- di Giuseppe Savagnone
«Concordo
pienamente con il presidente Draghi sulla laicità dello Stato e sulla sovranità
del Parlamento italiano. Per questo si è scelto lo strumento della Nota
Verbale, che è il mezzo proprio del dialogo nelle relazioni
internazionali». Così è intervenuto il card. Parolin, Segretario di Stato della
Santa Sede, nel dibattito sul rapporto tra il Vaticano e lo Stato italiano.
Un
intervento che in cui si manifesta l’evidente intento del Vaticano di abbassare
i toni della polemica – e forse la presa di coscienza di avere fatto un passo
controproducente, almeno davanti all’opinione pubblica –, come conferma anche
la precisazione del “ministro degli Esteri” del papa, secondo cui la Nota era
destinata a rimanere «un documento interno, scambiato tra amministrazioni
governative per via diplomatica. Un testo scritto e pensato per comunicare
alcune preoccupazioni e non certo per essere pubblicato».
Peraltro,
il cardinale ha ribadito ciò che già si sapeva: «Non è stato in alcun modo
chiesto di bloccare il ddl
Zan. Siamo contro qualsiasi atteggiamento o gesto di intolleranza o di odio
verso le persone a motivo del loro orientamento sessuale, come pure della loro
appartenenza etnica o del loro credo. La nostra preoccupazione riguarda i
problemi interpretativi che potrebbero derivare nel caso fosse adottato un
testo con contenuti vaghi e incerti, che finirebbe per spostare al momento
giudiziario la definizione di ciò che è reato e ciò che non lo è».
Un
problema reale da discutere laicamente
Quale
che sia la valutazione della opportunità o meno dell’intervento della Santa
Sede, c’è almeno un punto su cui sarebbe bene riflettere, si sia o meno
d’accordo con esso nel suo insieme. Discuterlo con equilibrio, al di là del
coro di proteste che la Nota ha suscitato – alcune, per la verità, evocanti un
laicismo vecchio stampo, come nel caso di Fedez – non è una rinuncia alla
laicità, ma il rispetto della sua essenza, che è la disponibilità a
confrontarsi razionalmente con chi la pensa in modo diverso.
Nel
ddl Zan si prevede un aggravio di pena per chi «istiga a commettere o commette
atti di discriminazione» nei confronti di lesbiche, gay, bisessuali e
transessuali. Ora, come ha fatto notare Parolin, «il concetto di
discriminazione resta di contenuto troppo vago. In assenza di una specificazione
adeguata corre il rischio di mettere insieme le condotte più diverse e rendere
pertanto punibile ogni possibile distinzione tra uomo e donna, con delle
conseguenze che possono rivelarsi paradossali e che a nostro avviso vanno
evitate, finché si è in tempo».
Basta
cercare nel vocabolario «Treccani»: il significato di “discriminare” è
«distinguere, separare, fare una differenza». Ora, è chiaro che chi – come la
Chiesa cattolica, ma non solo – non condivide l’equiparazione piena tra i
rapporti eterosessuali e quelli omosessuali, sta ponendo per ciò stesso una
differenza, una discriminazione tra i primi e i secondi. Rientra per questo
nella fattispecie criminale prevista dal ddl Zan?
È
vero che, per rispondere alle preoccupazioni di chi accusava il ddl Zan di
impedire ogni forma di dissenso rispetto alla dibattuta questione del gender, è
stato inserito appositamente nel testo l’articolo 4, che esclude dalla
punibilità «la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le
condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle
scelte». Ma anche questa precisazione contiene, alla fine, una postilla non
insignificante: «purché non idonee a determinare il concreto pericolo del
compimento di atti discriminatori o violenti».
Mettendo
da parte l’ipotesi estrema della violenza, un giudice non potrebbe considerare
una omelia, una catechesi – o anche semplicemente una presa di posizione da
parte di chiunque sostenga che quello tra uomo e donna è l’unico “vero”
matrimonio – come manifestazioni di pensiero «idonee a determinare il concreto
pericolo del compimento di atti discriminatori», nella misura in cui destinate
a convincere gli ascoltatori a fare una netta differenza, e quindi una
discriminazione, tra l’unione eterosessuale e quella gay?
Quand’è
che la discriminazione – il “fare la differenza” – tra eterosessualità e
omosessualità è l’implicazione di una visione dell’essere umano, del corpo,
della sessualità, pur nel pieno rispetto delle persone, e quando invece
comporta il proseguimento di una secolare, triste tendenza, ancora molto
diffusa, a insultare, umiliare, perseguitare, emarginare chi è “diverso”?
Questo il ddl Zan non lo precisa.
Il
valore della differenza
Qualcuno
dirà che già ammettere una diversità è una forma di emarginazione. Non è vero.
È proprio questo l’equivoco delle gender theories, quando puntano a
“decostruire”, o comunque a minimizzare, la differenza sessuale inscritta nella
biologia e nella morfologia dei nostri corpi, considerandola automaticamente
fonte di ingiustizia e di violenza. Non è vero che si può rispettare l’altro
solo se si elimina la sua diversità. Al contrario, il vero rispetto nasce
proprio dall’accettazione delle differenze. La reazione contro l’“omofobia” non
può giustificare un’altrettanta disastrosa tendenza all’omologazione
indiscriminata, peraltro già presente nella nostra società.
E
finché non si faranno queste precisazioni, anche il messaggio culturale ed
educativo che il ddl Zan vuole indirizzare alla società, e in particolare alle
scuole, con l’istituzione di una “Giornata nazionale contro l’omofobia”,
rischia di essere estremamente ambiguo e di trasformarsi, in molti casi – pur
col lodevolissimo intento di combattere il bullismo e altre forme di cattiva
discriminazione –, in un’ esaltazione della in-differenza tra maschile e
femminile, tra omo ed eterosessualità, tra famiglie etero e famiglie gay, tra
la generazione fondata sull’amore tra uomo e donna e quella che fa ricorso
all’utero in affitto.
Particolarmente
allarmante è che la prospettiva di questa propaganda capillare gravi su tutte
le nostre scuole, di ogni ordine e grado, incluse le elementari. Un
emendamento, che prevedeva l’introduzione nel ddl Zan del consenso dei genitori
per i bambini della scuola primaria, è stato respinto. Come non vedere il
pericolo di una ideologia di Stato, che scavalca la Chiesa, ma anche la famiglia?
Il
pasticcio
Detto
tutto ciò, bisogna prendere atto che la gestione “politica” di queste legittime
esigenze, da entrambe le parti oggi in conflitto, ha lasciato molto a
desiderare e ha impedito di affrontare i problemi reali. A lungo la posizione
della Cei è stata del tutto negativa verso il ddl Zan, bollato in blocco come
suerfluo e liberticida. Non si sono colte le esigenze in sé giuste che esso
rappresentava e non si è fatto lo sforzo per distinguerle dalle formulazioni
sbagliate. Solo in extremis – quando ormai era chiaro che il testo stava per
diventare legge – in una battuta con i giornalisti il card. Bassetti ha
precisato che l’intento dei vescovi non era di affossare il testo, ma di
modificarlo. Come del resto oggi ribadisce la Santa Sede, che però è
intervenuta troppo tardi per avviare un dialogo costruttivo e si è attirata,
con il suo passo, accuse di ingerenza del tutto infondate (qui si tratta del
rispetto di un accordo tra due Stati e del legittimo confronto tra essi quando
nascono dei problemi), ma accolte in blocco da un’opinione pubblica poco
abituata (ancora una volta) a fare distinzioni.
Dal
lato del Parlamento si è lasciato che gli equivoci del ddl Zan permanessero,
dando spazio alle fazioni che vedono nella battaglia sulle questioni etiche un
modo per smantellare la tradizione etica del nostro Paese. Particolarmente
assordante il silenzio dei deputati e senatori cattolici disseminati sia a
destra che a sinistra, con la sola eccezione – purtroppo sospetta – di quelli
che da tempo cercano di accaparrarsi l’elettorato cattolico, ostentando una
ispirazione evangelica di cui il loro programma complessivo è una evidente
smentita. E questa confusione (ancora una volta, si misconoscono le differenze)
tra laicità e laicismo non poteva che portare allo scontro.
Il
risultato è sotto i nostri occhi. Difficile dire come finirà. Ma non possiamo
rinunziare alla speranza che la ragione – non la fede – prevalga, per
migliorare il ddl Zan e far sì che le giuste esigenze che esso rappresenta si
concilino con il rispetto di un pluralismo esaltato da tutti a parole, ma
minacciato nei fatti.
*Pastorale Cultura Diocesi Palermo
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