Intervista al presidente dell’Associazione degli ex deputati all’ARS.
La
pandemia da Covid-19 ha ulteriormente smascherato i limiti dell’odierna stagione
politica. In Italia, la personalità di Mario Draghi ha messo d’accordo tutti, o
quasi, ma la nostra repubblica non può basarsi soltanto su “salvatori della
patria” seppur di autorevole profilo. Occorre altro a partire da un nuovo
protagonismo dei partiti, dei corpi intermedi e della cittadinanza.
Dell’attuale
momento politico, discutiamo con Rino La Placa. Già dirigente scolastico e
deputato all’Assemblea Regionale Siciliana, La Placa è stato fra i più stretti
collaboratori di Piersanti Mattarella. Attualmente è presidente
dell’Associazione degli ex deputati all’ARS.
–
On. La Placa, lei ha vissuto diverse e difficili stagioni della politica
siciliana e italiana. Dall’uccisione di Piersanti Mattarella alla “primavera di
Palermo”, dalla fine della Democrazia Cristiana alla fondazione del Partito
Democratico. Alla luce della sua esperienza, come valuta l’attuale stagione
politica italiana?
Gli
ultimi anni della vita politica italiana sono segnati dall’emergere del
populismo e del sovranismo; sono gli anni della crisi dei partiti e della
demotivazione alla partecipazione democratica. Dal mio punto di vista, la
democrazia del n0stro Paese ne ha sofferto tanto ed io ho provato e provo tanta
tristezza osservando il modo di svolgersi della politica nel nostro contesto
sociale. Non c’è in me rassegnazione. Penso alla possibilità e al dovere di
ciascuno di superare questa difficile fase. È necessario un impegno, forte e
razionale, individuale e corale che superi lo scadimento della qualità del
confronto e della dialettica modificando e rinnovando alcuni modi di essere e
realizzando le necessarie riforme per una migliore funzionalità delle
istituzioni democratiche. Il primo mutamento deve essere, però, nel modo di
sentire e di vivere la politica. La politica deve rivelarsi come un servizio
competente, da prestare insieme agli altri, non contro.
–
Nel passato, la Sicilia è stata spesso definita come un “laboratorio politico”
capace di anticipare lo sviluppo dei movimenti sullo scenario nazionale. La
situazione odierna, a suo avviso, fa della nostra regione un modello futuribile
per la politica italiana?
Con
riguardo all’ambito regionale siciliano i rilievi critici espressi assumono, ai
miei occhi, una dimensione di maggiore gravità. Alle negative modalità di
confronto, spesso caratterizzate da autoreferenzialità, aggressività, continui cambi
di collocazione politica individuale, scarsa progettualità va collegata una
classe dirigente politica che non riesce ad aiutare la Sicilia nello sforzo di
superamento della marginalità e dello squilibrio territoriale e sociale. Non si
tratta di fare pagelle a singoli esponenti o, in modo generico, a tutta la
classe politica non solo perché non se ne ha titolo ma anche perché ci sono, in
tutte le formazioni, eccezioni lodevoli, non in grado – purtroppo – di
modificare la complessa e critica realtà.
La
Sicilia è stata tante volte “laboratorio” politico, che ha anticipato temi,
scelte ed alleanze nazionali di rinnovamento, ma non mi pare che gli ultimi
tempi ed il presente siano stati o siano idonei per significative innovazioni.
L’esperienza di governo di Piersanti Mattarella alla fine degli anni settanta e
quella della “Primavera di Palermo”, un decennio dopo, mi sembrano irripetibili
anche nella somiglianza. Da parte mia mi sento ricco e privilegiato, avendo
partecipato, con ruoli diversi, all’una e all’altra esperienza di rinnovamento
della politica. Cosa resta dell’espressione “avere le carte in regola”? In che
cosa si sostanzia il meridionalismo odierno? Chi scorge e chi coltiva
l’entusiasmo partecipativo dei giovani?
–
Fra i problemi della nostra democrazia, a qualsiasi livello, vi è la
leadership. Oggi, leader solitari assumono il comando dei partiti e consumano –
spesso in poco tempo – percorsi politici inizialmente di successo ma destinati
ad inabissarsi nell’irrilevanza. A suo parere, perché la nostra società non
riesce più a generare una classe dirigente in grado di avere una visione
politica d’insieme come è avvenuto per buona parte della storia repubblicana?
È
vero che la leadership si presenta oggi come un problema della democrazia
perché è più competitiva che rappresentativa di valori e progetti, è
narcisista, risente molto delle campagne mediatiche e coinvolge principalmente
per cooptazione. Non nasce dal confronto, anzi anestetizza il dibattito e lo
esaspera rendendolo spesso rissoso. Oggi i leaders comandano troppo, si
consumano presto e spesso si dissolvono senza restare modelli per i giovani.
Anche sotto questo aspetto la democrazia mostra le sue crepe. Dove è finito il
sistema dei partiti della prima repubblica?
Vituperati
(qualche volta anche da me), erano certamente bisognevoli di cure,
ammodernamenti, riforme, ma non da cancellare senza valide sostituzioni.
Avversando, genericamente, la “casta” si è inferto un duro colpo alla qualità
della classe dirigente, perché la nuova è risultata più incompetente, di scarsa
formazione e assai carente sul piano della motivazione al servizio. Non c’è
certamente da fare alcuna attenuazione al contrasto e alla lotta al
clientelismo, alla corruzione o alle turpi mercificazioni di alcuni modi di
essere della politica, ma non si può cadere dalla padella nella brace.
Migliorare e correggere sì, distruggere e rottamare tutto, no. Occorre
riprendere le esperienze esemplari di tanti testimoni e protagonisti del tempo
recente, ritornare alla voglia di politica come servizio, stimolare e
valorizzare un esercizio di cittadinanza attiva, che spinga a un impegno
politico serio, lungimirante e armonico. Nessuno si sottragga a questo compito
e i giovani siano gli attori principali.
–
In una recente pubblicazione dedicata alla figura di Piersanti Mattarella, lei
ha affermato che il presidente della regione siciliana trucidato nel 1980 dalla
mafia va fatto conoscere alle future generazioni. Perché è così rilevante
trasmettere la sua testimonianza?
Ciò
che sostengo per Piersanti Mattarella vale per tante altre figure esemplari,
martiri e non. Ho conosciuto da vicino Piersanti Mattarella e mi sento un suo
allievo perché la sua influenza nella mia formazione politica è stata enorme e
decisiva.
Come
professionista di scuola conferisco grande importanza ai modelli, ai punti di
riferimento umani nella formazione dei giovani e valuto quanto sia grave non
agevolare la conoscenza dell’esperienza umana e politica di Mattarella,
presidente della Regione Siciliana, venuto a mancare per mano assassina. Il suo
impegno politico e il modo con cui lo ha esercitato costituiscono – a mio
avviso – un patrimonio da trasmettere ai giovani d’oggi, anche per
approfondirlo e conoscerlo meglio.
–
Politicamente lei è cresciuto, e si è affermato, all’interno della Democrazia
Cristiana. È stato anche un importante esponente del rinato Partito Popolare
Italiano. Dal suo punto di vista, quale contributo sono chiamati a dare oggi i
cristiani in politica?
I
cristiani in politica? Sì. Ormai da tempo il Magistero è chiarissimo. La
politica non è terreno di perdizione. Fare politica è una nobile attività, la
più alta espressione di carità; è un dovere di ciascuno contribuire al bene
comune, è un servizio che qualifica. Papa Francesco nella “Fratelli tutti” si chiede:
“Può funzionare il mondo senza politica?” E risponde sostenendo che abbiamo
bisogno di una politica che pensi con una visione ampia, una politica sana,
capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche.
La
mia esperienza comincia con la Democrazia Cristiana /corrente morotea/ e
attraversa il PPI, la Margherita arrivando al Partito Democratico, dove
dovevano confluire le grandi culture politiche progressiste del Novecento. Per
fare alcuni nomi è stato il percorso di Castagnetti, Letta, Franceschini,
Franco Marini, Rosy Bindi, Leopoldo Elia e tanti altri “cattolici democratici”.
E’ stato il percorso di Sergio Mattarella prima di diventare il Presidente di
tutti gli italiani.
Oggi
non c’è un’aggregazione strutturata, un partito dei cattolici né può rinascere
la Democrazia Cristiana. C’è e deve esserci una presenza di cattolici per
offrire un doveroso e originale contributo allo sviluppo del Paese in forza di
una visione cristiana della vita e dell’uomo. Mancando una struttura che accoglie
i cattolici in politica, in quanto tali, ogni cristiano cerchi il posto dove
meglio vivere ed esercitare la coerenza con i propri valori.
Per
riflettere indico un tema: il Mediterraneo il più grande cimitero d’Europa
(Papa Francesco). Affrontando questo tema si può sostenere qualsiasi formazione
politica e rinunciare ad operare una scelta coerente? Non c’è una collocazione
partitica certa e obbligatoria per il cristiano, ma c’è da tenere in gran conto
il discernimento coerente in stretto rapporto con le opzioni personali e le
responsabilità di ciascuno. Mi permetto ricordare che uno sguardo retrospettivo
può essere di grande aiuto e la presenza dei cattolici democratici nella vita
del nostro Paese è stata di grande rilievo ed utilità: i tratti distintivi del
pensiero che ha animato le loro azioni possono ben illuminare anche il nostro
difficile presente.
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