Visualizzazione post con etichetta libri. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta libri. Mostra tutti i post

mercoledì 5 febbraio 2025

LIBRIAMOCI


 "Libriamoci. 

Giornate 

di 

Lettura nelle scuole"

 anno scolastico

 2024/2025

 

Al via l'undicesima edizione dell'iniziativa "Libriamoci. Giornate di lettura nelle scuole" promossa per il corrente anno scolastico dal Ministero della cultura, attraverso il Centro per il libro e la lettura, e condivisa dal Ministero dell'istruzione e del merito.
L'iniziativa è rivolta alle istituzioni scolastiche del primo e del secondo ciclo di istruzione statali e paritarie, le quali dal 17 al 22 febbraio 2025 nel rispetto della propria autonomia didattica, potranno organizzare una o più attività di lettura.


L'edizione Libriamoci 2025 intende soffermarsi sull'importanza del valore educativo e formativo della lettura durante tutto l'arco dell'anno scolastico, proseguendo l'intento con la campagna del Centro per il libro e la lettura, Il maggio dei libri, che si svolgerà dal 23 aprile al 31 maggio p.v.


La partecipazione alla progettualità da parte delle Istituzioni scolastiche richiede l'iscrizione delle attività di lettura prescelte sulla piattaforma https://libriamoci.cepell.it/II/

Documenti Allegati

  • Allegato LIBRIAMOCI - INFORMAZIONI.docx

  • Scheda Libriamoci 2025 (2).pdf

  • m_pi.AOODGSIP.REGISTRO UFFICIALE(U).0000179.27-01-2025.pdf

 

lunedì 10 giugno 2024

IL DECLINO DELL'HOMO SAPIENS

 “La scuola italiana istruisce ma non educa. 

Stiamo assistendo alla morte dell’homo sapiens. Riempire le scuole di libri, non di computer”

 

Di redazione

 Il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, intervistato da La Gazzetta di Parma, durante l’evento “G-talk: Riflessioni: famiglia e figli nell’era digitale”, ha lanciato un grido d’allarme sulla condizione delle giovani generazioni nell’era digitale.

 Secondo Galimberti, stiamo assistendo alla morte dell’homo sapiens, sostituito dall’homo videns, un individuo che privilegia l’immagine al testo, con conseguenze preoccupanti sullo sviluppo cognitivo. “Il cervello perde neuroni quando si antepone l’immagine”, afferma il filosofo, sottolineando come questo passaggio da un’intelligenza sequenziale a una simultanea stia impoverendo le capacità critiche e di comprensione.

 Un’ulteriore conseguenza di questa evoluzione, secondo Galimberti, è l’incapacità di gestire la complessità della società contemporanea. “Il computer lavora su un codice binario: sì, no. L’umanità diventa gregge e vuole l’animale capo”, dichiara, evidenziando come l’ignoranza e la superficialità favoriscano il populismo e la manipolazione.

 La scuola, secondo il filosofo, non è in grado di contrastare questa deriva. “La scuola italiana istruisce ma non educa”, afferma, sottolineando l’importanza di un’educazione che vada oltre la semplice trasmissione di contenuti e si occupi dello sviluppo emotivo e sentimentale degli studenti.

 Galimberti propone una soluzione radicale: riempire le scuole di letteratura, non di computer. “I sentimenti s’imparano, non li abbiamo per natura”, sostiene, evidenziando il ruolo fondamentale della letteratura nel fornire modelli e strumenti per comprendere e gestire le emozioni.

 Il filosofo esprime anche una forte preoccupazione per l’intelligenza artificiale, vista come un’ulteriore minaccia in un’epoca dominata dalla tecnica, che ci riduce a meri strumenti al servizio della produttività e dell’efficienza. “Non siamo all’altezza della velocità inaugurata dalla tecnica e dall’informatica”, avverte Galimberti, sottolineando l’aumento delle psicopatologie indotte da questa corsa sfrenata verso la performance.

 La società dell’efficienza e della performance spinta ci porta a livelli spaventosi di psicopatologie indotte dall’informatica, come dimostrato dall’alto consumo di psicofarmaci e cocaina nel nostro Paese.

 Orizzonte Scuola


venerdì 14 aprile 2023

IL GRAZIE DI GIUSEPPE


 Giuseppe legge libri insieme agli alunni: 

un susseguirsi di doni e scoperte 

e un grazie reciproco.

 E un dono in più: una lettera di Pietro Abelardo

- di  Corrado Bagnoli

In tempi di ChatGPT, di dibattiti e di sfide tra intelligenze vere e virtuali, di emergenze educative che si riaccendono e si aggravano ogni giorno, il mio vecchio amico Giuseppe prosegue imperterrito, anche da pensionato qual è ormai da qualche anno, il suo mestiere. Il mestiere di leggere ai ragazzi un libro, di chiedere loro di ragionarci su, di scriverci sopra per scoprire che cosa hanno dentro. Non i libri, ma loro, i ragazzi. E che non servono programmi e artifici se quel libro, quel professore ti mette con le spalle al muro e con gli occhi dritti puntati sul tuo mondo e su quello che hai intorno.

Anche quest’anno Giuseppe ha finito il suo percorso con le classi seconde. E i ragazzi gli hanno scritto lettere e-mail sorprendenti. Cose mai viste. Quando stava a scuola e faceva il professore, era come se ciò che faceva fosse considerato scontato: se sei un professore di ruolo, svolgi il tuo ruolo. Non si pensava che ci fosse bisogno di dirsi altro, forse. Quello che contava era quel mestiere di vivere giorno dopo giorno, crescendo – e per lui invecchiando – insieme; di fare, come voleva Betocchi nella sua poesia, un’opera comune.

Ma adesso che finito il libro lui se ne va via e la scuola per i ragazzi continua, adesso legge e rilegge le mail e non può starsene in silenzio. Io gli ho chiesto di darmi un ritaglio di quello che si sono scritti – grazie alla scuola, oltre la scuola, dopo la scuola – lui e i ragazzi. Senza ChatGPT, senza nemmeno correttore automatico: le lettere degli alunni mostravano con soddisfazione qualche errore grammaticale o sintattico, ma non era questo che c’era in ballo.

E Giuseppe ha scritto così ad Alessandro, Francesca, Claudia, Marta, Flavio, Marta, Tommaso, Sara, Tommaso, Lorenzo, Giulia, Luca, Tommaso, Christian, Elisabetta Laura, Maria, Christian, Lisa (la gemella buona), Giada, Stefano, Sabrina, Giulia, Noemi, Elisa, Angelica, Cesare, Giorgio, Francesco, Tomas, Diego e Alessio, Sofia, Alessio, Jennifer, Mario: “grazie davvero! Come abbiamo letto insieme, in … dovremmo imparare a dire grazie. Ricominciare a farlo. E io lo faccio qui, più che commosso per quanto avete scritto nelle vostre lettere a fine percorso; per quanto avete confessato nei vostri testi durante l’anno; per come siete stati capaci di lasciarvi interrogare dalle pagine del libro e dalle mie domande. Qualcuno di voi dice che ha imparato ad amare la lettura, altri dicono che hanno scoperto il piacere della scrittura; altri ancora che si sono sentiti parte di un’avventura di crescita e maturazione in cui non credevano all’inizio. Tutti però ringraziate: me, i vostri compagni e amici, la vostra insegnante. Tutti ringraziate per la commozione di alcuni di voi; per le verità che abbiamo scoperto in queste ore; persino per il divertimento che, nonostante la serietà che vi è stata chiesta, abbiamo vissuto. È un susseguisi di grazie. E non soltanto nel senso del dire grazie. È un susseguirsi di doni e scoperte, cioè di grazie, appunto, quello che è accaduto tra noi: certo ci siamo impegnati, abbiamo lavorato insieme, ma per me – e anche per voi, come si vede bene dalle vostre parole – quanto poi è accaduto è sempre molto di più di quanto uno possa immaginarsi all’inizio pensando a un progetto. Una grazia, quindi. Sono qui con in tasca ancora le vostre parole, con dentro gli occhi alcuni gesti capitati tra noi e ho davvero un grande desiderio: quello che questa cosa possa ripetersi per noi. Nulla è scontato: non sto pensando solo alla proposta dell’attività anche per l’anno prossimo. Voglio invece che possa riaccadere sempre questa grandezza, questa bellezza che abbiamo vissuto e provato. Con un altro libro l’anno prossimo, certo. Ma, ancora di più, ogni giorno in quello che facciamo e viviamo quotidianamente. Senza smentirmi mai, vi consegno ancora qualche parola da leggere, un piccolo testo di Pietro Abelardo al figlio Astrolabio, contenuto in un libricino dal titolo Insegnamenti al figlio. È una paginetta in cui si parla dell’imparare e dell’insegnare. E ormai l’abbiamo capito tutti: nessuno insegna, se non impara; spesso anzi impara di più colui che dovrebbe insegnare. E proprio da quelli che dovrebbero imparare da lui. Così è successo a me con voi. Eccola, leggetela insieme alla prof. Fateci su qualche pensiero. E non stanchiamoci mai di dire grazie”.

“Astrolabio, figlio mio, dolcezza della mia esistenza, ti lascio questo piccolo testamento spirituale, come insegnamento dell’apprendere e dell’insegnare. Sii teso ad apprendere più che a insegnare, poiché insegnando sei utile agli altri, ma solo imparando farai il tuo bene; e non abbandonare lo studio fino a quando non avrai la certezza di non aver più nulla da apprendere. Subisci il fascino di ciò che è detto e non di chi lo dice, evitando in tal modo l’accettazione passiva del sapere, e preoccupati che il tuo docente non ti impedisca di progredire per tuo conto, tenendoti legato a sé per amore. Come è vero che ci si nutre del frutto e non delle foglie del melo, così anteponi sempre il significato al significante e ricorda: la persuasione ha bisogno di catturare gli animi con discorsi ornati, ma all’insegnamento si addice la chiarezza. Là dove manchi la ricchezza dei contenuti abbondano le parole; è infatti costume di chi non ha progetto moltiplicare le strade o sfinirsi in tentativi. Che certezza potrà mai trasmetterti chi dubita di sé? Solo chi ha una logica di azione resta se stesso, fermo come il Sole, mentre lo stolto è instabile come l’erratica Luna; poiché chi ha una mente provvida incede con passo sicuro: prima medita a lungo e poi parla correttamente, per non doversi giudicare con vergogna. Il desiderio di comprendere ciò che dicono i dotti e ciò che fanno i buoni arda sempre nel tuo cuore”.

SCUOLA/ Studenti e prof, la regola "delle cinque A" per amare la lettura

www.ilsussidiario.it

 

 

 

mercoledì 13 gennaio 2021

ECOGESES. LIBRI PER LA FORMAZIONE CONTINUA


RECENTI PUBBLICAZIONI DELLA COOPERATIVA ECOGESE-AIMC





DaD ... PARLIAMONE

LA FEDE IN DIALOGO

DAI SAPERI ESSENZIALI ALLE COMPETENZE

DIDATTICA DELLA MATEMATICA

CONOSCENZA E AZIONI DELL'INTELLETTO

EDUCAZIONE DI QUALITA' EQUA E INCLUSIVA IN AULA

EDUCAZIONE MOTORIA PER LA SCUOLA DELL'INFANZIA E PRIMARIA

CULTURE ed EDUCAZIONE. SGUARDI DAL QUOTIDIANO

CURRICOLO E FORMAZIONE IN LONERGAN

L'ANTROPOLOGIA DI LONERGAN 

Vedi catalogo


 


sabato 18 luglio 2020

UN PAESE CHE NON LEGGE E' UN PAESE CHE NON COMPRENDE


NOI, CONSEGNATI

 AL PRESSAPPOCO

di Alessandro  Zaccuri

Si entra in libreria con più circospezione del solito, si accenna un saluto al titolare seduto in cassa, quasi non ci si arrischia a chiedere come sta andando. Protagonista di effimeri e tempestosi dibattiti nelle settimane più dure dell’emergenza coronavirus (riaprire no, riaprire sì, riaprire chi?), il mondo del libro italiano sta oggi attraversando una crisi che si annuncia devastante. Tale, per intenderci, da far rimpiangere la clamorosa flessione del 2008, quando il mercato si ridusse di un terzo. A confermare l’allarme – già percepito, in modo più o meno empirico, dagli addetti ai lavori e dai semplici appassionati – sono i dati dell’indagine realizzata da Cepell e Aie (si tratta rispettivamente del Centro per il libro e la lettura e dell’Associazione italiana editori) per valutare le conseguenze della Covid-19 sui 'consumi culturali' del Paese. In discussione non c’è soltanto la sorte delle librerie, che in questi mesi hanno drasticamente ridotto la loro attività a parziale beneficio del commercio online, ma il ruolo che la lettura dovrebbe svolgere in una fase tanto delicata. E che invece, con ogni evidenza, non riesce più a svolgere da tempo.
Ancora una volta, la pandemia ingrandisce e accelera un fenomeno già in atto. Ciò non toglie che la situazione, una volta trascritta in termini percentuali, resti sconfortante. Nello scorso mese di maggio, per esempio, solo il 58% degli italiani afferma di aver letto almeno un libro nell’anno precedente, con una riduzione del 15% rispetto allo stesso mese del 2019. La quota scende al 50% se si prende in esame il periodo aprile-maggio 2020, quello del pieno lockdown. Perché non si legge, perché non si è letto neppure allora? Gli intervistati danno risposte diverse, che vanno dalla comprensibile preoccupazione (anche molti lettori forti, andrà ammesso, non trovavano più la concentrazione necessaria) alla meno plausibile mancanza di tempo. E poi c’è la concorrenza della rete e delle piattaforme, certo, degli smartphone e delle serie tv. Ma la risposta forse potrebbe essere più brutale e diretta: gli italiani non leggono perché in Italia la lettura non è ritenuta importante. A parole sì, ci mancherebbe altro. La retorica del buon libro, lo struggimento per il profumo della carta (chi ha abbastanza libri in casa sa che il problema è semmai la polvere), la parete che arreda grazie alle copertine sistemate per nuances. Questo però è corredo, ornamento, non risorsa strategica.
Lo si è visto durante il lockdown, appunto, con le incertezze sul sistema scolastico e con la sostanziale scomparsa dell’università dal dibattito pubblico.
Perché la lettura – su questo occorre essere chiari – non è unicamente questione di romanzi e di poesie, che pure danno un apporto decisivo alla formazione della coscienza personale.
Si possono leggere saggi filosofici e trattati di economia, per esempio, ed è indispensabile che si legga di scienza e di teologia, di matematica come di spiritualità. La realtà è complessa, lo è sempre stata. Da qualche tempo, però, questa stessa complessità è maggiormente percepita e le sue conseguenze sono più evidenti, come l’andamento del contagio ha drammaticamente confermato. Per questo bisognerebbe leggere di più, non di meno.
Preoccuparsi per il destino del libro non significa soltanto prendersi a cuore il futuro di un settore merceologico, per quanto lavoro e dignità vadano garantiti a tutti: redattori editoriali e librai, promotori e addirittura autori. Il punto è che un Paese senza lettori è un Paese che non legge, ossia che non ha gli strumenti per interpretare il presente. Si affida all’emozione, al sentito dire, all’equivoco del pressappoco.
S i è visto nei mesi scorsi, ripetiamolo, e c’è da temere che si continuerà a vedere per un bel pezzo, se è vero – come sostiene la stessa indagine Cepell-Aie – che gli italiani d’ora in poi non prevedono affatto di tornare a concentrarsi sulla lettura. Di rallentare un po’, semmai. Di concedersi qualche altra distrazione. In questo, purtroppo, non vige più distinzione di classe, né di ruolo. Anche gli osservatori più coriacei e meno disposti alla nostalgia si sorprendono ogni tanto a vagheggiare il passato, quando in Parlamento sedevano persone che i libri, anziché scriverli, li leggevano. Per scacciare il malumore, allora, si prova a fare un salto in libreria. Si entra, si saluta, non si chiede più come sta andando.



giovedì 22 marzo 2018

GLI ITALIANI LEGGONO SEMPRE MENO. UNA SFIDA PER LA SCUOLA

Gli italiani leggono poco 
e la scuola potrebbe fare di più

IL PROSSIMO 24 MARZO  SI CELEBRERA'  
LA GIORNATA NAZIONALE PER LA PROMOZIONE DELLA LETTURA

 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 luglio 2009: " E' istituita la «Giornata nazionale per la promozione della lettura» che si terra' il 24 marzo di ogni anno. In tale giornata le amministrazioni pubbliche, anche in coordinamento con le associazioni e gli organismi operanti nel settore, assumono, nell'ambito delle rispettive competenze, iniziative volte a promuovere la lettura in tutte le sue forme e a sensibilizzare i cittadini, e in particolar modo le nuove generazioni, sui temi ad essa legati".


 di Christian Raimo, giornalista e scrittore

In Italia si legge poco, sempre meno, ma questo non sembra essere un dato allarmante.
Eppure il rapporto dell’Istat uscito il 27 dicembre è pieno di cattive notizie. Si dice che i “lettori sono passati dal 42 per cento della popolazione di 6 anni e più nel 2015, al 40,5 per cento nel 2016. Si tratta di circa 23 milioni di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali”: il che vuol dire che ci sono circa trenta milioni di persone alfabetizzate che non leggono nemmeno un libro all’anno.
Leggono più le femmine che i maschi: 47,1 per cento contro il 33,5 per cento. Si legge più al nord che al sud: 48,7 per cento contro il 27,5 per cento. Nel 2010 la percentuale dei lettori era del 46,8 per cento. In sei anni si sono persi tre milioni e mezzo di lettori. Cosa ha determinato questo crollo? “Nell’opinione degli editori”, dice sempre il rapporto, “i principali fattori che determinano la modesta propensione alla lettura in Italia sono il basso livello culturale della popolazione(39,7 per cento delle risposte) e la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura (37,7 per cento)”.
Il dato più significativo e preoccupante è infatti il calo di lettori tra i 15 e i 17 anni: dal 53,9 del 2015 per cento al 47,1 per cento al 2016. Praticamente meno della metà degli studenti italiani acquisisce l’abitudine a leggere libri.
Quello che si sta facendo per la promozione della lettura è poco e forse anche sbagliato
Se si vuole fare un confronto di massima con gli altri paesi europei si possono prendere i dati della recente ricerca curata dal Forum del libro – l’associazione che da anni cerca diportare al centro del dibattito pubblico e politico questi temi: la percentuale dei lettori è superiore al 75 per cento nella maggior parte dei paesi del centro e del nord dell’Europa occidentale: Svezia (89 per cento, il dato più alto), Danimarca, Finlandia, Estonia, Olanda, Lussemburgo, Germania,Regno Unito. Mentre è inferiore al 60 per cento in Portogallo (il dato europeo più basso: meno del 40 per cento), Cipro, Romania,Ungheria, Grecia. E Italia.
La reazione che in genere suscitano questi rapporti Istat è una lamentela diffusa che dura al massimo una settimana, accompagnata magari dall’elenco di quello che invece in Italia tutti i giorni insegnanti, bibliotecari, librai, editori, genitori di buona volontà fanno per contrastare questa tendenza a diventare un paese che non legge.
Nell’ultimo convegno del Forum del libro a Pistoia, il 3 novembre scorso, per esempio, si sono ascoltate decine di esperienze diffuse sul territorio: dalle biblioteche informali in piccolissimi paesi disabitati dell’Appenino ai centri culturali di periferia animati da inventive presentazioni di libri, dalle campagne pubblicitarie e di sconti, ai reading e altre iniziative nelle scuole.
Ma se da una parte non si può che riconoscere l’impegno di molti, dall’altra di fronte alle cifre riportate dall’Istat l’unica conclusione possibile è che quello che si sta facendo per la promozione della lettura è poco e forse anche sbagliato.
Poco nel senso che incide in piccolissima parte sull’infrastruttura culturale. Sbagliato nel senso che non si usa un metodo efficace. Quando a Pistoia Ricardo Levi dell’Aie, l’Associazione italiana editori, si inorgoglisce dei più di 200mila libri regalati attraverso Io leggo alle biblioteche scolastiche italiane (“il doppio dell’anno scorso!”), non vede che questo numero, confrontato con le decine di milioni di libri di altri programmi europei è risibile, e diviso per le biblioteche coinvolte vuol dire venti o trenta volumi a biblioteca. Ma soprattutto il punto è che incrementare il numero di libri regalati non basta e non vuol dire automaticamente aumentare i lettori.
Educare e formare
Un programma senza un osservatorio è inutile. E una cosa simile si può dire delle iniziative dei bonus docenti e dei bonus diciottenni di 500 euro finanziati dagli ultimi governi per i consumi culturali. Per fare un semplice esempio: gli insegnanti per l’anno 2016/2017 hanno speso circa 200 milioni di euro in hardware e software nuovo, ma solo 38 milioni di euro in libri.

Dare soldi a pioggia – ma senza una programmazione né una sistematicità – per incrementare i consumi o la disponibilità non significa fare educazione alla lettura, né in generale formazione culturale.
Questa semplice prospettiva si rivela ancora più chiara se si legge la parte della ricerca del Forum su come funzionano negli altri paesi europei i programmi di promozione alla lettura: a partire da uno sguardo d’insieme, si nota “come a livello europeo si ponga sempre maggiore attenzione ai programmi che intendono sviluppare la reading literacy. Il termine literacy in lettura significa comprendere, utilizzare e riflettere su testi scritti al fine di raggiungere i propri obiettivi, di sviluppare le proprie conoscenze e le proprie potenzialità e di svolgere un ruolo attivo nella società”. Nei convegni sembra che si abbia ben chiara la differenza tra educazione alla literacy e acquisto di libri, ma poi nelle iniziative del ministero della cultura, questa differenza non esiste più.