venerdì 15 settembre 2017

CONVIVERE CON GLI ALTRI E CON IL MONDO .... per una società condivisa.

DALL'INDIVIDUALISMO ALLA CONDIVISIONE  

«Convivere non è soltanto stare con altri ma anche la capacità di stare col mondo in tutte le sue sfaccettature»

Dall’intellettuale tedesco, Peter Sloterdijk, l’idea di una società condivisa che edifica la storia Una risposta alle teorie minimaliste, libertarie e individualiste del ’900, capace di condurre anche a un diverso modo di pensare il rapporto fra uomo e natura L’alternativa di Sloterdijk Non più solo
                                                                                                                 
                                                                                                                          di SIMONE PALIAGA

Riprendiamoci la storia e ridiventiamone protagonisti. Con responsabilità. A noi uomini tocca, oggi come oggi, in sorte un compito immane. Occorre sottrarsi a ogni determinismo, biologico, tecnico o economico figlio del Novecento. Bisogna emanciparsi però anche dal sogno rinunciatario di una fine della storia erede di quei tempi. Ecco la posta in gioco dei prossimi anni. Anzi della prossima epoca, come dice Peter Sloterdijk in Che cos’è successo nel XX secolo (pagine 282, euro 26,00) in uscita per Bollati Boringhieri il 15 settembre.
Sloterdijk in Germania è una star. I suoi saggi veleggiano verso i vertici delle classifiche di vendita. Eppure non si tratta proprio di un filosofo facilmente commestibile. Con lui la filosofia torna a ritagliarsi uno spazio. Lasciatasi alle spalle minimalismi decostruzionisti ed ermeneutici pensa di avere ancora qualcosa da dire. È lì a provarlo l’imponente trilogia intitolata Sfere che, come racconta Dario Consoli in Introduzione a Peter Sloterdijk. Il mondo come coesistenza, appena dato alle stampe da Il Melangolo (pagine 210, euro 16,00) è «una grandiosa descrizione del processo materiale e simbolico di costruzione di mondi condivisi».
Senza condivisione non c’è l’uomo, insomma. Non è pensabile secondo Sloterdijk l’esistenza di un uomo come quello descritto dalla filosofia moderna. L’individuo isolato non esiste così come il soggetto in sé e per sé autosufficiente. Dal concepimento l’essere umano ha la possibilità di vivere finché partecipa a una soggettività condivisa. Per questo l’individuo casomai può considerarsi al massimo «il resto di una coppia». Ma questo ancora non gli basta per definirsi perché, per crescere e diventare se stesso, ha bisogno di «prendere casa, rendere domestico l’ambiente ». E non può farlo da solo, isolato dagli altri e dalla Terra che lo ospita.
Secondo il pensatore di Karlsruhe non esiste l’uomo allo stato di natura come è stato sognato nel corso della modernità. L’uomo è autoplastico. Significa che a formarlo sono le tecniche e le forme di convivenza che lui stesso si dà insieme agli altri e al pianeta su cui vive. Per comprenderlo bene occorre però intendere l’idea di convivenza in senso lato. Convivere non equivale, per Sloterdijk, solo a stare con gli altri uomini, ma anche alla capacità di stare col mondo in tutte le sue sfaccettature. E quindi pure con gli apparati tecnici che via via lo popolano con maggiore intensità.
Rispetto agli altri viventi però l’uomo, per sua costituzione, si trova in una posizione privilegiata. Pericolosa ma pur sempre privilegiata. Egli non è irretito infatti dalle situazioni che lo circondano, ma nei loro confronti «lussureggia». Vale a dire «sviluppa delle potenzialità superiori – sottolinea Consoli – a quelle richieste dalla situazione» che deve fronteggiare. Dal mondo, o detto meglio, dalle sue sfere di convivenza e condivisione non viene intrappolato. Ecco perché non finisce imprigionato da esse diventando facitore di storia. E libero, diremmo noi. L’uomo è «un agente metabiologico che in virtù del suo potere d’azione – scrive Sloterdijk nel primo saggio di Che cos’è successo nel XX secolo – può esercitare sull’ambiente un influsso ben più ampio di quello che farebbe supporre la sua relativa mancanza di peso fisico». Ma se «è diventato in tutto e per tutto responsabile dell’insediamento e della gestione della Terra» allora «si istituisce un indirizzo cui rivolgere possibili atti di accusa». Riconoscersi responsabili non significa solo autoflagellarsi, ma anche sapersi capaci di cambiare le proprie condizioni di vita. Passo irrinunciabile se non si vuole mettere a repentaglio il futuro proprio e della Terra.
         «La variazione del clima che c’è da aspettarsi – ammonisce Sloterdijk – porterà in molte zone della Terra a condizioni che non sono compatibili con l’esistenza umana». Infatti «la battaglia sul clima non ha più per oggetto il 'dominio della Terra'. Concerne invece la possibilità di mantenere aperto il processo della civiltà e di assicurarne la prosecuzione».
Per questo «quell’essere-nelmondo da parte dell’uomo di cui ha parlato la filosofia del XX secolo si rivela come un essere-abordo di un veicolo cosmico esposto a fenomeni per- turbativi» che schiudono a una vera e propria «ontologia politica della natura». E dove fa capolino la politica fa capolino pure la storia. Lo aveva intuito anche Martin Heidegger secondo Sloterdijk. Ma per sottrarre l’uomo alla noia e alla inautenticità della fine della storia aveva abbracciato, per un periodo della sua vita, il nazionalsocialismo.
Anche oggi l’uomo pensa di trovarsi al di fuori della storia vedendo scorrere gli eventi sopra la testa. Eppure basta riconoscere il peso che la sua azione possiede nei confronti della Terra, come fanno i teorici dell’antropocene, per avvedersi che così non è. Anzi che se la sua azione scandisce le epoche del mondo fino a renderne possibile la fine può anche riaprire i conti con la storia, consapevole però di poter «aprire una prospettiva di enormi conflitti».


Pubblicato in  AVVENIRE

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