giovedì 8 agosto 2024

UBUNTU, UN'ETICA DELLA VITA


Umuntu ngumuntu ngabantu

 Il sudafricano Ramose illustra un concetto chiave nella struttura filosofica africana Anche rispetto alle grandi domande sulla giustizia sociale


-         -di DORELLA CIANCI

Umuntu ngumuntu ngabantu: tre parole, che racchiudono il senso della vita e che potremmo tradurre così: «Essere una persona significa affermare la propria umanità attraverso l’umanità degli altri» nella conseguente e infinita varietà di contenuto e forma. Questa traduzione (sicuramente imperfetta) di una parte della filosofia africana attesta, preliminarmente, un rispetto per la particolarità, l’individualità e la storicità, senza le quali la decolonizzazione di quel sapere non potrà mai avvenire fino in fondo. Dunque è finalmente arrivato il momento di metterci in ascolto di quel continente a cui fin troppo spesso abbiamo pensato, lungo il corso della storia, di insegnare, mentre avremmo dovuto limitarci a comprendere e apprendere. Uno dei momenti più significativi, ieri, del Congresso mondiale della filosofia sul tema della giustizia, dell’etica e del dialogo interculturale, si è avuto durante la sessione con Mogobe Ramose, docente presso il dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Pretoria, fra gli altri ospiti. Ramose è uno dei più importanti filosofi sudafricani, noto soprattutto per la sua elaborazione della filosofia ubuntu. Qual è la peculiarità di questo pensiero? Innanzitutto, va detto che il termine “ubuntu” è un concetto chiave nella struttura etico-filosofica africana, poiché indica la bellezza del vivere “con”, dell’esser-ci fra gli altri, dell’umanità che acquista senso nel concetto di solidarietà e vicinanza concreta. L’insegnamento di Ramose è, ancor più, di grandissimo rilievo nella società contemporanea, che – con fatica e non senza ipocrisie – tenta di raggiungere una maggiore giustizia sociale attraverso l’attenzione ai popoli e agli ambienti più fragili, in primis proprio le diverse zone africane. Per far questo, tuttavia, è necessario conoscere e rimettere al centro il pensiero critico per contrastare le apparenze del linguaggio politico globale.

Ramose, innamorato del suo popolo e delle tradizioni della sua gente, mostra, invece, anche nei tanti scritti filosofici, un impegno incrollabile verso le grandi questioni della giustizia sociale, della politica, dell’etica, nel tentativo di sollevare quei grandi veli preconcettuali, che oscurano le verità. Gran parte del suo lavoro pare esser stato influenzato dal pensiero politico del sudafricano Robert Sobukwe, fondatore del Pan-Africanist Congress. Ramose ha contribuito e continua a contribuire brillantemente al pensiero e all’attivismo panafricanista: nel corso degli anni è diventato uno dei filosofi più citati in Sudafrica e uno dei filosofi del continente africano più noti alla comunità scientifica internazionale, ma anche al dibattito pubblico sui media di tutto il mondo. Le sue parole ci riportano, innanzitutto, alla storia e al tempo della lotta contro l’oppressione razziale in Sudafrica. Ramose nella sua relazione, ha percorso, con leggerezza, la storia delle idee di un continente che ancora fatica a esser visto nella sua essenza, lontano da paragoni e da chiavi interpretative etnocentriche e malate di occidentalismo; ha menzionato intellettuali all’interno di organizzazioni come l’African National Congress e il Pan-Africanist Congress, arrivando al Black Consciousness Movement composto da gruppi intellettuali e politici, i quali hanno sviluppato risposte concettuali (anche discordanti) rispetto alle grandi domande sulla giustizia sociale.

Non è facile condensare tutto il substrato culturale che è dentro gli scritti di Ramose, ma – senza scadere in semplificazioni – è doveroso soffermarsi sulla centralità della forza vitale all’interno della filosofia africana, spesso indicata come “etica della vita”. Questo concetto ci riporta a una sovrapposizione tra lo stile di vita legato al pensiero ubuntu e una valutazione ‘decolonizzata’ di quell’incontro fisiologico, che si verifica, nel pensiero africano, fra religione e filosofia. Come detto da Ramose, la scala comune che consente un pensiero autenticamente panafricano emerge solo attraverso il dialogo interreligioso, interculturale e attraverso l’esposizione reciproca (e congiunta) di concetti religiosi collegati a nodi cruciali filosofici. Il pensiero ubuntu, in tal senso, è il pensiero della compassione, quello che ci invita a incontrare la differenza per arricchire la cosiddetta “etica della vita”, imperniata tanto nella filosofia quanto nelle diverse religioni. La filosofia, in tal senso, per una parte del continente africano, va al cuore del rispetto per le particolarità delle credenze e delle pratiche altrui. 

Il rispetto per l’unicità dell’altro è strettamente collegato al rispetto per l’individualità. Tuttavia l’individualità citata nella filosofia ubuntu non è di matrice cartesiana. Al contrario, contraddice direttamente la concezione cartesiana dell’individualità, secondo cui l’individuo può essere concepito senza necessariamente pensare l’altro. L’individuo cartesiano esiste prima, o separatamente e indipendentemente dal resto della comunità o della società. Al contrario, la concezione ubuntu definisce l’individuo in termini di relazione con gli altri: la parola “individuo” significa una pluralità di personalità corrispondente alla molteplicità di relazioni in cui si trova l’individuo in questione. Essere un individuo significa “essere- con-gli-altri”, decisamente ben al di là dell’individualismo occidentale. Il caso della filosofia ubuntu è una lezione per stare nel mondo e con gli altri in armonia, escludendo la logica competitiva del conflitto.

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