologia educativa”, ma mettere al centro la persona, che diventa competente
quando mobilita le sue risorse, arriva ad una scelta, ad una decisione, quando
si mette in azione. È il riconoscimento del “valore assoluto” della persona del
discente.
Preme sottolineare che nell’ultimo mezzo
secolo l’azione educativa della scuola è stata spesso ridotta a training, a far
acquisire al discente competenze profittevoli, immediatamente spendibili o, a
lungo termine, economicamente produttive. Tuttavia, le trasformazioni avvenute
nel mondo della produzione hanno sempre più indicato alla scuola che l’impresa
ha oggi la necessità di mettere in campo una più oculata attenzione verso la
formazione del “capitale umano”, la cui qualità è determinata dalle non cognitive skills.
Oggi, infatti, il mondo delle imprese ha
bisogno di persone con nuove hard e soft skills, che siano capaci di coniugare know how
tecnologico e tecnico specifico insieme a un’adeguata capacità di lettura della
complessità in cui siamo immersi, alla capacità di lavorare insieme, in modo
flessibile, creativo, per obiettivi produttivi e di sviluppo, attenendosi alle
regole in modo coscienzioso, pianificando e classificando per ordine di
importanza i compiti attribuiti. Come vari studi hanno avuto modo di
dimostrare, le non cognitive skills, risorse di
tipo psico-sociale, tratti di personalità, diventano determinanti per il 75-85%
per una positiva e costruttiva esperienza lavorativa, mentre le competenze
tecniche si attestano al 15-25%.
Se poi si considera che oltre la metà dei
ragazzi frequentanti oggi la scuola svolgerà un mestiere che non è stato ancora
inventato o che è solo a largo spettro definibile, è evidente che occorrerà fin
da subito dar forma ad un’azione didattica che sviluppi quelle risorse
psico-sociali, quelle abilità e quegli atteggiamenti che sono alla base di un
approccio efficace con la realtà, nei suoi aspetti conoscitivi e relazionali,
oltre ad essere tratti educabili e potenziabili, soprattutto durante
l’esperienza scolastica dei ragazzi.
Rilevante è, nella legge approvata dalla
Camera, l’entità dei fondi previsti per la formazione dei docenti, in entrata e
in servizio, e per la sperimentazione, aperta a scuole di ogni ordine e grado
del sistema scolastico nazionale, comprese le paritarie: basterà presentare una
propria proposta progettuale alla Commissione ministeriale istituenda per
accedere al finanziamento.
È una legge che valorizza metodologie
didattiche attive e innovative, avviate già da molti docenti e da molte scuole,
e che si inserisce, seppur con le debite differenze, nell’ottica tracciata
dall’alternanza scuola-lavoro, ora Pcto.
Certamente occorrerà rivedere
l’impostazione didattica della valutazione e del sistema nazionale di
valutazione, in quanto le non cognitive skills non
solo sono identificabili, educabili, ma anche misurabili, come altri hanno già
avuto modo di rilevare. Quello che ci preme puntualizzare è che, se il profilo
individuale di una persona è determinato dai suoi aspetti cognitivi e non
cognitivi, è giusto che nel profilo in uscita di un ragazzo dalla scuola si dia
risalto anche alle sue character skills.
Una “valutazione olistica”, secondo Luisa Ribolzi, “che guarda
alla persona globale dello studente e non solo a un suo prodotto”.
Parimenti corretto sarebbe, inoltre, che
il sistema di valutazione e comparazione delle scuole italiane applicasse
questo parametro di giudizio, da cui si evincerebbero la ricchezza e la
contestualizzazione dell’offerta formativa di ogni singola istituzione
scolastica. Si introdurrebbe così un vero tratto di competitività tra scuole,
con un conseguente stimolo al miglioramento e all’eccellenza. Potrebbe essere
un passo verso il decentramento del sistema scolastico nazionale?
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