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giovedì 17 luglio 2025

INDICAZIONI VECCHIE E NUOVE

  


Nuove indicazioni, 

vecchie = progressiste 

e nuove = di destra? 

Calvani: “Meglio parlare di evidenze sperimentali. 

Vi spiego le criticità delle vecchie e delle nuove”

Di Anselmo Penna

 

In questo intervento, Antonio Calvani – già Professore ordinario di Didattica e Pedagogia speciale e Direttore scientifico della Società S.Ap.I.E. – propone una riflessione critica e documentata sul dibattito in corso riguardante le nuove Indicazioni nazionali per il curricolo. Calvani denuncia il rischio di derive ideologiche e dogmatiche, esortando a un confronto basato su evidenze scientifiche e dati empirici. Evidenzia le fragilità delle precedenti Indicazioni – troppo generiche, scarsamente ancorate ai saperi disciplinari e disallineate rispetto agli strumenti di valutazione nazionale – e rileva le criticità emergenti nelle nuove formulazioni, giudicate retoriche, ambiziose e affette da residui di “pedagogia ingenua”. A partire dai dati Invalsi e Pisa, l’autore mette in luce una profonda crisi delle competenze di base degli studenti, denunciando il sovraccarico di progetti scolastici, il disorientamento metodologico e l’impoverimento delle pratiche didattiche fondamentali. L’intervista si chiude con un appello per una scuola più essenziale, guidata dalla ricerca evidence-based, e capace di recuperare rigore, profondità e senso critico, al di là di mode e slogan.

Prof. Calvani che idea si è fatta del dibattito in corso?

Mi sembra inficiato da assunti pregiudiziali. Le ideologie sono cornici importanti, nessuno può farne a meno ma non dovrebbero diventare gabbie per una assertività dogmatica. Le posizioni dovrebbero essere sostenute da argomentazioni razionali e magari, essendo oggi più possibile di ieri, anche da evidenze sperimentali.

Presentare le nuove Indicazioni come “di destra”, e dunque da rigettare in quanto tali, a fronte delle vecchie a cui ci si dovrebbe ricollegare perché espressione di una ideologia progressista (a parte che se qualcuno verificasse le appartenenze ideologiche di chi sta lavorando alle nuove potrebbe scoprire che sono ben diverse rispetto a quelle del governo in carica), è espressione di un cliché preconcetto.

I problemi da affrontare nella scuola sono rilevanti, trasversali, e si sono radicati nel tempo. E le vecchie e nuove Indicazioni vanno valutate nel merito, senza sconti, considerando quanto siano e potranno essere capaci di confrontarsi con questi problemi reali.

Purtroppo, ministri di qualunque colore politico e le stesse commissioni di esperti hanno pochi strumenti di analisi e possono incontrare difficoltà a staccarsi da un mainstream culturale e anche dai riferimenti propri di una pedagogia ingenua, che li imbrigliano e determinano poi le decisioni della politica scolastica ripetendo spesso errori già visti nel tempo.

Si dovrebbero però intanto condividere tre punti di partenza:

a.    -  avvicinarsi quanto più possibile al mondo reale lasciando da parte sogni e desiderata;

b.   -  ammettere che si può avere sbagliato nelle scelte passate e che anche una tradizione di atteggiamenti e pratiche che ci sono apparse valide, possano essere state fonte di errori;

c.   - abbandonare una volta per tutte il solito logoro ritornello “autoreferenziale”: Noi abbiamo la scuola più bella del mondo, noi facciamo tante cose, non abbiamo bisogno di controlli esterni, Invalsi, Pisa-Ocse e così via…

NNo! Tutt’altro, la nostra scuola ha criticità forse anche maggiori di quanto si sia sinora sospettato, abbiamo assoluto bisogno di strumenti di confronto e di valutazioni esterne per uscire dal guado.

Quale è la sua valutazione delle vecchie Indicazioni e delle nuove?

Ho salutato con favore l’iniziativa di una riformulazione delle vecchie -fino ad un anno fa sembravano un tabù intoccabile- e anche che questa avvenisse all’insegna di una più robusta presenza dei disciplinaristi. Sono il prodotto culturale di un’epoca e in quanto tali vanno riconosciute e se vogliamo, anche apprezzate, ma non sono da rimpiangere avendo diversi difetti. Hanno preteso di indicare target di apprendimento (obiettivi e competenze, con un’enfasi particolare sulle seconde) senza una adeguata riflessione su come si definiscano e valutino questi concetti, presentando al loro posto solo generiche attività didattiche; hanno sottovalutato l’importanza dei saperi disciplinari (soprattutto nelle Scienze, e in questo forse sono corresponsabili del tracollo che i dati Pisa-Ocse ci mettono dinanzi), non hanno frenato adeguatamente un processo più vasto e pervasivo di concezioni e pratiche di pedagogia ingenua già diffuse da tempo.

Ci sono poi aspetti indiretti. Lasciando in forma così generica gli obiettivi, si è anche prodotto e mantenuto un gap con le prove Invalsi (che hanno dato una delle possibili interpretazioni di quei target). Ciò ha generato ansia e frustrazione in scuole e insegnanti, che non sanno bene dove orientare la loro programmazione e vedono con timore le prove Invalsi come una sorta di giudizio poco prevedibile e sconnesso dal proprio operato.

Circa le nuove Indicazioni, conviene aspettare la fine della revisione in corso per valutarle, sperando in una significativa riscrittura. Non è affatto detto che questi problemi siano affrontati con maggiore chiarezza. Nella prima formulazione risultano molte criticità: tratti evidenti di retorica, una visione dell’infanzia che non coglie le dimensioni più recenti che la ricerca ha portato in luce, parti debordanti e, a mio parere inapplicabili, come le ibridazioni ecc., altri tratti residuali di pedagogia ingenua.

A titolo puramente personale avrei preferito una scelta di fondo più coraggiosa orientata per un testo più asciutto ed essenziale. Anche il termine competenza, che considero fonte di confusione, avrebbe potuto essere eliminato. Sul piano tassonomico può essere sufficiente parlare di conoscenze di superficie (conoscenze soprattutto fattuali o dichiarative) e di conoscenze profonde (applicazioni, estensioni, usi di livello cognitivo più alto delle prime).

Inoltre, un testo di Indicazioni dovrebbe rendere chiaramente riconoscibili gli obiettivi minimi a cui tutti devono arrivare, lasciando poi per il resto maggiore libertà all’insegnante.

La scuola verte in situazioni di forte criticità. A cosa si riferisce con questa espressione?

Dobbiamo chiederci quali indicatori possiamo assumere per avere il “polso” dei risultati scolastici. Senza qui stare a ricordare le indicazioni Invalsi e Pisa-Ocse che dovrebbero essere analizzate con maggiore cura e che saltuariamente balzano all’attenzione dell’opinione pubblica, per poi essere dimenticate, abbiamo già richiamato in un altro intervento (Orizzonte scuola, 10 apr. 2025) due test che dovrebbero far riflettere, il primo concernente una prova di conoscenze basilari di fisica, il secondo ricavato da dati Invalsi stessi sulla riflessione linguistica; da entrambi emergono carenze che era difficile immaginare; su temi fondamentali di fisica la maggioranza degli alunni mantiene le conoscenze ingenue che aveva prima di aver studiato quegli argomenti e, per portare un esempio clamoroso, quasi nessuno in una scuola media sa correttamente spiegare da cosa dipenda l’alternanza del giorno e della notte; in modo quasi speculare, dal secondo test si ricava come quasi nessuno sappia riconoscere una proposizione dipendente, trovare il soggetto in una frase in cui è sottinteso, decidere se un “che” è soggetto o complemento oggetto e cose simili.

Se i risultati sono di questo tipo, e saremmo ben lieti se venissero smentiti, non sono forse indicativi di un vero e proprio disastro che è andato e va aggravandosi nella disattenzione di tutti? Quali previsioni si possono fare sulla formazione futura di giovani che escono con questa preparazione dalla scuola secondaria di primo grado, per non chiederci quali scienziati questo Paese immagini per il futuro di mettere in campo nelle sfide internazionali da affrontare.

Questo basta intanto per fornire qualche caveat urgente alle scuole e agli insegnanti di buon senso: si facciano controlli sistematici su aspetti analoghi a quelli segnalati relativi ad ogni ambito disciplinare. Gli alunni sanno riconoscere in un mappamondo le aree geografiche più importanti? Sanno ricordare e situare sulla linea del tempo i principali fenomeni storici studiati in precedenza? Quale è il loro livello lessicale? E così via.

Quali sono le cause principali di queste criticità?

A mio avviso il fattore più importante è il sovraccarico a cui sono sottoposti scuole, insegnanti e alunni. Se vogliamo migliorare la scuola dovremmo iniziare una battaglia culturale coraggiosa, contro corrente nei riguardi del sovraccarico, che non accenna a decrescere ma appare alimentato da una smania irrefrenabile di “innovare” (assumendo che innovare significhi tout court migliorare, il che è smentito quasi sempre). Un fiume di progetti sommerge la scuola da decenni (ora si è anche intensificato con i fondi del PNRR), progetti che non vengono mai seriamente valutati e senza che abbiano mai lasciato un sedimento di pratiche didattiche migliori.

A seguito di ciò la didattica quotidiana si presenta ormai come un continuo mordi e fuggi, un’occhiata e via, tutto in superficie, sempre di corsa, senza memorizzare. È una scuola che vede il trionfo dei pensieri veloci rispetto a quelli lenti, per dirla con Kahneman. È saltata la meccanica fondamentale dei processi di comprensione e di studio: fare letture riflessive, sintetizzare, riassumere, sono aspetti che in ogni classe dovrebbero ricevere la massima attenzione ma che sono assai poco praticati. Il “ripasso”, non inteso in una forma banalmente mnemonica e nozionistica, ma come operazione metacognitiva per cui si ritorna a distanza di tempo su quanto già studiato riorganizzando in memoria le conoscenze già apprese in forme di migliori sintesi, è uno degli aspetti che la ricerca ha riconosciuto della massima importanza. Ma quanto viene praticato in una scuola che corre sempre a cambiare, anche per paura di annoiare gli alunni?

Ha usato più volte l’espressione “pedagogia ingenua”. Cosa intende?

La ricerca in educazione si articola in diversi settori e non mancano certo lavori importanti sul piano filosofico, storico, mentre più debole è rimasta in Italia, a differenza di altri Paesi, la ricerca empirica e sperimentale.

Quello che arriva nelle pratiche didattiche sono spesso banalizzazioni di teorie che danno luogo a dannosi fraintendimenti. Se ne potrebbe fare una lunga lista. Per fare un esempio, una formuletta che si sente ripetere come il learning by doing, attribuita a Dewey, se fosse presa sul serio significherebbe immaginare che gli alunni possano arrivare a scoprire autonomamente quanto è stato imparato nel corso dell’umanità. Un altro ritornello di vecchia data è quello per cui bisognerebbe “abolire la lezione frontale”, quando tutte le evidenze più consolidate dimostrano come le scuole migliorano quando se ne migliora qualità.

Un riferimento importante come il costruttivismo è reso oggetto di cattive applicazioni: chiunque si occupa di pedagogia non può non essere costruttivista, nel senso di riconoscere che l’apprendimento muove sempre da schemi e preconoscenze già possedute e va visto come una ristrutturazione di questi schemi originari; però su questa base si è reinserita la fiumana carsica delle ingenuità di origine attivistica che periodicamente riemerge, per le quali andrebbe eliminata se non ridotta a qualche suggerimento la guida istruttiva e lasciata ampia autonomia agli alunni che dovrebbero soprattutto apprendere con pratiche di scoperta attiva da soli o in gruppi, magari con le nuove tecnologie, atteggiamenti questi che sono stati ormai definitivamente riconosciuti come causa di insuccessi, se non di veri e propri disastri educativi.

Anche l’interdisciplinarità è espressione di una pedagogia ingenua?

Certo. È una delle trappole in cui le nuove Indicazioni sono inesorabilmente cadute (ma del resto come sfuggirne se fanno parte dell’ultimo degli idola tribus dei nostri tempi, le STEM-STEAM)?

Ritengo che impiegare questi concetti prima del livello di una laurea magistrale in ambito scientifico sia una sostanziale mistificazione e una ulteriore causa di confusione. Le STEM vorrebbero esaltare la cultura di un ingegnere moderno, ma praticate già alla secondaria di secondo grado possono portare solo, nella migliore dei casi, a formare un modesto bricoleur (per usare la contrapposizione di Levi Strauss sui due modelli culturali).

Se ancora si scende a livelli più bassi ancora peggio.

Il tema meriterebbe una riflessione più critica, se ce ne fosse tempo e disponibilità. È ragionevole parlare di interdisciplinarità quando si incontrano criticità di base come quelle che abbiamo indicato? Risultano davvero convincenti quelle prove orali negli esami al termine della secondaria di primo grado in cui l’alunno “recita” un argomento a piacere con riferimenti interdisciplinari? O non sono vacui esercizi di retorica e un modo per stendere un velo pietoso su una reale inconsistenza dei saperi di base? Cosa accade quando il commissario, al di là del tema spesso altisonante scelto dal candidato, si sofferma a chiedere di spiegare uno qualunque dei termini o concetti che l’alunno ha utilizzato?

Tra chi l’interdisciplinarità la pratica sul serio (scienziati, professionisti), ce n’è qualcuno che sia arrivato a quel livello senza essere passato da una solida preparazione interna alla/e discipline?

Uno studioso come Ong ha dimostrato il significato profondo dell’avanzamento del pensiero scientifico con l’avvento dei manuali (testi in grado di recintare in modo coerente e esaustivo un sapere chiuso) rispetto a forme più interdisciplinari, ma scientificamente assai più gracili quali quelle dei saperi medievali o di altri modelli più primitivi. L’interdisciplinarità praticata da soggetti inesperti delle discipline non può che produrre futili accostamenti tra le idee ingenue dei bambini da cui ogni apprendimento non può prescindere.

È un altro portato della pedagogia ingenua anche sottovalutare l’importanza dei manuali. Un buon manuale rimane il medium più potente per consentire in tempi veloci la trasmissione dei saperi più importanti che l’umanità ha acquisito. Chiunque abbia incontrato nella propria esperienza scolastica un buon manuale disciplinare non può non riconoscere la validità insuperabile di questo strumento ed essere grato al suo autore. Vedo che però le nuove generazioni vengono private di questa fondamentale esperienza. I testi scolastici hanno oggi poco dei buoni manuali di una volta. Giganteschi e dispersivi, non invitano certo ad essere posseduti, riesaminati, interiorizzati. E gran parte dell’apprendimento si svolge attraverso il frammentismo delle informazioni tratte da Internet.

Lei si occupa di Evidence-based education da anni. Cosa pensa che di positivo possa venire da questo orientamento?

L’Evidence-based education non va considerata un’etichetta o una moda; in primo luogo, implica un atteggiamento mentale che invita a confrontarsi con le acquisizioni fondamentali a cui è arrivata la ricerca internazionale a seguito di bilanci sistematici (metanalisi) che fanno il punto sui diversi problemi dell’apprendimento e dell’istruzione comparando anche decine di sperimentazioni.

Ci sono diversi centri nel mondo come l’Education Endowment Foundation (EEF), che forniscono anche suggerimenti operativi alle scuole, spiegano come fare un buon programma con alte probabilità di successo, danno esempi e consigli sugli errori da evitare. Da questa cultura si impara anche come le scuole devono e possono procedere verso il miglioramento progressivo praticando forme di sperimentazioni sostenibili e migliorabili ed evitando di andare dietro agli slogan di moda.

Nell’ambito delle acquisizioni basate su evidenze, include anche la valutazione formativa, che è oggetto di discussione tra Ianes e Zanniello?

Sì. La valutazione formativa è una delle acquisizioni scientifiche più importanti che ha ricevuto alte conferme negli ultimi decenni. Alla su base c’è il concetto di feed-back, un’informazione che deve fare immediatamente capire ad un soggetto a che punto è in un percorso rivolto ad un obiettivo e cosa deve fare per avvicinarsi al suo conseguimento. È un concetto che va però collegato alla chiarezza degli obiettivi e a un sistema di complicità che si deve generare tra alunni e insegnante, all’interno del quale possono e debbono anche essere inseriti obiettivi sfidanti.

Speriamo che nelle nuove Indicazioni abbia adeguato risalto. Ma questo riferimento è stato introdotto in Italia da Domenico Vertecchi già ben cinquant’anni fa (La valutazione formativa, 1976). Nelle vecchie indicazioni, del resto poco interessate ad ogni intervento sugli studenti, che si vorrebbe ora difendere, non ce n’era affatto presenza.
Cosa pensa di Ianes che dice che le nuove indicazioni sono piene di paure

Mi sembra che semmai il problema sia proprio l’opposto, sono troppo ambiziose. L’immagine poi dei giovani che Ianes presenta sta nel mondo dei desiderata, non nella realtà.

Se poi si parla delle tecnologie verso cui si dovrebbe esser aperti e fiduciosi, occorrerebbe una visione più articolata. È una tematica multidimensionale che dovrebbe essere analizzata facendo gli opportuni distinguo, anche riconoscendo cosa è veramente utile e che rimane non utilizzato. C’è un aspetto che non mi incute paura, bensì orrore e pena allo stesso tempo.

È questo, infatti, quello che provo quando vedo una coppia di adolescenti su una panchina intenti ciascuno a guardare il proprio smartphone. Non ci si rende conto abbastanza del disastro generazionale in atto: giovani con il volto sempre abbassato, che non guardano più negli occhi, depauperati nella loro capacità di provare empatia verso gli altri. Prima di fare corsi di educazione socio-affettiva occorrerebbero sistematici interventi di collaborazione tra scuola e famiglia ed anche leggi proibitive più incisive e severe per mettere un argine contro gli effetti assai pericolosi di queste pratiche sempre più pervasive che, se lasciate a se stesse, tenderanno ad aggravarsi.

 Orizzonte Scuola


 

lunedì 24 marzo 2025

NUOVE TECNOLOGIE e INCLUSIONE


 Nuove indicazioni nazionali e inclusione, Perla: “Principio cardine del documento è l’Universal Design for Learning. Strategie accessibili per tutti.

Tecnologie? Supporto all’inclusione”

 

Di redazione

 

Nel corso di un’audizione relativa alla revisione delle Indicazioni Nazionali per il primo ciclo d’istruzione, è emersa l’attenzione verso il tema dell’inclusione degli studenti con disabilità e con bisogni educativi speciali. La senatrice Cosenza ha posto una domanda specifica sul ruolo del documento in discussione rispetto a questo obiettivo educativo.

La domanda della senatrice Cosenza sull’inclusione

Durante l’intervento, la senatrice ha richiesto un approfondimento riguardo a come il nuovo testo possa contribuire a migliorare le pratiche didattiche inclusive. La questione si è focalizzata sull’applicazione concreta dei principi previsti, in particolare nei confronti degli alunni che necessitano di supporti educativi personalizzati.

La visione pedagogica dell’inclusione scolastica

La risposta fornita dalla professoressa Loredana Perla, coordinatrice della Commissione di revisione, ha richiamato la concezione della didattica proposta dal pedagogista Comenio, che concepiva l’insegnamento come attività rivolta “a tutti, in tutto e completamente”. Questo principio implica che ogni pratica didattica debba orientarsi all’inclusione. Tuttavia, la necessità di inserire un paragrafo dedicato nel documento nasce dalla constatazione che non esiste ancora una consapevolezza diffusa sul fatto che l’inclusione debba essere parte integrante del compito di ogni insegnante.

Universal Design for Learning come riferimento metodologico

Il documento in discussione si fonda sul principio dell’Universal Design for Learning (UDL), un paradigma che propone strategie accessibili a tutti gli studenti, e non esclusivamente a quelli con disabilità. Questo approccio didattico mira a costruire ambienti di apprendimento flessibili, capaci di rispondere alle differenze individuali attraverso una pluralità di modalità di rappresentazione, espressione e coinvolgimento.

Tecnologie e innovazione al servizio dell’inclusione

Un altro aspetto evidenziato dalla Commissione è il ruolo delle tecnologie più avanzate nel supportare l’inclusione. Le innovazioni in ambito educativo possono costituire strumenti significativi per facilitare la partecipazione e l’apprendimento degli studenti, soprattutto nei contesti dove si manifestano forme di svantaggio o disabilità. L’inserimento di un paragrafo specifico sulle tecnologie risponde all’intento di riconoscere e valorizzare il contributo delle scoperte tecnologiche in questo campo.

 Orizzonte Scuola

 

domenica 23 marzo 2025

INDICAZIONI e VALUTAZIONE


Il documento sulle Nuove Indicazioni Nazionali contiene anche un paragrafo sulla valutazione.



Ne parliamo con Cristiano Corsini, docente di pedagogia sperimentale all’Università di Roma 3.


Professore, io partirei da una definizione che le Indicazioni nazionali danno della valutazione: “In quanto atto pedagogico culturale regolativo che pone al centro la valorizzazione dello studente la valutazione non si esaurisce nel rilevare e misurare ciò che l’alunno sa o sa fare, ma diviene strumento che mira a far emergere progressi criticità e potenzialità inespresse”. Come commenta questa definizione?

Sul fatto che la valutazione abbia un carattere culturale, pedagogico e regolativo possiamo essere concordi, però definire la valutazione un atto è rischioso, perché in realtà la valutazione è un processo.

E c’è anche un altro limite: il titolo del paragrafo parla della valutazione come atto di valorizzazione. Quest’ultimo termine rischia di enfatizzare la funzione premiale, punitiva, sommativa.

C’è anche un altro punto: parlare di funzione regolativa va bene, ma forse bisogna anche mettersi d’accordo su cosa si deve regolare. Secondo i migliori orientamenti della pedagogia la valutazione dovrebbe servire a regolare non soltanto i processi di apprendimento, ma soprattutto quelli di insegnamento. Mi sembra che su questo aspetto il documento sia carente. Cosa ne pensa?

Sono d’accordo: è molto carente. Sebbene la valutazione formativa venga richiamata anche in altre parti delle Indicazioni, parlarne in questo modo serve a poco.
Negli anni Sessanta e Settanta i grandi esperti che per primi hanno usato questa espressione come Michael Scriven o Benedetto Vertecchi affermavano che la valutazione è formativa se è finalizzata a dare forma all’insegnamento.

L’insegnante, cioè, usa la valutazione per regolare la propria didattica, perché la bontà della didattica non può essere data per scontata. Ma di tutto questo nel documento della Commissione Perla non c’è traccia ed è un peccato, perché a mio avviso le Indicazioni dovrebbero riguardare questo processo, che peraltro è ribadito come fondamentale da una parte importante della nostra normativa (pensiamo al decreto legislativo 62 del 2017).
E poi c’è anche un’esigenza di carattere scientifico che riguarda la pedagogia sperimentale, che da decenni si occupa di valutazione scolastica. Tra i suoi padri c’è Aldo Visalberghi, che diceva che chiunque creda nella bontà assoluta dei metodi che usa e dei fini che si pone e non è pronto a modificare gli uni e gli altri sulla base dell’esperienza non è un buon insegnante.
Insomma, se si vuole che la valutazione abbia esiti formativi per gli studenti deve avere una funzione analoga anche per i docenti: ed è proprio su questo che mi sembra che il documento sia un po’ carente.

A proposito di Aldo Visalberghi di cui lei è un attento studioso dobbiamo ricordare che a giugno 2025 ricorrono esattamente 70 anni dalla pubblicazione del suo libro Misurazione e valutazione. Le faccio una domanda che è poco più che un gioco: cosa direbbe oggi Visalberghi se dovesse leggere questo capitolo sulla valutazione?

Ovviamente è molto difficile rispondere, forse avrebbe dei rilievi sostanziali da fare. Probabilmente apprezzerebbe alcune parti perché, per esempio, il paragrafo contiene anche un bel passaggio sulle competenze. Forse non sarebbe d’accordo sulla funzione assegnata alla valutazione; la funzione regolativa, infatti, viene genericamente attestata, ma se poi siamo prescrittivi sugli obiettivi e persino sui contenuti è evidente che il tutto si fa incoerente. Se si propongono indicazioni che sono di fatto prescrittive su obiettivi e addirittura su contenuti non si può poi pretendere che l’insegnante usi in maniera autentica la valutazione come elemento formativo e non come strumento burocratico classificatorio e selettivo. C’è una contraddizione legata a quanto espresso nel paragrafo sulla valutazione; c’è insomma un contrasto insanabile fra il paragrafo sulla valutazione e il resto del documento. Da questo punto di vista il testo è inemendabile, perché le contraddizioni sono strutturali.

Veniamo ad un altro aspetto importante. Nel capitolo sulla valutazione si accenna anche alla autovalutazione dell’alunno, ma mi sembra che anche in questo caso manchi qualche cosa. Cosa ne pensa?

Se nel paragrafo cerchiamo l’autovalutazione, prendiamo atto che il riferimento si riduce a una nota. Poi per alcune discipline suggeriscono delle attività autovalutazione, ma questo vuol dire che l’autovalutazione non è attestata come processo imprescindibile, generalizzato e sistematico. Eppure, ormai da decenni le ricerche empiriche evidenziano che senza autovalutazione l’apprendimento ha minori possibilità di riuscita.
Cosa più importante, la marginalizzazione della autovalutazione contraddice anche la normativa: per esempio nello Statuto delle studentesse e degli studenti del ’98, esteso anche alla secondaria di primo grado, afferma che la valutazione deve servire ad attivare un processo di autovalutazione che consenta allo studente di individuare punti di forza e di debolezza e di migliorare. E anche per il 62/2017 l’autovalutazione è fondamentale.

Volendo formulare un primo giudizio lei cosa si sente di dire?

Mettendo insieme quello che c’è scritto nel paragrafo sulla valutazione con tutto quello che fa da contorno mi pare che emerga un modello di valutazione che contiene alcuni principi generali condivisibili ma che di fatto appare centrato sulla “valorizzazione dello studente” senza curarsi troppo di dare forma all’attività didattica. È lo stesso modello di valutazione che ha portato al questionario sulle Indicazioni inviato alle scuole e che impedisce a dirigenti e docenti di esprimere critiche nei confronti del lavoro svolto dalla commissione.
Un modello del genere non fa altro che confermare una valutazione con funzione prevalentemente di controllo e di selezione. In definitiva si rischia di legittimare la riproduzione delle differenze di partenza che sono poi quelle che impediscono di rimuovere gli ostacoli per il pieno sviluppo della persona umana.

Diciamo che c’è il rischio che queste Indicazioni che possano legittimare una scuola come fabbrica dei voti? E uso questa espressione non a caso perché si tratta esattamente del titolo del suo libro di prossima uscita.

La scuola come fabbrica dei voti è purtroppo una realtà estremamente diffusa; l’idea di usare la valutazione per classificare o per scegliere i più bravi ed espellere i meno bravi è ancora radicata, e la lettura di queste Indicazioni sembra confermare questa direzione.

 Tecnica della Scuola

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mercoledì 19 marzo 2025

SCRIVERE A MANO FA BENE

 La scrittura a mano, la memorizzazione e la lettura contro il “marciume cerebrale” causato dagli smartphone. 

Così le nuove indicazioni nazionali combattono gli effetti negativi della tecnologia

 

Di redazione

Non solo critiche e suggerimenti, le nuove Indicazioni nazionali proposte dal Ministero Valditara, incassano un giudizio estremamente positivo da parte di Andrea Cangini, direttore dell’Osservatorio Carta, Penna & Digitale della Fondazione Einaudi. Il quale, in un intervento su Italia oggi di Martedì 18 Marzo 2025 a Pagina 33, definisce l’enfasi sulla scrittura e la lettura individuate nelle Indicazioni come pratiche che possono contrastare gli effetti negativi derivanti dall’eccessivo utilizzo della tecnologia da parte delle nuove generazioni.

Di quali effetti parliamo?

Ne abbiamo già dato ampio spazio noi, attraverso un articolo che descriveva il fenomeno ormai noto come  “brain rot” o “marciscenza al cervello”. Il termine è stato scelto come parola dell’anno 2024 dalla Oxford University Press e, secondo Casper Grathwohl, presidente di Oxford Languages, il termine indica il deterioramento delle facoltà mentali, causato dall’abitudine di scorrere rapidamente contenuti superficiali, rendendo più difficile la memorizzazione e la concentrazione.

Ed è proprio sulla memorizzazione e concentrazione, nonché sugli effetti di ansia, depressione, disturbi alimentari e difficoltà di apprendimento che si concentra l’attenzione di Andrea Cangini.

La soluzione?

Scrittura manuale, memorizzazione, lettura, tutte attività che favoriscono il potenziamento dell’emisfero sinistro del cervello, responsabile del pensiero logico e analitico. Se questa area non viene adeguatamente sviluppata, ricorda Cangini, i ragazzi rischiano di dipendere esclusivamente dalla sfera emotiva, con un impatto negativo sulla loro capacità di valutazione critica e razionale.

Anche la particolare rilevanza data scrittura in corsivo e alla calligrafia, non solo per il loro valore tecnico, ha il suo motivo d’esistere, dal momento che stimola la coordinazione oculo-manuale e contribuiscono allo sviluppo del pensiero logico.

Gli studi

A dirlo non sono le Indicazioni nazionali, ma studi che hanno dimostrato gli effetti della calligrafia sullo sviluppo cognitivo dei bambini.

Ad esempio, uno studio norvegese ha rilevato che scrivere a mano attiva aree cerebrali legate all’elaborazione, all’attenzione e al linguaggio, migliorando l’apprendimento e la memoria. Inoltre, la scrittura manuale coinvolge processi cognitivi multipli, tra cui abilità motorie, memoria e elaborazione delle informazioni, favorendo uno sviluppo cognitivo più completo

Per quanto riguarda la calligrafia, questa non solo migliora la qualità della scrittura, ma contribuisce anche allo sviluppo delle capacità motorie e cognitive. I bambini che padroneggiano il corsivo e altri stili di scrittura manuale sviluppano una maggiore attività neuronale, possiedono un vocabolario più ampio e una maggiore capacità di comporre testi scritti rispetto a chi utilizza prevalentemente dispositivi elettronici.

 Orizzonte scuola

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sabato 15 marzo 2025

SCUOLA. MANCA UNA VISIONE

 


Emerge un’idea di scuola che guarda al passato. 
Manca una visione’


 

Una scuola che guarda più al passato che al futuro. È questa l’idea che si è fatto Italo Fiorin, coordinatore del Comitato scientifico delle Indicazioni Nazionali del 2012, dopo una prima lettura delle nuove Indicazioni diffuse dal Ministero dell’Istruzione e del Merito nei giorni scorsi. Noi di Tuttoscuola le abbiamo sfogliate e commentate con lui.

Professor Fiorin, cosa pensa di queste nuove Indicazioni?

“Sono appena uscite. Si tratta di un testo abbastanza corposo che va letto con attenzione. Dopo una prima lettura l’idea che mi sono fatto è questa: ci sono delle cose belle e delle cose nuove, ma le cose belle non sono nuove e le cose nuove non mi sembrano molto belle. Il tutto condito con abbondante retorica.”.

E cosa c’è di bello che non è nuovo e di nuovo che non è bello?

“E’ una buona cosa che venga, perfino più volte, fatto riferimento alla Costituzione, e che venga ribadita la centralità della persona, alla quale anche le Indicazioni precedenti davano molta attenzione. Così come non condividere l’importanza di una azione didattica che valorizzi i talenti, che educhi alla responsabilità, che promuova l’autogoverno in classe…  Tutto questo, però, condito da una retorica esortativa, ripetitiva, pedantesca. A parte il tono, sono cose nuove? Valutera’il mondo della scuola. E le perplessità iniziano già dal titolo della Premessa. Nella Indicazioni 2012 il titolo ‘Cultura, Scuola, Persona’ esprimeva con immediatezza l’idea che la scuola aiuta la persona a realizzarsi tramite la cultura. Ma nelle Indicazioni ‘nuove’ quale è il messaggio di ‘Persona, Scuola, Famiglia’? Forse si vuole ribadire l’ovvia importanza che hanno per lo studente la famiglia e la scuola, definite ‘colonne portanti’ della sua educazione? Leggendo le nuove Indicazioni siamo di fronte al ritrattino di una famiglia ‘ideale’, una famiglia che è difficile trovare nella realtà della nostra attuale società. E non basta richiamare dispositivi formali, come i patti di corresponsabilità, a coprire il vuoto di una fragilità genitoriale, quando non di una assenza, o di una distanza culturale che pone domande nuove alla scuola di oggi. E, quanto all’ attualità di queste nuove Indicazioni, mi chiedo in quale Italia si collochino, visto che il tema dell’intercultura è pressoché assente.

E sul piano didattico ha riscontrato delle contraddizioni?

Non poche. Ad esempio, da un lato si fa riferimento a un’impostazione di origine attivistica e costruttivista, che dovrebbe incentivare il protagonismo dell’alunno; dall’altro l’impostazione è precettistica, in certi casi fino alle minuzie, vi si respira un paternalismo didattico soffocante. Cosa dire, ad esempio, della didattica proposta per l’insegnamento della storia, dove addirittura si nega che gli alunni possano apprendere lavorando sulle fonti e sui documenti e si pensa che il modo migliore di insegnare sia quello di raccontare le cose mettendoci passione? Come conciliare questa sfiducia dichiarata nella capacità degli alunni di lavorare sulle fonti, anche le più semplici e di interpretare documenti, mentre tra le competenze attese in lingua e letteratura, nella scuola primaria, si dice che i bambini devono essere capaci di  comprendere “le intenzioni dell’emittente e l’affidabilità della fonte”? Ci sono poi non poche affermazioni sconcertanti, disseminate tra le pagine, come quando si raccomanda di “leggere testi che contengono idee intelligenti” o di attingere dal “patrimonio letterario italiano e straniero”. Naturalmente mi ripropongo una lettura  approfondita, ma mi sembra che queste Indicazioni abbiamo uno sguardo rivolto al passato e non al futuro, che propongano un’idea di scuola anacronistica e che ci riportino a una logica che è più quella dei vecchi Programmi che non quella di orientamenti pensati per una scuola del XXI secolo”. Se, come enfaticamente ho sentito dire, sono scritte guardando al futuro, si tratta di un futuro distopico.

Che tipo di docente emerge da queste nuove Indicazioni?

“Sul docente vengono spese parole importanti. C’è una evidente preoccupazione di ribadirne l’autorevolezza. Si dice che il docente è ‘magis’, e si scrive maestro con la M maiuscola. Lo si vuole in cattedra, ben eretto sulla predella che ne sottolinea l’asimmetria. Ma i grandi maestri sono quelli che tolgono la cattedra per fare spazio agli alunni, come fece Mario Lodi, non solo metaforicamente. È necessario ricordare che accanto al ‘magis ‘ di magister ci debba essere il ‘minus’ di minister, che, nel latino tanto caro agli estensori, significa colui che si mette al servizio, dal basso di una vicinanza e non dall’alto di una cattedra. L’autorevolezza di cui parlano le nuove Indicazioni è un’autorevolezza che viene definita per principio, dovuta a priori. Forse sarebbe bello, ma la realtà, non quella immaginata, non quella del libro Cuore, ci insegna che l’autorevolezza va conquistata. Come dice una bella poesia di Korczak, il difficile non è abbassarsi all’altezza dei bambini, ma innalzarsi alla loro altezza…”.

 Tuttoscuola

 

mercoledì 12 marzo 2025

I NUOVI "PROGRAMMI" A SCUOLA

 


Nella scuola di domani ci sono latino e IA

 Via al dibattito sulla proposta del governo

 

I nuovi “programmi” entreranno in vigore dall’anno scolastico 2026-2027. 

Tra i suggerimenti agli insegnanti, incoraggiare la lettura di «almeno tre libri» all’anno alle medie. 

Attenzione puntata anche sulla scrittura a mano e la lettura ad alta voce

Nella scuola del futuro latino e Intelligenza artificiale  saranno tra gli assi portanti delle nuove Indicazioni nazionali /ICP

 

-         di PAOLO FERRARIO

-          La scuola di domani sarà un mix di tradizione e innovazione, con il Latino e l’Intelligenza artificiale a segnare idealmente il perimetro delle nuove Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo (elementari e medie), prodotte dalla commissione ministeriale, incaricata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito di aggiornare i “programmi” datati 2012. La commissione, coordinata da Loredana Perla, professoressa ordinaria di Didattica e Pedagogia speciale all’Università “Aldo Moro” di Bari, è composta da esperti di diversi settori disciplinari. Tra questi, Ernesto Galli della Loggia per la Storia e Uto Ughi per la Musica. La bozza è stata pubblicata ieri sul sito del Mim e sarà la base di partenza della discussione pubblica che, dai prossimi giorni, coinvolgerà associazioni professionali e disciplinari, associazioni dei genitori e degli studenti e le organizzazioni sindacali della scuola. Le nuove Indicazioni nazionali entreranno in vigore dall’anno scolastico 2026-2027.

Alunno al centro del sistema

La premessa culturale generale delle nuove Indicazioni sottolinea la centralità dell’allievo nel sistema scolastico, ispirandosi ai principi costituzionali e mirando a uno sviluppo completo e bilanciato di tutte le sue facoltà. « La Costituzione mette al centro la persona e concepisce lo Stato per l’uomo e non l’uomo per lo Stato, come opportunamente sottolineava il costituente Giorgio La Pira – si legge nella Premessa culturale generale delle Nuove Indicazioni –. Così la scuola, che è scuola costituzionale, pone le persone degli allievi al centro delle sue azioni e ne promuove i talenti attraverso la formazione integrale e armonica di tutte le dimensioni: cognitive, affettive, relazionali, corporee, estetiche, etiche, spirituali».

Latino dalla seconda media

Confermando le indiscrezioni delle scorse settimane, ecco il ritorno del Latino alla scuola media (a partire dalla seconda) «per collegare il mondo che si è espresso in latino con l’esperienza degli studenti e con la realtà contemporanea – si legge ancora nelle Indicazioni – instaurando una virtuosa dinamica di acquisizione del passato, comprensione del presente e confronto con le sue istanze, preparazione per il futuro. Il latino va scoperto come opportunità e risorsa per la formazione in vista della scuola secondaria di secondo grado; va riconosciuto il ruolo giocato nello sviluppo della tradizione europea, distinguendo criticamente elementi di continuità e di discontinuità tra il testo antico e le forme della sua ricezione e va individuato nella cultura antica un possibile e vantaggioso punto di partenza per il confronto con altre tradizioni, lingue e culture».

Almeno tre libri all’anno

Particolare cura è dedicata, nelle nuove Indicazioni, alla lettura (« Almeno tre libri all’anno» alle medie) e allo studio delle poesie a memoria «perché se ne apprezzino il ritmo, la musicalità». E ancora, una maggiore attenzione allo sviluppo delle competenze Stem, l’introduzione delle classi con metodo Montessori alle medie, più importanza all’educazione civica, con un focus su relazioni di genere, rispetto e convivenza civile, un rafforzamento della scrittura manuale e della calligrafia come strumento di sviluppo del pensiero critico e riflessivo e della creatività, con un’attenzione particolare a musica, arte e narrazione.

La lettura ad alta voce

«Per la scuola delle Nuove Indicazioni – si legge ancora nel testo – la scrittura ha un significato profondamente umanistico e di supporto alla promozione degli apprendimenti di tutte le discipline. Carta e penna, lettura ad alta voce e piccole biblioteche d’aula devono convivere armoniosamente con assistenti virtuali».

Educazione alla cittadinanza

È prevista, infine, anche un’integrazione «prudente e critica» dell’IA nella didattica, con un ruolo centrale degli insegnanti nella mediazione accompagnata da percorsi di educazione alla cittadinanza digitale per favorire un uso consapevole delle tecnologie. 

«Gli insegnanti – si legge ancora nel documento della Commissione ministeriale – hanno il dovere di conoscere e capire le potenzialità della IA. E in aula di spiegare le logiche di funzionamento di dispositivi e piattaforme. L’IA offre certamente grandi opportunità per l’istruzione a condizione che il suo uso sia guidato da chiari principi etici.

 www.avvenire.it

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martedì 18 febbraio 2025

INDICAZIONI NAZIONALI. LA TERRA DEI PADRI


 
Nuove Indicazioni Nazionali, Perla in Commissione: 

“Prima l’Italia poi il resto. 


Cos’è la scuola senza Iliade e Odissea?”

 

Loredana Perla, la docente di Didattica e Pedagogia Speciale presso l’Università di Bari Aldo Moro, ha presieduto assieme Ernesto Galli La Loggia, la Commissione per la revisione della didattica incaricata di dare vita alle nuove Indicazioni Nazionali per il primo ciclo dal ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

 La professoressa, intervistata da Il Fatto Quotidiano, come riporta Open ha definito la Bibbia “come libro dei libri”, nonché “fonte di tutta la nostra letteratura”. “I nostri insegnanti sono bravissimi, riusciranno a scegliere per ogni anno di età parti e spunti significativi. Internet ha fatto un danno enorme alla cultura del sapere classico, la tecnologia produce scritture alternative e sfibra la memoria”.

La docente sostiene che “da un punto di vista culturale, essere patrioti, conoscere cioè la terra dei padri, è un’aspirazione che dovrebbe coinvolgere tutti”. Anche per questo “secondo noi va rinnovato un patto con la cultura classica, aiutato lo studente a riconoscere e studiare la grande letteratura, l’epica. Che cos’è la scuola senza l’Iliade e l’Odissea? Ci sono mille modi: anche i fumetti possono aiutare i nostri bimbi”. Bisogna conoscere “prima l’Italia, e poi il resto”.

Il progetto

Dopo oltre cento consultazioni con associazioni di genitori, di categoria e comitati studenteschi, la Commissione chiamata a sostenere il ministero nella stesura dei nuovi programmi ha dato corpo al progetto. La presenza nella Commissione di personalità quali Uto Ughi e di Flavia Vallone, solista e prima ballerina al Teatro alla Scala, dimostra fin dall’inizio dei lavori di preparazione l’idea di valorizzare lo studio della musica e dell’arte.

“Diciamo che prendiamo il meglio della nostra tradizione per una scuola capace di costruire il futuro. Ma vorrei precisare che la commissione da me incaricata, che ha già fatto oltre cento audizioni, ha svolto un lavoro capillare e approfondito, su cui avvieremo un ampio confronto”, ha esordito il ministro.

Ecco le varie novità: “Abbiamo disegnato il cammino di bambini ed adolescenti dai 3 ai 14 anni, insomma il percorso dall’infanzia alle medie. Ma stiamo lavorando anche per le superiori. E introduciamo molte innovazioni. Cominciando dall’Italiano. Ma non solo: verrà reintrodotta la possibilità di inserire il latino nel curricolo a partire dalla seconda media, verrà abolita la geostoria nelle superiori e ridata centralità alla narrazione di quel che è accaduto nella nostra penisola dai tempi antichi fino ad oggi. E poi, fra le tante novità, sin dalla prima elementare avvicineremo i bambini alla musica, alla sua comprensione, alla civiltà musicale. Per questo fra gli esperti che hanno lavorato in questi mesi ci sono storici come Ernesto Galli della Loggia, latinisti come Andrea Balbo, il presidente emerito dell’Accademia della Crusca Claudio Marazzini, letterati come Claudio Giunta, musicisti celeberrimi come Uto Ughi e figure di spicco del mondo artistico”.

Il latino alle medie sarà ancora a scelta delle famiglie ma diventerà curricolare (un’ora a settimana dalla seconda media).

“Sarà dato più spazio alla letteratura, anche dell’infanzia, e alla grammatica. L’insegnamento della letteratura sin dalla prima elementare, in modalità adeguata alla giovane età degli studenti, deve far sì che gli allievi prendano gusto alla lettura e imparino a scrivere bene. Si è scelto di rafforzare l’abilità di scrittura che è quella più in crisi delle abilità linguistiche”, ha aggiunto Valditara.

La lettura viene stimolata anche attraverso lo studio dell’epica che non comprende più solamente i poemi omerici e Virgilio. Il repertorio si amplia fino a comprendere la saga di Percy Jackson. Resta forte il richiamo ai classici per ragazzi (Verne, Stevenson) da leggere in classe nella versione integrale ma a essi si possono affiancare autori che oggi sanno raccogliere il favore del pubblico più giovane senza rinunciare alla qualità romanzesca e letteraria, come Stephen King.

Nella riforma la Storia acquista un ruolo fondamentale fin dalle prime classi delle elementari dove si incoraggia la lettura di testi dell’epica classica ma anche della Bibbia per rafforzare le conoscenze delle radici della nostra cultura.

Cosa cambierà?

In sintesi, le novità che Valditara intende portare avanti sono:

  • Possibilità di inserire il latino nel curricolo a partire dalla seconda media;
  • Abolita la geostoria nelle superiori;
  • Centralità alla narrazione di quel che è accaduto nella nostra penisola dai tempi antichi fino ad oggi;
  • Più musica, letteratura, epica, filastrocche e grammatica alla primaria.

 

Tecnica della scuola

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