e le scelte giuste per curarle
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di LAMBERTO MAFFEI*
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Si
dice nel linguaggio comune, quando un nonno si permette di esprimere qualche
pensiero differente o che suona strano, che il nonno sta bene ma talvolta
sembra un po’ rimbambito. L’espressione è certamente affettuosa, ma allude a un
modo di ragionare o forse di sragionare a un tornare indietro a un
funzionamento cerebrale, semplificato e non ancora completamente sviluppato
come quello di un bambino. È un modo di dire del tutto errato, perché il nonno
sta biologicamente perdendo potenza cerebrale in quanto i suoi circuiti nervosi
hanno perso nel tempo un gran numero di sinapsi, mentre il bambino è al massimo
del numero di sinapsi e di potenzialità cerebrale. Quindi scientificamente un
processo di 'rimbambimento' sarebbe, in realtà, l’agognata terapia per tutti
gli anziani. E se questo fosse possibile, ci sarebbe la fila per rimbambire.
Questa
digressione su possibili superficialità del linguaggio serve a ribadire un
concetto: il bambino viene erroneamente considerato ancora cerebralmente
immaturo e certamente immaturo è, per anni ed esperienza di vita, ma non lo è
per funzionamento cerebrale. Questa considerazione errata della potenzialità
cerebrale del bambino ha, a mio avviso, conseguenze negative sia sul piano
educativo sia su quello sociale. Piano educativo. Ricerche sullo sviluppo
cerebrale del cervello umano ormai riportate in tutti i libri di testo, e
studiate anche dal sottoscritto per molti anni, descrivono con accuratezza il
suo sviluppo in termini sia anatomici (entità di neuroni e di connessioni sinaptiche)
che funzionali (plasticità cioè la proprietà di cambiare funzione in risposta
all’ambiente tramiti i sensi esogeni ed endogeni).
Da
questi studi derivano le seguenti indubbie conclusioni: nei primi 3 anni di
vita il cervello ha un rapido sviluppo dei circuiti cerebrali che raggiunge
l’acme intorno ai 3 anni quando la potenzialità del cervello è massima e in
particolare proprio nel lobo frontale, che è la parte più nobile della
corteccia cerebrale con riferimento al ragionamento; tale potenzialità si
mantiene molto alta fino all’adolescenza; segue un plateau di alta sensibilità
fino all’età media di circa 30 anni; dopo di che, con la riduzione delle
connessioni sinaptiche, inizia una progressiva riduzione fino all’età della
fisiologica vecchiaia. L’adulto, per condizioni inevitabili di ordine
biologico, perde in potenzialità, ma acquista in termini di sicurezza di
funzione, comunemente additata come il vantaggio dell’esperienza.
Sostanzialmente l’adulto (dopo i 40 anni) e l’anziano fanno bene quello che
hanno acquisito o appreso con l’esperienza. Intorno a quest’età cambiar lavoro
è possibile ma può incontrare maggiore difficoltà. Chiaramente vi è una forte
diminuzione dei processi creativi e innovativi.
Queste
premesse scientifiche indicano che sarebbe saggio fare iniziare un
apprendimento strutturato già alla scuola materna, intorno a 3-4 anni quando la
facilità di apprendimento del bambino è massima. È necessario, oltre che
doveroso considerare la scuola dell’infanzia che accoglie i
bambini nel periodo più importante per lo sviluppo del
loro cervello, come un investimento non rinviabile sulle
risorse umane e non solo come un parcheggio per consentire ai
genitori di occuparsi della loro vita lavorativa. Per la persona
scettica sarebbe sufficiente riflettere
sulla
facilità che il bambino ha di imparare le lingue rispetto anche a un giovane
adulto. Trascurare queste potenzialità di apprendimento del bambino da parte di
noi adulti implica responsabilità morali oltre che pedagogiche.
Piano
sociale. L’insegnamento nell’età infantile avrebbe inoltre
vantaggi sociali per i bambini, che in realtà non sono vantaggi ma sacrosanti
diritti. Ogni bambino ha cioè diritto di essere trattato dalla società al pari
di qualunque altro bambino, e non in relazione alla famiglia e al luogo di
nascita. Appiccicare ai piccoli corpi un cartellino con il loro valore di
mercato, cioè la provenienza da famiglie ricche o povere, appare, spero, anche
al più cinico degli esseri umani, un misfatto non solo da condannare ma di cui
vergognarsi.
La
scuola dell’infanzia, resa non più opzionale, potrebbe offrire a tutti i
bambini senza distinzione una base educativa e possibilità, tutelandoli almeno
in parte da situazioni di difficoltà sociali, discriminazioni educative ed
economiche. Ho già fatto notare ('Avvenire', 17 Aprile 2021 ) che, nella
vita proprio come nello sport, è doveroso far partire tutti i bambini dalla
stessa linea di partenza. Per poter salire con le proprie ambizioni e capacità
la scala sociale che ancora oggi per i meno fortunati è davvero ripida e con
molti scalini difficili, quando non impossibili da scavalcare, mentre ha molti
meno scalini, e assai più agevoli, per i figli di papà.
*Neurobiologo,
presidente emerito dell’Accademia dei Lincei
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