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sabato 6 marzo 2021

PREGHIERA DEI FIGLI DI ABRAMO


Dio Onnipotente, Creatore nostro che ami la famiglia umana e tutto ciò che le tue mani hanno compiuto, noi, figli e figlie di Abramo appartenenti all’ebraismo, al cristianesimo e all’islam, insieme agli altri credenti e a tutte le persone di buona volontà, ti ringraziamo per averci donato come padre comune nella fede Abramo, figlio insigne di questa nobile e cara terra.

Ti ringraziamo per il suo esempio di uomo di fede che ti ha obbedito fino in fondo, lasciando la sua famiglia, la sua tribù e la sua patria per andare verso una terra che non conosceva.

Ti ringraziamo anche per l’esempio di coraggio, di resilienza e di forza d’animo, di generosità e di ospitalità che il nostro comune padre nella fede ci ha donato.

Ti ringraziamo, in particolare, per la sua fede eroica, dimostrata dalla disponibilità a sacrificare suo figlio per obbedire al tuo comando. Sappiamo che era una prova difficilissima, dalla quale tuttavia è uscito vincitore, perché senza riserve si è fidato di Te, che sei misericordioso e apri sempre possibilità nuove per ricominciare.

Ti ringraziamo perché, benedicendo il nostro padre Abramo, hai fatto di lui una benedizione per tutti i popoli.

Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse.

Fai di ognuno di noi un testimone della tua cura amorevole per tutti, in particolare per i rifugiati e gli sfollati, le vedove e gli orfani, i poveri e gli ammalati.

Apri i nostri cuori al perdono reciproco e rendici strumenti di riconciliazione, costruttori di una società più giusta e fraterna.

Accogli nella tua dimora di pace e di luce tutti i defunti, in particolare le vittime della violenza e delle guerre.

Assisti le autorità civili nel cercare e trovare le persone rapite, e nel proteggere in modo speciale le donne e i bambini.

Aiutaci ad avere cura del pianeta, casa comune che, nella tua bontà e generosità, hai dato a tutti noi.

Sostieni le nostre mani nella ricostruzione di questo Paese, e dacci la forza necessaria per aiutare quanti hanno dovuto lasciare le loro case e loro terre a rientrare in sicurezza e con dignità, e a iniziare una vita nuova, serena e prospera. Amen.

 

www.vatican.va

  

GUARDIAMO IL CIELO, CAMMINIAMO SULLA TERRA

                   


INCONTRO INTERRELIGIOSO

Piana di Ur


Cari fratelli e sorelle,

questo luogo benedetto ci riporta alle origini, alle sorgenti dell’opera di Dio, alla nascita delle nostre religioni. Qui, dove visse Abramo nostro padre, ci sembra di tornare a casa. Qui egli sentì la chiamata di Dio, da qui partì per un viaggio che avrebbe cambiato la storia. Noi siamo il frutto di quella chiamata e di quel viaggio. Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra.

1. Guardiamo il cielo. Contemplando dopo millenni lo stesso cielo, appaiono le medesime stelle. Esse illuminano le notti più scure perché brillano insieme. Il cielo ci dona così un messaggio di unità: l’Altissimo sopra di noi ci invita a non separarci mai dal fratello che sta accanto a noi. L’Oltre di Dio ci rimanda all’altro del fratello. Ma se vogliamo custodire la fraternità, non possiamo perdere di vista il Cielo. Noi, discendenza di Abramo e rappresentanti di diverse religioni, sentiamo di avere anzitutto questo ruolo: aiutare i nostri fratelli e sorelle a elevare lo sguardo e la preghiera al Cielo. Tutti ne abbiamo bisogno, perché non bastiamo a noi stessi. L’uomo non è onnipotente, da solo non ce la può fare. E se estromette Dio, finisce per adorare le cose terrene. Ma i beni del mondo, che a tanti fanno scordare Dio e gli altri, non sono il motivo del nostro viaggio sulla Terra. Alziamo gli occhi al Cielo per elevarci dalle bassezze della vanità; serviamo Dio, per uscire dalla schiavitù dell’io, perché Dio ci spinge ad amare. Ecco la vera religiosità: adorare Dio e amare il prossimo. Nel mondo d’oggi, che spesso dimentica l’Altissimo o ne offre un’immagine distorta, i credenti sono chiamati a testimoniare la sua bontà, a mostrare la sua paternità mediante la loro fraternità.

Da questo luogo sorgivo di fede, dalla terra del nostro padre Abramo, affermiamo che Dio è misericordioso e che l’offesa più blasfema è profanare il suo nome odiando il fratello. Ostilità, estremismo e violenza non nascono da un animo religioso: sono tradimenti della religione. E noi credenti non possiamo tacere quando il terrorismo abusa della religione. Anzi, sta a noi dissolvere con chiarezza i fraintendimenti. Non permettiamo che la luce del Cielo sia coperta dalle nuvole dell’odio! Sopra questo Paese si sono addensate le nubi oscure del terrorismo, della guerra e della violenza. Ne hanno sofferto tutte le comunità etniche e religiose. Vorrei ricordare in particolare quella yazida, che ha pianto la morte di molti uomini e ha visto migliaia di donne, ragazze e bambini rapiti, venduti come schiavi e sottoposti a violenze fisiche e a conversioni forzate. Oggi preghiamo per quanti hanno subito tali sofferenze, per quanti sono ancora dispersi e sequestrati, perché tornino presto alle loro case. E preghiamo perché ovunque siano rispettate e riconosciute la libertà di coscienza e la libertà religiosa: sono diritti fondamentali, perché rendono l’uomo libero di contemplare il Cielo per il quale è stato creato.

Il terrorismo, quando ha invaso il nord di questo caro Paese, ha barbaramente distrutto parte del suo meraviglioso patrimonio religioso, tra cui chiese, monasteri e luoghi di culto di varie comunità. Ma anche in quel momento buio sono brillate delle stelle. Penso ai giovani volontari musulmani di Mosul, che hanno aiutato a risistemare chiese e monasteri, costruendo amicizie fraterne sulle macerie dell’odio, e a cristiani e musulmani che oggi restaurano insieme moschee e chiese. Il professor Ali Thajeel ci ha anche raccontato il ritorno dei pellegrini in questa città. È importante peregrinare verso i luoghi sacri: è il segno più bello della nostalgia del Cielo sulla Terra. Perciò amare e custodire i luoghi sacri è una necessità esistenziale, nel ricordo del nostro padre Abramo, che in diversi posti innalzò verso il cielo altari al Signore (cfr Gen 12,7.8; 13,18; 22,9). Il grande patriarca ci aiuti a rendere i luoghi sacri di ciascuno oasi di pace e d’incontro per tutti! Egli, per la sua fedeltà a Dio, divenne benedizione per tutte le genti (cfr Gen 12,3); il nostro essere oggi qui sulle sue orme sia segno di benedizione e di speranza per l’Iraq, per il Medio Oriente e per il mondo intero. Il Cielo non si è stancato della Terra: Dio ama ogni popolo, ogni sua figlia e ogni suo figlio! Non stanchiamoci mai di guardare il cielo, di guardare queste stelle, le stesse che, a suo tempo, guardò il nostro padre Abramo.

2. Camminiamo sulla terra. Gli occhi al cielo non distolsero, ma incoraggiarono Abramo a camminare sulla terra, a intraprendere un viaggio che, attraverso la sua discendenza, avrebbe toccato ogni secolo e latitudine. Ma tutto cominciò da qui, dal Signore che “lo fece uscire da Ur” (cfr Gen 15,7). Il suo fu dunque un cammino in uscita, che comportò sacrifici: dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli. Anche a noi succede qualcosa di simile: nel cammino, siamo chiamati a lasciare quei legami e attaccamenti che, chiudendoci nei nostri gruppi, ci impediscono di accogliere l’amore sconfinato di Dio e di vedere negli altri dei fratelli. Sì, abbiamo bisogno di uscire da noi stessi, perché abbiamo bisogno gli uni degli altri. La pandemia ci ha fatto comprendere che «nessuno si salva da solo» (Lett. enc. Fratelli tutti, 54). Eppure ritorna sempre la tentazione di prendere le distanze dagli altri. Ma «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (ibid., 36). Nelle tempeste che stiamo attraversando non ci salverà l’isolamento, non ci salveranno la corsa a rafforzare gli armamenti e ad erigere muri, che anzi ci renderanno sempre più distanti e arrabbiati. Non ci salverà l’idolatria del denaro, che rinchiude in sé stessi e provoca voragini di disuguaglianza in cui l’umanità sprofonda. Non ci salverà il consumismo, che anestetizza la mente e paralizza il cuore.

La via che il Cielo indica al nostro cammino è un’altra, è la via della pace. Essa chiede, soprattutto nella tempesta, di remare insieme dalla stessa parte. È indegno che, mentre siamo tutti provati dalla crisi pandemica, e specialmente qui dove i conflitti hanno causato tanta miseria, qualcuno pensi avidamente ai propri affari. Non ci sarà pace senza condivisione e accoglienza, senza una giustizia che assicuri equità e promozione per tutti, a cominciare dai più deboli. Non ci sarà pace senza popoli che tendono la mano ad altri popoli. Non ci sarà pace finché gli altri saranno un loro e non un noi. Non ci sarà pace finché le alleanze saranno contro qualcuno, perché le alleanze degli uni contro gli altri aumentano solo le divisioni. La pace non chiede vincitori né vinti, ma fratelli e sorelle che, nonostante le incomprensioni e le ferite del passato, camminino dal conflitto all’unità. Chiediamolo nella preghiera per tutto il Medio Oriente, penso in particolare alla vicina, martoriata Siria.

Il patriarca Abramo, che oggi ci raduna in unità, fu profeta dell’Altissimo. Un’antica profezia dice che i popoli «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci» (Is 2,4). Questa profezia non si è realizzata, anzi spade e lance sono diventate missili e bombe. Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo.

Cari amici, tutto ciò è possibile? Il padre Abramo, egli che seppe sperare contro ogni speranza (cfr Rm 4,18) ci incoraggia. Nella storia abbiamo spesso inseguito mete troppo terrene e abbiamo camminato ognuno per conto proprio, ma con l’aiuto di Dio possiamo cambiare in meglio. Sta a noi, umanità di oggi, e soprattutto a noi, credenti di ogni religione, convertire gli strumenti di odio in strumenti di pace. Sta a noi esortare con forza i responsabili delle nazioni perché la crescente proliferazione delle armi ceda il passo alla distribuzione di cibo per tutti. Sta a noi mettere a tacere le accuse reciproche per dare voce al grido degli oppressi e degli scartati sul pianeta: troppi sono privi di pane, medicine, istruzione, diritti e dignità! Sta a noi mettere in luce le losche manovre che ruotano attorno ai soldi e chiedere con forza che il denaro non finisca sempre e solo ad alimentare l’agio sfrenato di pochi. Sta a noi custodire la casa comune dai nostri intenti predatori. Sta a noi ricordare al mondo che la vita umana vale per quello che è e non per quello che ha, e che le vite di nascituri, anziani, migranti, uomini e donne di ogni colore e nazionalità sono sacre sempre e contano come quelle di tutti! Sta a noi avere il coraggio di alzare gli occhi e guardare le stelle, le stelle che vide il nostro padre Abramo, le stelle della promessa.

Il cammino di Abramo fu una benedizione di pace. Ma non fu facile: egli dovette affrontare lotte e imprevisti. Anche noi abbiamo davanti un cammino accidentato, ma abbiamo bisogno, come il grande patriarca, di fare passi concreti, di peregrinare alla scoperta del volto dell’altro, di condividere memorie, sguardi e silenzi, storie ed esperienze. Mi ha colpito la testimonianza di Dawood e Hasan, un cristiano e un musulmano che, senza farsi scoraggiare dalle differenze, hanno studiato e lavorato insieme. Insieme hanno costruito il futuro e si sono scoperti fratelli. Anche noi, per andare avanti, abbiamo bisogno di fare insieme qualcosa di buono e di concreto. Questa è la via, soprattutto per i giovani, che non possono vedere i loro sogni stroncati dai conflitti del passato! È urgente educarli alla fraternità, educarli a guardare le stelle. È una vera e propria emergenza; sarà il vaccino più efficace per un domani di pace. Perché siete voi, cari giovani, il nostro presente e il nostro futuro!

Solo con gli altri si possono sanare le ferite del passato. La signora Rafah ci ha raccontato l’eroico esempio di Najy, della comunità sabeana mandeana, che perse la vita nel tentativo di salvare la famiglia del suo vicino musulmano. Quanta gente qui, nel silenzio e nel disinteresse del mondo, ha avviato cammini di fraternità! Rafah ci ha raccontato pure le indicibili sofferenze della guerra, che ha costretto molti ad abbandonare casa e patria in cerca di un futuro per i loro figli. Grazie, Rafah, per aver condiviso con noi la ferma volontà di restare qui, nella terra dei tuoi padri. Quanti non ci sono riusciti e hanno dovuto fuggire, trovino un’accoglienza benevola, degna di persone vulnerabili e ferite.

Fu proprio attraverso l’ospitalità, tratto distintivo di queste terre, che Abramo ricevette la visita di Dio e il dono ormai insperato di un figlio (cfr Gen 18,1-10). Noi, fratelli e sorelle di diverse religioni, ci siamo trovati qui, a casa, e da qui, insieme, vogliamo impegnarci perché si realizzi il sogno di Dio: che la famiglia umana diventi ospitale e accogliente verso tutti i suoi figli; che, guardando il medesimo cielo, cammini in pace sulla stessa terra.


·         Discorso del Santo Padre

·         Preghiera dei figli di Abramo




giovedì 4 marzo 2021

PELLEGRINO DI PACE IN CERCA DI FRATERNITA'


 Il Papa all’Iraq: in cammino nella speranza, come Abramo


In un videomessaggio al popolo iracheno, diffuso alla vigilia della partenza per Baghdad, Francesco invita i cristiani, ma anche tutti i “fratelli e sorelle di ogni tradizione religiosa”, a "rafforzare la fraternità, per edificare insieme un futuro di pace”. E implora dal Signore “perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo”



 Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

 Un pellegrino penitente, un pellegrino di pace e che invita gli iracheni a continuare il cammino di Abramo, “nella speranza”, senza mai togliere lo sguardo dalle stelle. In un accorato videomessaggio al popolo iracheno diffuso alla vigilia della partenza del suo 33esimo viaggio apostolico, dal 5 all’ 8 marzo, Papa Francesco spiega di venire nella “vostra terra, antica e straordinaria culla di civiltà”, innanzitutto come “pellegrino penitente”. Per implorare dal Signore perdono e riconciliazione dopo anni di guerra e di terrorismo, per chiedere a Dio la consolazione dei cuori e la guarigione delle ferite.

Pellegrino di pace in cerca di fraternità

Ma anche “come pellegrino di pace, a ripetere” come Gesù nel Vangelo di Matteo: “Voi siete tutti fratelli”…

In cerca di fraternità, animato dal desiderio di pregare insieme e di camminare insieme, anche con i fratelli e le sorelle di altre tradizioni religiose, nel segno del padre Abramo, che riunisce in un’unica famiglia musulmani, ebrei e cristiani.

Il Papa: il viaggio in Iraq è un altro passo verso la fratellanza

L'incontro con una Chiesa martire

Il Papa si rivolge innanzitutto ai cristiani iracheni, che hanno “testimoniato la fede in Gesù in mezzo a prove durissime”, e si dice  “onorato di incontrare una Chiesa martire: grazie per la vostra testimonianza”. I troppi martiri che avete conosciuto, è il suo auspicio “ci aiutino a perseverare nella forza umile dell’amore”. E ricorda “le immagini di case distrutte e di chiese profanate” che gli iracheni fuggiti alla furia dell’Isis hanno ancora negli occhi, e nel cuore “le ferite di affetti lasciati e di abitazioni abbandonate”.

Vorrei portarvi la carezza affettuosa di tutta la Chiesa, che è vicina a voi e al martoriato Medio Oriente e vi incoraggia ad andare avanti. Alle terribili sofferenze che avete provato e che tanto mi addolorano, non permettiamo di prevalere.

Come Abramo, guardiamo le stelle

“Non arrendiamoci davanti al dilagare del male” è l’appello del Pontefice, perché “le antiche sorgenti di sapienza delle vostre terre ci orientano altrove, a fare come Abramo che, pur lasciando tutto, non smarrì mai la speranza”. Fidandosi di Dio, Abramo “diede vita a una discendenza numerosa come le stelle del cielo”. “Guardiamo le stelle – è il suo invito - Lì è la nostra promessa”.

Rafforzare la fraternità, in questi tempi di pandemia

Poi Papa Francesco si rivolge a tutti gli iracheni “che molto avete sofferto, ma non vi siete abbattuti”. Ai cristiani, ai musulmani ma anche agli yazidi “che hanno sofferto tanto” chiamandoli “tutti fratelli”. Come “pellegrino di speranza” ricorda che “da voi, a Ninive, risuonò la profezia di Giona, che impedì la distruzione e portò una speranza nuova, la speranza di Dio”.

Lasciamoci contagiare da questa speranza, che incoraggia a ricostruire e a ricominciare. E in questi tempi duri di pandemia, aiutiamoci a rafforzare la fraternità, per edificare insieme un futuro di pace. Insieme. Fratelli e sorelle di ogni tradizione religiosa.

Continuare il cammino di Abramo, percorrendo vie di pace

Il Papa conclude ricordando agli iracheni che “da voi, millenni fa, Abramo incominciò il suo cammino”, e oggi “sta a noi continuarlo, con lo stesso spirito, percorrendo insieme le vie della pace!”. E, come Abramo “camminare nella speranza e mai lasciare di guardare le stelle”. 

  Vatican News

MESSAGGIO DEL PAPA

VIDEOMESSAGGIO



 

sabato 20 luglio 2019

MARTA o MARIA ?

Commento aL Vangelo 


Vangelo: Lc 10,38-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )
 
Visualizza Lc 10,38-42
Partiamo dal Libro della Genesi in cui ci viene raccontato l'ospitalità di Abramo ai tre ospiti inattesi nell'ora più calda.
In questo brano ci viene rivelato che la comunione più profonda tra Dio e gli uomini non è tanto di natura cultuale, ma piuttosto quello conviviale, più di quanto ciò non avvenga attraverso “olocausti e sacrifici”.
L'ospitalità è ben più che l'adempimento di una legge. Sotto la tenda dell'uomo credente, rappresentato da Abramo, diventa un'occasione singolare per fare esperienza di Dio, accogliendo lui stesso nei «fratelli più piccoli». Gesù lo dirà a chiare lettere attraverso il dialogo «con i benedetti» del giudizio finale: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25, 37-40).
Nel viaggio verso Gerusalemme Gesù entra in un villaggio e viene ospitato da Marta.
Questa donna si caratterizza per la sua ospitalità. La sua è un'ospitalità operosa Ella, infatti, si presta per far sì che all'ospite non abbia a mancare niente. Questo muoversi di Marta Nello stesso tempo sembra limitarsi alla dimensione superficiale. In altre parole Marta si limita alla dimensione dell'accoglienza.
Alla figura di Marta si unisce quella di Maria che non intende perdere una parola del Maestro e per questo si pone ai piedi di Gesù.
Il confronto tra Marta e Maria ci porta a dire che la prima è l'icona della vita attiva mentre la seconda è l'icona della vita contemplativa. Quello che dobbiamo fare è sgomberare questo luogo comune.
Maria è colei che sa scegliere in un ordine di priorità Marta è l'icona della persona a cui tutto sembra importante ma perde di vista l'ordine delle cose. Allora a fronte di queste due figure e di questo brano dovremmo considerare come vivo le mie giornate e quali priorità so mettere. Come vivo la mia preghiera e come la desidero e la avverto come la sola cosa di cui c'è bisogno. Allora penso sempre che per vivere anche la mia esperienza di vita cristiana in famiglia, in comunità e nel lavoro il saper vivere la dimensione contemplativa e attiva con equilibrio rimane importante.
Ancora una volta sono i Santi maestri di questa abilità nel saper coniugare l'azione e la preghiera. L'esempio è quello di Madre Teresa di Calcutta. Dice di Lei il Cardinal Comastri:
“Ho visto Madre Teresa per la prima volta nel 1968 qui a Roma - ha ricordato il card. Comastri - La Madre era la prima volta che veniva nella Capitale. All'epoca ero vice parroco a San Luca al Prenestino, avevo sentito parlare di questa suora e sentivo il desiderio d'incontrarla. Ero prete da un anno e sentivo il bisogno di chiederle di pregare per me. Quando ci siamo trovati davanti mi strinse forte le mani e mi disse: ‘Quante ore preghi al giorno?' Rimasi spiazzato e risposi: ‘Dico la messa, il breviario e il Rosario tutti i giorni', nel '68 era quasi un eroismo e mi sembrava già di fare tanto. Ma lei mi disse: ‘E' troppo poco, nell'amore non ci si può limitare al dovere, bisogna fare di più. Fai un po' di Adorazione ogni giorno altrimenti non reggi'. Così riposi: ‘Ma Madre da lei mi sarei aspettato che mi chiedesse quanta carità fai' e lei guardandomi con occhi penetranti mi disse: ‘E tu credi che io potrei andare dai poveri se Gesù non mi mettesse nel cuore il suo Amore? Ricordati che Gesù per la preghiera sacrificava anche la carità. Senza Dio siamo troppo poveri per poter aiutare i poveri'. Queste parole le ricordo ogni giorno”.
Siano le parole che ci aiutano a vivere la nostra vita di ogni giorno.