ANCHE NOI LAICI?"
-
di Luciano Manicardi
-
Ove
non vi sia la rappresentanza dell’ordine ecclesiastico, sei tu a celebrare
l’eucaristia e a battezzare (offers et tinguis) e sei sacerdote tu da te
medesimo. Infatti, dove sono presenti in tre, anche se sono dei laici, là vi è
la chiesa (1). «Non siamo forse sacerdoti anche noi laici? (Nonne et laici
sacerdotes sumus?)». Così si esprime Tertulliano in un testo in cui afferma la
possibilità anche per i laici, in caso di necessità, di celebrare l’eucaristia
e amministrare dei sacramenti. Si tratta di uno dei rari testimoni
dell’eucaristia presieduta da un non-presbitero (2).
Decisamente
più frequente nella storia è l’attestazione di celebrazioni domenicali
sostitutive dell’eucaristia in assenza/attesa di presbiteri. E non solo in zone
di missione, ma anche al cuore dell’Europa. Markus Tymister ne fornisce diversi
esempi in riferimento al secondo millennio cristiano: egli ricorda che in
diversi paesi europei in certi momenti storici (Ungheria nel XVI-XVII secolo;
Francia alla fine del XVIII secolo; Germania nel XIX secolo) «vi erano laici
appositamente incaricati che presiedevano celebrazioni domenicali con lettura e
preghiera, come anche battesimi, matrimoni e funerali» (3).
Pertanto,
la situazione attuale di carenza di presbiteri in molti paesi europei che ha
fatto nascere diverse forme di presidenza da parte di laici di preghiere
comuni, di liturgie della parola accompagnate da predicazione e distribuzione
eucaristica, oltre che di amministrazione di sacramenti, non rappresenta certo
una novità. Spesso sono la storia e la vita con la loro imprevedibilità che,
creando situazioni di crisi, obbligano le comunità cristiane a cambiamenti che,
in condizioni normali, non solo non sono presi in considerazione ma sono
ritenuti inutili o insensati.
La
crisi della pandemia e l’impossibilità di radunarsi nelle chiese non ha certo
spento la fede, ma portato tanti, in virtù del loro battesimo e della fede
vissuta, a riunirsi nelle case, a vivere una preghiera domestica, a creare riti
semplici e certamente meno solenni di quelli delle curate assemblee domenicali,
ma non meno autentici o nutrienti spiritualmente.
Le
lucide riflessioni che un presbitero ha maturato durante il periodo pandemico
mostrano lo stupore provato assistendo ai «primi timidi segni della nascita di
una chiesa radunata nelle case e raccolta insieme dagli strumenti a
disposizione», sicché «mentre qualcosa moriva e ci faceva paura perché non
sapevamo fino a che punto quella morte scendesse in noi, forse qualcosa
nasceva» (4).
E
qui si intravede il contesto ben più ampio in cui inserire il discorso dei
“riti senza preti”. Il cambiamento d’epoca che comprende al suo interno la fine
della cristianità, e dunque la fine della civiltà parrocchiale, esige una
riforma ecclesiale che accetti di guardare in faccia e gestire la paura della
perdita connessa al cambiamento, concentrandosi sull’essenziale: la vita della
comunità dei battezzati che trova la sua ragion d’essere nella fede in Gesù
Cristo. Questo cambiamento riguarderà anche il ministero presbiterale e il
ruolo dei laici quali presidenti di celebrazioni liturgiche.
Gli
esempi presentati in questo numero di Rivista di pastorale liturgica,
concernenti movimenti ecclesiali, comunità monastiche, esperienze pastorali, il
ministero dei catechisti ecc., sono frammenti che abbozzano solamente il quadro
che verrà. E che, ancora faticosamente, timidamente, lentamente, parzialmente e
con qualche ambiguità, si fa strada anche in documenti ufficiali (5). In
riferimento in particolare alle assemblee domenicali in assenza/attesa di
presbitero, ciò che va tenuto presente è l’importanza della santificazione
della domenica in quanto tale, cioè in quanto giorno memoriale della
risurrezione, dunque la centralità per i cristiani di riunirsi per riconoscersi
come assemblea convocata dal Signore.
In
un articolo pubblicato su questa rivista nel 1998 Enrico Mazza valutava
positivamente l’insistenza con cui il Direttorio per le celebrazioni dominicali
in assenza del presbitero (6)
sottolineava l’importanza di rendere sempre più coscienti le comunità
cristiane della natura della domenica cristiana cosicché, «qualora venga meno
la presenza del sacerdote, la comunità sappia compiere la riunione domenicale
secondo i valori che le sono propri».
E
aggiungeva: «Dobbiamo rilevare che in questo campo c’è molto da fare dato che,
di solito, si insiste di più sull’obbligo della messa domenicale che non
sull’obbligo della domenica in quanto tale» (7). A distanza di quasi
venticinque anni, molti passi sono stati fatti ed è sempre più assodato che,
anche senza presbitero, vi può essere memoria della risurrezione con la
liturgia della Parola e la distribuzione eucaristica.
Non
va dimenticata o messa in second’ordine rispetto alla dimensione liturgica la
cura pastorale di cui una comunità ha bisogno e che può essere assunta ed
esercitata dai laici. Essi possono riflettere la compassione che Gesù mostrò di
fronte alle folle, che erano come pecore senza pastore, e che lo portò a
sfamarle annunciando loro la Parola e spezzando per loro il pane (cfr. Mc
6,34-44).
2) E. Mazza, Le odierne preghiere eucaristiche,
I: Struttura, teologia, fonti, EDB, Bologna 1984, 60-61.
3) M. Tymister, Le assemblee domenicali in
assenza del presbitero, in Path 19/1 (2020) 38.
4) I. Seghedoni, Una chiesa che non cerca tra i
morti, in D. Olivero (ed.), Non è una parentesi. Una rete di complici per
assetati di novità, Effatà, Cantalupa 2020, 140.
6) Cfr. Congregazione per il culto divino,
Directorium de celebrationibus dominicalibus absente presbytero, in Notitiae
263 (1988) 366-378.
7) E. Mazza, Le assemblee domenicali in assenza
del presbitero, in Rivista di pastorale liturgica 5 (1998) 14-15.
Rivista di
Pastorale Liturgica
Nessun commento:
Posta un commento