LA
FRATTURA
-
di Giuseppe Savagnone*
Venti
di protesta
L’aumento
esponenziale del costo del gas e dell’energia elettrica, con l’effetto
dirompente che questo aumento sta avendo sulla vita economica e sociale del
nostro Paese, è in questi giorni al centro dell’attenzione della politica e dei
mezzi di comunicazione. Ed è bene, perché i segnali inquietanti che giungono
dalla società civile ci chiedono di prestare loro la massima attenzione, se non
vogliamo che la “tempesta perfetta” da essi annunziata ci colga di sorpresa e
ci travolga.
Imprese
di ogni settore – da quelle produttive a quelle commerciali, agli alberghi, ai
ristoranti – hanno già cominciato a chiudere i battenti per l’impossibilità di
sostenere i costi delle bollette, saliti d’un colpo alle stelle. E i gestori di
quelle rimaste aperte lanciano disperate richieste di aiuto. Ma anche le
famiglie si trovano in crescenti difficoltà ad arrivare alla fine del mese.
In
tutta Italia, da Nord a Sud, si moltiplicano le manifestazioni di protesta. Nel
centro di Bologna è stato acceso un falò simbolico dove le bollette sono state
bruciate, nel quadro dalla campagna “Noi Non Paghiamo Emilia-Romagna”, promossa
per protestare contro i rialzi «che non possiamo permetterci di pagare – hanno
denunciato i manifestanti – e non le pagheremo».
A
Torino, in corso Regina Margherita si è svolta la mobilitazione proclamata a
livello nazionale dall’Usb (Unione sindacale di base) per protestare contro il
caro bollette. Stessi scenari a Genova, a Roma, a Napoli, a Bari, a Cagliari:
«Non riusciamo più ad andare avanti, stiamo pagando bollette quadruplicate. Ne
risentono i cittadini e lavoratori, che prima o poi verranno licenziati dalle
aziende costrette a chiudere».
In
Sicilia sindacati e associazioni degli imprenditori hanno indetto per i primi
di novembre una grande manifestazione unitaria che avanzerà una serie di
richieste al governo nazionale e alla giunta regionale. Una mobilitazione decisa
dopo l’incontro organizzato online fra decine di sigle che hanno raccolto
l’esasperazione e i timori dei loro associati, travolti da bollette di luce e
gas che è sempre più difficile pagare.
Il
bersaglio di queste proteste sono gli speculatori che si stanno arricchendo,
approfittando della crisi delle forniture causata dalla guerra in Ucraina. Ma
anche il governo Draghi, il cui intervento per sostenere aziende e famiglie in
difficoltà è giudicato troppo debole. A dire il vero, è stata stabilita una tassa
sugli extra-profitti, ma la risposta dei destinatari è stata una pioggia di
ricorsi che di fatto hanno vanificato, finora, gli effetti di questo
provvedimento.
Sta
venendo in piena luce, in questo momento di crisi, la logica perversa di un
sistema capitalistico che non opera per il bene di tutti, ma premia alcuni, più
forti, a danno della maggior parte. Non solo nell’ambito del nostro Paese, ma a
livello europeo, dove i Paesi più ricchi – emblematico il caso della Germania –
stanno facendo senza scrupoli i loro interessi, abbandonando gli altri al loro
destino.
Una
crisi di rappresentatività
A
far fronte a questa complessa situazione dovranno essere il nuovo Parlamento e
il nuovo governo. Un compito che sarebbe comunque molto difficile, ma che è
reso ancora più arduo dalle particolari circostanze createsi col voto del 25
settembre. Per quanto riguarda il Parlamento, forse mai come in queste elezioni
si era visto il serio rischio di una spaccatura tra il “Paese reale” e il
“Paese legale”.
Intanto
già per il fatto che questa tornata elettorale ha visto il massimo storico di
astensioni: il 36,1%, un dato in crescita di 9 punti rispetto al 2018, quando
erano state il 27%, e – per fare un raffronto con la Prima Repubblica – sei
volte superiore rispetto al 6,51% delle elezioni del 1976. In concreto, oltre
16,5 milioni di italiani non sono andati a votare, oltre 4 milioni in più
rispetto alla precedente consultazione politica. E al non-voto va aggiunto il
2,2% di schede bianche e nulle. Insomma, quasi il 40% dei potenziali elettori
oggi non è rappresentato.
Ad
aggravare questo distacco tra Parlamento e società è intervenuta una
problematica legge elettorale che, complici gli errori strategici della
sinistra, ha portato la Lega, con soli 2,4 milioni di voti, ad avere 96
parlamentari e Forza Italia, con 2,2 milioni di voti, ad averne 62, a fronte di
partiti come i 5stelle, che, con quasi il doppio dei voti popolari – 4,3
milioni -, avrà solo 80 parlamentari, o come il PD, che con 5,3 milioni di
preferenze, ne avrà 109.
Un
Parlamento, insomma, che, oltre ad essere stato eletto da meno di due terzi
degli aventi diritto, non rispecchia adeguatamente le reali scelte politiche
degli stessi votanti. Si badi bene, questo non è colpa di Giorgia Meloni e dei
Fratelli d’Italia, ma dei leader e dei partiti che, nel corso della Seconda
Repubblica, hanno determinato questa crescente sfiducia degli italiani nella
politica. Ciò non toglie, però, il dato di fatto che la nuova maggioranza che
si accinge a governare rappresenta una quota di elettori che non è mai stata
così ristretta. Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati hanno
messo insieme un totale di 12,6 milioni di voti.
Basta
uno sguardo al più recente passato per constatare la differenza: il primo
governo Conte, venuto fuori dalle precedenti elezioni, quelle del 2018, poteva
contare tra movimento 5stelle e Lega sul sostegno di 16,4 milioni di voti. In
precedenza, il caso più vicino a quello attuale, negli anni delle leggi
elettorali maggioritarie, è quello del 1996 quando l’Ulivo di Prodi andò al
governo grazie a 13,1 milioni di voti, ma anche con l’appoggio esterno di
Rifondazione che di voti ne aveva 3,7 milioni.
Con
questa sola eccezione, tutti i governi post-elettorali precedenti, andando
indietro fino al 1994, hanno avuto tra i 16,5 milioni di voti e i 19,7 milioni.
Prima ancora in tutti gli anni Ottanta e Settanta da sola o con i suoi alleati
la DC aveva dietro di sé dai 13 ai 20 milioni di voti.
Come
ha osservato un politologo particolarmente impegnato nello studio del sistema
politico italiano, «siamo di fronte al crollo verticale della rappresentatività
e della rappresentanza del parlamento. Sia perché un numero crescente della
popolazione decide di non partecipare al processo elettorale, con conseguenze
negative dirette sulla qualità della rappresentanza democratica, sia a causa
dell’intreccio tra riduzione del numero dei parlamentari e sistema elettorale
fortemente distorsivo. Il voto del 2022
segna il momento di maggiore distacco tra classe politica e comunità politica»
(Marco Valbruzzi).
Lo
scollamento tra rappresentanti e rappresentati è particolarmente grave per
quanto riguarda il Sud. In alcune regioni meridionali la percentuale dei
votanti è stata inferiore al 50%. E la concentrazione dei voti sui 5stelle, che
difendevano i tre milioni di persone – per lo più del Sud – che percepiscono il
reddito di cittadinanza, fa comprendere lo stato d’animo di quelli che a votare
ci sono andati.
Quanto
al governo, è ovviamente troppo presto per dare valutazioni. Ma quello che si
sa già è che da una parte esso dovrà fare i conti con la sproporzionata forza
parlamentare di due partiti, come Lega e Forza Italia, che rappresentano il
“vecchio” della Seconda Repubblica e che sono già stati al potere fino a ieri,
dall’altra con la inesperienza della nuova premier, portatrice sicuramente di
una mentalità e di uno stile nuovi, ma il cui progetto politico, maturato in
una cultura statalista, mal si armonizza con le prospettive liberiste del
partito di Berlusconi e con quelle autonomiste di Salvini.
Approcci
sbagliati e impegno costruttivo
È
un momento molto delicato per il nostro Paese. L’approccio peggiore, per
affrontarlo, sarebbe quello di una sterile e preconcetta ostilità nei confronti
di una maggioranza chiamata a governare in queste condizioni così difficili.
Anche chi – come il sottoscritto – non condivide molti punti del suo programma
elettorale, deve valutarla adesso per quello che effettivamente saprà fare per
ricucire la frattura fra Paese legale e Paese reale.
Tenendo
ben presente, come si diceva prima, che solo alcune delle forze politiche che
ne fanno parte sono responsabili – insieme ad altre, ora all’opposizione – di
questa frattura, mentre a quelle per la prima volta al governo va dato il
beneficio del dubbio.
Un
altro errore da evitare è quello di illudersi di salvare gli interessi di una
parte, di cui ci si ritiene rappresentati in modo privilegiato, rispetto
all’intero della Nazione. Le bellicose dichiarazioni post-elettorali a difesa
del reddito di cittadinanza, così come la recentissima proposta di creare delle
“Brigate di cittadinanza” (con lo scopo dichiarato di impegnare i fruitori del
reddito di cittadinanza in lavori socialmente utili, ma con la sottile
allusione, suggerita dal nome, a possibili forme di violenza per difenderlo),
non sono la via giusta per opporsi alle possibili derive in senso “nordista” e
capitalista sostenute dalla Lega col regionalismo e la flat tax, anzi ne
costituiscono il perfetto contrappunto, ponendosi sullo stesso piano, sia pure
in senso opposto.
L’urgenza
non è accentuare le fratture che già ci sono, ma, al contrario, di lavorare per
sanarle o almeno ridurle. L’obiettivo ultimo dev’essere quello di riavvicinare
la gente alla politica. In questo ha un ruolo decisivo il futuro governo, non
certo lavorando a varare il presidenzialismo – che potrebbe purtroppo
esasperare le derive populiste già fin troppo presenti nella nostra società – ,
ma impegnandosi a ristabilire una più equa distribuzione delle risorse, e in
modo non semplicemente assistenziale, come finora non hanno saputo fare i governi
precedenti (compresi quelli “di sinistra”).
Ma
anche l’opposizione deve ripensarsi in funzione di questo problema. La sinistra
tradizionale ha perso il rapporto con fasce sempre più ampie di popolazione ed
è rimasta alla fine essa stessa vittima della frattura fra la gente e la
politica. Bisogna rieducare, a partire dal basso, alla partecipazione, andando
oltre la prospettiva esclusiva dei diritti civili e ritornando a parlare di
quelli sociali. Perché le persone non debbano più scendere in strada per bruciare
le bollette della luce che non possono pagare.
* Scrittore
ed Editorialista. Responsabile del sito della Pastorale della Cultura
dell'Arcidiocesi di Palermo, www.tuttavia.eu
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