Cosa insegnano gli incendi che hanno distrutto intere foreste (e non solo) e come possiamo migliorare le strategie di intervento
La prevenzione significa cura e presidio del territorio, ma anche coinvolgimento delle comunità. Il clima che cambia richiede capacità di adattamento e di mitigazione
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di MARCO MARCHETTI
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La Sardegna è una terra che brucia da sempre, lo sappiamo. E non solo:
in queste ore l’emergenza-roghi riguarda anche la Sicilia, come altre volte in
passato. Tuttavia i megafire, i grandi incendi che superano la
capacità tecnica di estinzione, erano finora stati rari e limitati:
Curraggia-1983 e Coghinas-1994, per fare alcuni esempi, arrivarono a 7.500
ettari. In questi giorni, nello stesso lasso tempo, il fuoco ha percorso 13mila
ettari. Le condizioni scatenanti sono mutate: dal punto di vista meteo, con
ondate di calore e siccità più intense e prolungate, spinte dalla crisi climatica
dovuta ai cambiamenti causati dall’uomo, e da quello della vegetazione, cioè il
combustibile. Pochi sanno che la Sardegna è la regione più forestale d’Italia
e, come nel resto del Paese, i boschi sono in fase di rapida espansione: i
campi e i pascoli, non più coltivati e sempre meno frequentati dal bestiame,
sono terreno ideale per l’insediamento di alberi che nell’arco di pochi anni
edificano nuove formazioni forestali così continue da offrire alla propagazione
del fuoco vie preferenziali. C iò che sta avvenendo nel
Montiferru è una sintesi di tali processi ed è crogiuolo della diversità
biologica e strutturale dei boschi della Sardegna centro-occidentale, e a
stretto contatto con questi paesaggi incontriamo paesi di grandissimo fascino e
siti archeologici di inestimabile valore. Proprio l’insieme di componenti meteo
e territoriali è la traccia da seguire per chiedersi come prevenire eventi
simili. Quando si parla di prevenzione degli incendi boschivi, in genere si
pensa a strategie di sorveglianza: pattuglie, punti di avvistamento, magari il
supporto dei droni per cogliere sul fatto l’incendiario di turno o individuare
il pericolo al primo filo di fumo. Ma concentrarsi solo su questi aspetti è
fuorviante e pericoloso. Fuorviante, perché non tutti gli incendi hanno causa
dolosa: la mano dell’uomo è quasi sempre coinvolta nell’innesco delle fiamme,
ma spesso in modo colposo o indiretto (marmitte roventi, errori nell’uso del
fuoco, elettrodotti malfunzionanti...). Pericoloso, perché non è sufficiente avvistare
un focolaio per limitarne la minaccia: se l’incendio assume subito un
comportamento estremo, gli operatori non possono lavorare in sicurezza e le
fiamme dovranno essere lasciate libere di muoversi.
Prevenzione vuol dire tante cose che devono essere integrate fra loro.
Innanzitutto cura del territorio e colturale: selvicoltura preventiva, con
diminuzione e interruzione del combustibile presente in bo- sco, accessi
sicuri per i mezzi di controllo e intervento, punti di sicurezza per le popolazioni,
eliminazione delle situazioni di degrado, di cui tutti devono farsi carico.
Prevenzione è conoscenza dello stato e delle dinamiche meteo, geografiche e di
uso del suolo, dislocazione efficiente dell’avvistamento e del supporto agli
interventi. Prevenzione vuol dire poter disporre di carte di vulnerabilità e
dei combustibili sempre aggiornate e migliorare la modellistica previsionale a
terra come in atmosfera. Prevenzione significa costruire serie storiche con
dati certi e robusti, e intanto mantenere il presidio sul territorio,
eliminando l’asfissiante burocrazia, che scoraggia chi vive nel (e del)
mondo rurale.
N el nostro Paese non si parla mai di boschi (che coprono ormai
il 40% del territorio) e non si parla di incendi, se non quando i boschi sono
diventati cenere. Dobbiamo invece raccontare di boschi e disturbi in modo
efficace (si pensi al caso della tempesta Vaia del 2018, nel Nord-Est) e,
dunque, di incendi anche quando questi non sono accesi. Prevenzione infatti
vuol dire educazione per ogni fascia d’età, formazione, coinvolgimento
responsabile delle comunità, per evitare che la 'distrazione' diventi
'disa- strosa', per sbarrare il passo all’incuria che sempre più
domina i nostri paesaggi e alla criminalità più o meno organizzata, al
teppismo, alla vendetta e alla devianza sociale che si maschera da
psicopatologia incendiaria. Servono investimenti veri, ricerca, semplificazione
di procedure e competenze, a vantaggio delle generazioni che verranno. C ontinuando
a non dare importanza alla quasi metà del nostro territorio perdiamo occasioni
di sviluppo e rischiamo di mandare letteralmente in fumo le prospettive di
contenimento delle emissioni e le iniziative di riconversione energetica. Per
essere efficace, la prevenzione deve agire infine sulle cause remote, impedendo
a qualsiasi scintilla di generare un fuoco pericolosamente intenso, o alle
fiamme di propagarsi su ampie superfici specie nelle zone di interfaccia
urbano-rurale. Su scala planetaria, ogni evento estremo porta con sé la 'firma'
del riscaldamento. Serve mitigare, intensificando la lotta senza quartiere alle
nostre emissioni, arrivare al più presto alla neutralità carbonica e
riassorbire, anche grazie alle formazioni forestali, parte della CO2 in eccesso
che è la causa del clima impazzito. Ma non basta. Dobbiamo anche mettere
in atto strategie di adattamento, perché gli effetti dei cambiamenti climatici
continueranno a intensificarsi, indipendentemente dalle nostre azioni.
Gli stessi incendi contribuiscono in modo brutale alla crisi: alterano
il microclima e rendono invivibili i luoghi, innescando pericolosi processi di
regressione ecologica e quindi economica e sociale, considerato che tutto è
legato e interconnesso. Fra breve nel Montiferru la temperatura delle aree
percorse dal fuoco sarà ancora superiore di diversi gradi rispetto alle zone
circostanti. Gli alberi senza chioma non possono mitigare radiazione solare e
temperature. Interi tratti di vegetazione non possono più estrarre acqua dal
suolo né evapotraspirare (i boschi il 'mega condizionatore climatico'
naturale delle terre emerse). Il bosco che c’era la settimana scorsa non
tornerà, ma la capacità funzionale potrà essere recuperata con nuovi boschi:
occorrerà però tempo e assenza di nuovi disturbi. Ogni intervento di
gestione responsabile e sostenibile richiede personale formato (di cui troppi
territori scarseggiano) e una nuova pianificazione territoriale. Significa
conoscere bene il bosco e le sue relazioni con il contesto ecologico e sociale
in cui è inserito, individuare i benefici offerti da ciascuna sua parte alla
società (legname, protezione dal dissesto, assorbimento di carbonio,
habitat...), prevedere la sua dinamica e le sue vulnerabilità, programmando
azioni a lungo termine. Un buon inizio sarà l’approvazione della Strategia Forestale
Nazionale, nel quadro di quella europea resa pubblica il 16 luglio 2021,
investendo finalmente risorse pubbliche nel monitoraggio e nella gestione, per
mantenere una buona relazione con le foreste, aiutarle ad aiutarci nel momento
in cui ne abbiamo più bisogno, e avere uno sguardo di responsabilità globale
che, non abbandonando i nostri boschi a sé stessi, ci consenta anche di
risparmiare e proteggere quelli nei luoghi più cruciali, fragili e
svantaggiati del pianeta.
*Università degli Studi del Molise Sisef (Società Italiana di
Selvicoltura ed Ecologia Forestale)
Le condizioni che scatenano gli incendi sono mutate: dal punto di
vista meteo, con ondate di calore e siccità più intense, spinte dalla crisi
climatica dovuta ai cambiamenti causati dall’uomo, e da quello della
vegetazione.
Un buon inizio sarà l’approvazione della Strategia Forestale
Nazionale, nel quadro di quella europea appena pubblicata
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