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giovedì 16 aprile 2020

LOUIS SAPULVEDA, LO SCRITTORE CHE CI HA INSEGNATO A VOLARE

Addio Luis Sepulveda, ci ha raccontato che il Creato è uno solo

di Marco Testi

 “- Bene, gatto. Ci siamo riusciti - disse sospirando - Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante - miagolò  Zorba - Ah sì? E cosa ha capito? - chiese l’umano - Che vola solo chi osa farlo - miagolò Zorba.”
 “È molto facile accettare e amare chi è uguale a noi, ma con qualcuno che è diverso è molto difficile, e tu ci hai aiutato a farlo.”

Le sue erano anche favole, nel senso che, come spesso accade nelle fiabe, parlavano ai ragazzini per farsi sentire dagli adulti, con animali che ammoniscono l’uomo a capire bene cosa significhi civiltà. Il suo impatto è tutt’altro che indolore, spiegava e raccontava Sepulveda, non solo sugli animali, ma sui ghiacci, sulle acque, sull’erba, sugli abitanti della terra che hanno seguito altre strade, diverse da quelle della “civiltà”: gli indios, ad esempio, con cui visse per un periodo, comprendendo anche i limiti del suo proprio sguardo di uomo “civile”, perché il loro vivere a contatto con la natura e i suoi prodotti significava la messa in crisi della sua ideologia marxista, che si basava tutta sull’industrializzazione e sulla “modernità” dei mezzi di produzione
Così anche la letteratura paga il suo tributo. Luis Sepulveda Calfucura ci ha lasciato, a settant’anni, lontano dal suo Cile. È morto oggi a Oviedo, in Spagna, dove abitava da diverso tempo, a causa del Covid-19.
Aveva venduto più di 9 milioni di copie di “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”, di “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore” e tanti altri racconti in cui precipitavano – in una sostanza creativa sospesa tra favola, sogno, politica, memoria e nostalgia – personaggi che sono divenuti famosi, e non solo tra gli esperti di letteratura.
Aveva lasciato il Cile dopo la presa del potere dei militari che avevano rovesciato il governo di Salvador Allende (aveva fatto parte della guardia personale del presidente socialista ucciso nel golpe del 1973 ed aveva passato quasi tre anni in carcere). Aveva poi militato attivamente in Greenpeace e nelle lotte per la tutela del mare e della terra, contro l’inquinamento e la lenta soppressione dell’ecosistema.

Le sue erano anche favole, nel senso che, come spesso accade nelle fiabe, parlavano ai ragazzini per farsi sentire dagli adulti, con animali che ammoniscono l’uomo a capire bene cosa significhi civiltà.Il suo impatto è tutt’altro che indolore, spiegava e raccontava Sepulveda, non solo sugli animali, ma sui ghiacci, sulle acque, sull’erba, sugli abitanti della terra che hanno seguito altre strade, diverse da quelle della “civiltà”. Gli indios, ad esempio, con cui visse per un periodo, comprendendo anche i limiti del suo proprio sguardo di uomo “civile”, perché il loro vivere a contatto con la natura e i suoi prodotti significava la messa in crisi della sua ideologia marxista, che si basava tutta sull’industrializzazione e sulla “modernità” dei mezzi di produzione.
Un’esistenza dunque coraggiosa, non solo per la militanza e per la difesa degli ultimi, ma per il coraggio di mettere in discussione antiche certezze e combattere senza più pregiudizi ideologici per il bene primario della vita a contatto con la natura.
Un esempio ammirevole di coerenza estrema, dunque, di capacità di far coincidere il racconto di sé – e degli altri – con la reale, apparentemente banale, vita di tutti i giorni. Che è più eroica, ce lo hanno insegnato in tanti, di quello che si possa pensare.
A patto di non lasciarsi andare allo scoraggiamento di combattere per il bene, che esiste.
Qui, e ora, ce lo ha detto, anzi, raccontato, anche lui, ma è un insegnamento che viene da molto lontano (ce lo hanno insegnato anche un Cantico e un’enciclica papale dallo stesso nome), e si chiama futuro dell’uomo a contatto – e in armonia – con la madre natura.





giovedì 14 febbraio 2019

MILO, IL GATTO CHE NON SAPEVA SALTARE

Un racconto su un felino 
affetto da una malattia grave.
 Un modo per riflettere sulla cultura degli “scarti” oggi molto diffusa anche fra gli umani
C’era una volta un gatto, che non sapeva saltare. Potrebbe essere l’incipit di una favola antica, piena di magia, oppure di un apologo contemporaneo sugli ostacoli della vita e le nostre incapacità (o capacità) di superarli.
Invece è una storia vera, grazie alla quale possiamo imparare molto. Intanto, perché quello che si racconta qui potrebbe accadere a chiunque: incontrare un gattino randagio, e accoglierlo come nostro amico, come parte della famiglia. Può accadere che questo nuovo amico, oltre a essere malandato e debole, non riesca a compiere quelle tipiche azioni che fanno di un felino un predatore: perde l’equilibrio, è incapace di saltare da un mobile all’altro di casa. Insomma, in breve la diagnosi è chiara: è un gatto disabile. La Storia di Milo, il gatto che non sapeva saltare (Guanda, pagine 112, euro 13) che racconta Costanza Rizzacasa D’Orsogna partendo da una sua vicenda personale, ci fa sorridere, ma anche commuovere, e soprattutto ci induce a sbloccare in noi un’emozione che tendiamo a seppellire: l’empatia. Che può nascere anche dalla condivisione di sentimenti dolorosi, di fronte al male che a volte la vita ci riserva, ma che possiamo affrontare meglio se c’è qualcuno accanto a noi. E non è la prima volta che uno scrittore sceglie protagonisti animali per meglio parlare della nostra vita, interiore, sociale e affettiva. È un incontro, quello con la malattia, la problematica fisica, che può avvenire su qualunque piano umano. Può accadere che entri nella nostra vita una persona che non possiede tutte le abilità motorie, le risorse corporee di chi è in perfetta salute. Oppure possiamo sentirci a nostra volta rifiutati, sottovalutati per una nostra vera o presunta incapacità. Ma non per questo dobbiamo fermarci, chiuderci alla vita o credere che il limite ci bloccherà senza rimedio. «Se hai un bimbo disabile, lo butti forse nel cestino?», esclama la protagonista di
Storia di Milo, rispondendo al veterinario che osserva tranquillo come «gattini così solitamente vengono soppressi». Una scelta che, naturalmente la “mamma umana” di Milo non fa, ricevendo in cambio dal micio una quantità di affetto tale da superare qualsiasi difficoltà causata dal male che lo ha colpito. Una malformazione al cervelletto, tecnicamente una “ipoplasia cerebellare”, che gli provoca instabilità e mancanza di equilibrio. Ma che l’empatia e l’amore riescono a curare.
Non solo quello della ragazza che lo ha adottato, ma anche degli amici animali che il destino gli mette davanti. La vera sorpresa di questa storia, infatti, è il punto di vista da cui è raccontata: quello del gattino disabile, che ci mostra il nostro mondo e le sue contraddizioni dalla sua visuale. Per lui non saper saltare non è un problema grave, e se riflette sulla sua discontinua agilità, la considera una risorsa speciale; ascoltando la diagnosi del veterinario, spera che «disabile voglia dire proprio bellissimo e speciale», come gli dice sempre la sua “mamma”. In questo, è aiutato da altri animali con cui dialoga e condivide avventure: un gabbiano, uno scorpione, un riccio, un vecchio gatto randagio, che si rivelano veri campioni di solidarietà, lo incoraggiano a sentirsi speciale e gli insegnano i loro trucchi del mestiere. Anche riguardo al colore del suo manto, completamente nero, il pensiero di una diversità infamante non sfiora Milo: «sono come voi, ho solo la pelliccetta scura», ribatte con energia, dopo gli strani discorsi, per lui incomprensibili, sulla sfortuna legata ai gatti neri. 
Un rovesciamento di prospettiva che potremmo provare almeno una volta: dovremmo pensare ai diversamente abili come a relitti esclusi dalla società e condannati a un’esistenza infelice, oppure come a persone che ci possono dare molto, con il loro amore, e la visuale da cui fanno esperienza? E soprattutto, possiamo pensare di capirli? Forse sanno comprenderci meglio di quanto ci aspettiamo, hanno saputo coltivare l’empatia senza appannarla con i nostri filtri quotidiani. Come Milo e i suoi amici di varie specie, che con l’innocenza, la purezza disarmante che li distingue, sanno molto più di quanto noi stessi crediamo di sapere. «Gli animali capiscono quello che noi diciamo, siamo noi, invece, che spesso non capiamo loro, o non vogliamo»: l’osservazione della protagonista è un invito a varcare il confine di un mondo che non ci è affatto precluso. Scoprendo nuove possibilità di interpretare l’amore, l’amicizia, la solidarietà, ogni tipo di connessione che ci unisce.



mercoledì 25 luglio 2018

AUTISMO E GATTI. LA STORIA DI FRASER E BILLY

Un gatto in casa fa bene ai bimbi autistici
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Uno studio condotto dalle Università Davis in California e della Mizzou nel Missouri testimonia che la presenza di un micio in casa è di grande aiuto per i bimbi affetti da forme lievi o moderate di autismo. I ricercatori hanno appurato che i benefici dati dal contatto e interazione con il gatto sono davvero importanti per i bambini e adolescenti autistici, dichiarando: «II loro contributo nell'aiutare i bambini ammalati risulta considerevole, migliorano le loro capacità di relazionarsi con gli altri, la percezione del mondo esterno, acquistando autostima, empatia e fiducia in se stessi». 
L'autismo è un grave disturbo del neurosviluppo che colpisce in tenera età, distinto da apparente carenza di interessi e relazioni con gli altri, indifferenza emotiva agli stimoli, tendenza all'isolamento o al contrario, ipereccitabilità; sfiducia verso gli altri e se stessi.
II mondo interiore dei piccoli affetti da autismo è disturbato da ansia, tristezza, paure, e alterato da notevole diffidenza verso il mondo che li circonda, visto come incoerente, portatore di angosciose frustrazioni; si ritrovano spesso soli in un ambiente nel quale non si sentono capiti e accettati e ciò li conduce sempre più alla chiusura.
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PER RIFLETTERE

La storia di Fraser, un bimbo inglese di cinque anni affetto da autismo, che fino a poco tempo fa non riusciva neppure a fare le cose più semplici, come bere un bicchiere d'acqua o aprire un libro, conferma le recenti teorie americane. Ora la sua vita è cambiata, Fraser è rinato, grazie a Billy, un gatto randagio trovato nel gattile. Il bimbo e il gatto si sono scelti da soli e da allora sono inseparabili. Billy ha completamente trasformato la vita di Fraser, ed ora in casa è tornata la felicità. Ogni volta che Fraser si arrabbia lui sbuca dal nulla e lo rassicura, sono sempre vicini e si coccolano a vicenda. Billy riesce a capire e captare i desideri e le emozioni di Fraser; e quando c'è qualcosa che lo turba si siede sempre su di lui per stare più vicino possibile.
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Ebbene la presenza di un micio rompe questi schemi. Sarà che un animale non ha pregiudizi nei riguardi delle persone e accetta ogni umano in modo spontaneo e incondizionato, il suo approccio lineare e confortevole li aiuta a sviluppare rapporti più equilibrati verso il mondo esterno. Il gatto riesce ad interagire con loro, capire i loro bisogni e desideri, facendogli diminuire la sofferenza interiore e regredire rabbia e collera, ma pure altri sintomi. 
Un'altra ricerca recente conferma questi risultati: a Tucson in Arizona è partito il progetto "Le fusa per l'autismo", promosso da Autism Society of Southern Arizona, che consente ai bimbi autistici di visitare regolarmente un gattile locale ed interagire con i mici. I risultati positivi e sorprendenti hanno esteso l'iniziativa anche agli adolescenti con la stessa sindrome. Il beneficio è doppio: i bambini sono più socievoli e si relazionano meglio attraverso il gatto, i mici trovatelli sono felici di ricevere coccole, in più si abituano al contatto umano che li aiuterà ad inserirsi in famiglie pronte ad adottarli.

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