- di Giuseppe Savagnone
Dopo
gli adempimenti e le cerimonie rituali che hanno accompagnato la nascita del
nuovo governo, è l’ora dei fatti. Al di là delle esaltazioni e delle diffidenze
preventive, è su di essi che Giorgia Meloni ha chiesto, giustamente, di
giudicare la sua svolta. E alcuni fatti cominciano ad esserci e riguardano il
delicato capitolo delle migrazioni.
Purtroppo,
però, non parlano di “svolta”, ma di una sostanziale continuità col passato (e,
mi permetto di aggiungere, col peggio del passato). Come del resto è stato
sottolineato dal neo-ministro degli Interni, Matteo Piantedosi, che, nella
riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, ha rivendicato la
legittimità del suo primo atto, la direttiva nei confronti delle navi delle
Ong, citando proprio i decreti sicurezza del governo Conte I: «Abbiamo
applicato la legge, i famosi decreti sicurezza, rivisitati, ma che sono rimasti
sostanzialmente nel loro impianto».
Per
chi non ha seguito la vicenda, vale la pena di ricordare che, all’indomani
(letteralmente) del suo insediamento al Viminale, Piantedosi non ha trovato
nulla di più urgente da fare che inviare ai vertici delle Forze di polizia e
Capitaneria di porto una direttiva riguardo a due navi Ong , la «Ocean Viking»
e la «Humanity One», con a bordo oltre 300 migranti soccorsi, per segnalare che
la loro condotta non è «in linea con lo spirito delle norme europee ed italiane
in materia di sicurezza e controllo delle frontiere e di contrasto
all’immigrazione illegale» e che perciò è «in corso di valutazione il divieto
di ingresso nelle acque territoriali».
Secondo
quanto è emerso, le motivazioni che hanno indotto il ministro dell’Interno a
definire la condotta delle due Ong non «in linea con lo spirito delle norme»
sono legate al fatto che le operazioni di soccorso delle due navi umanitarie sono
state svolte «in piena autonomia e in modo sistematico senza ricevere
indicazioni dall’Autorità statale responsabile di quell’area Sar, Libia e
Malta, che è stata informata solo a operazioni avvenute». Anche l’Italia è
stata informata «solo a operazioni effettuate». Insomma, i soccorsi in mare ai
migranti in pericolo avrebbero dovuto essere sospesi in attesa che la trafila
burocratica prevista a tavolino fosse espletata. Ma siamo sicuri che questa sia
la logica di chi vede persone che rischiano di annegare?
Era
tutto prevedibile.
Piantedosi
è stato capo di gabinetto di Salvini al tempo in cui questi, ministro degli
Interni, diceva e faceva esattamente le stesse cose, concentrando quasi
esclusivamente sulla lotta contro i migranti dall’Africa tutte le sue
preoccupazioni e le sue energie. Oggi il leader leghista non è più al Viminale,
ma può contare su un uomo che sembra fin dalle prime battute il suo avatar. Per
di più come ministro delle infrastrutture, che fra le sue competenze ha la
gestione dei porti, è in grado di dare il proprio apporto alla linea della
intransigente «difesa delle frontiere».
Chi
ha votato per la Destra del resto sapeva bene che questo era scritto nel
programma elettorale: «Difesa dei confini nazionali ed europei come richiesto
dall’UE con il nuovo Patto per la migrazione e l’asilo, con controllo delle
frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del
nord Africa, la tratta degli esseri umani» (n.6).
Lo
slogan «Aiutiamoli a casa loro»
A
proposito dell’ultima notazione – esplicitamente voluta da Giorgia Meloni, che
da sempre parla di un «blocco navale» in grado di impedire già all’origine le
partenze – , va ricordato che l’«accordo con le autorità del nord Africa» (in
concreto con la Libia) già c’è dall’agosto del 2017 e, se entro il 2 novembre
il governo italiano non deciderà per la sua revoca, cosa estremamente
improbabile, data la linea del governo, verrà automaticamente rinnovato per
altri 3 anni.
Qui
dei fatti ci sono già, e sono ben noti. Riguardano le conseguenze di
quell’accordo. «Nei miei ventidue anni in Medici Senza Frontiere non avevo mai
incontrato un’incarnazione così estrema della crudeltà umana», diceva Joanne
Liu, la presidente internazionale di “Medici senza frontiere”, in un’intervista
al «Corriere della Sera» del 1° febbraio 2018. La dottoressa Liu (pediatra
canadese di origine cinese) si riferisce ai centri libici per la detenzione di
migranti e rifugiati. «Ne ho visitati due vicino Tripoli nel settembre scorso.
Non li chiamerei campi. Sono depositi di persone».
Racconta
di essere entrata in un locale delle dimensioni di una palestra, dove gli
internati erano «così tanti che non potevano stendersi per terra. Molti,
seduti, trattenevano con le mani le ginocchia piegate». E poi l’accusa, senza
mezzi termini, alle scelte fatte dal governo allora in carica, presieduto
dall’attuale commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni: «Il calo
degli sbarchi nel vostro Paese» – ha detto la presidente di “Medici senza
frontiere” – «significa, in Libia, aumenti delle torture, degli stupri, di vite
in condizioni di fame»
«Aiutiamoli
a casa loro» era allora lo slogan. Inventato da Salvini, ripetuto da Renzi, è
servito a giustificare agli occhi dell’opinione pubblica moderata – ma la
maggior parte degli italiani non si poneva neppure il problema – gli accordi
con la Libia. Naturalmente, in nome della lotta contro i “trafficanti d’uomini”
e della salvaguardia delle vite dei migranti. Sta di fatto che già poche
settimane dopo quegli accordi, il 28 settembre 2017, il commissario dei Diritti
umani presso il Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, ha scritto al nostro
ministro degli Interni, che allora era il PD Marco Minniti, una lettera in cui
chiedeva «quali salvaguardie l’Italia ha messo in atto per garantire che le
persone salvate o intercettate non rischino torture e trattamenti e pene
inumane». E si ricordava che «consegnare individui alle autorità libiche o
altri gruppi in Libia li esporrebbe a un rischio reale di tortura o trattamento
inumano o degradante e il fatto che queste azioni siano condotte in acque
territoriali libiche non assolve l’Italia dagli obblighi previsti dalla
Convenzione sui diritti umani».
Così,
non stupisce che, a metà novembre, dopo il Consiglio d’Europa, anche l’ONU sia
intervenuta. Durante la riunione del comitato delle Nazioni Unite a Ginevra
l’Alto commissario ONU per i diritti umani Zeid Raad al Hussein ha bollato con
parole durissime il patto stretto con Tripoli dal governo Gentiloni per conto
dell’Unione Europea: «La politica UE di assistere le autorità libiche
nell’intercettare i migranti nel Mediterraneo e riportarli nelle terrificanti
prigioni in Libia è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un
oltraggio alla coscienza dell’umanità».
L’Alto
commissario ha quindi citato le valutazioni degli osservatori dell’Onu inviati
nel Paese nordafricano a verificare sul campo la situazione: «Sono rimasti
scioccati da ciò che hanno visto: migliaia di uomini denutriti e traumatizzati,
donne e bambini ammassati gli uni sugli altri, rinchiusi dentro capannoni senza
la possibilità di accedere ai servizi basilari». «Non possiamo», ha
sottolineato, «rimanere in silenzio di fronte a episodi di schiavitù moderna,
uccisioni, stupri e altre forme di violenza sessuale pur di gestire il fenomeno
migratorio e pur di evitare che persone disperate e traumatizzate raggiungano
le coste dell’Europa».
I
fatti nuovi assomigliano molto a quelli vecchi
Oggi
il governo di destra parla di una svolta. Il paradosso è che su questo punto,
sul piano giuridico, non ha bisogno di cambiare quasi nulla. Come ha detto
Piantedosi, i governi di “sinistra” non hanno modificato la sostanza dei
Decreti sicurezza voluti da Salvini. E gli accordi per bloccare i migranti
prima che partano erano stati già fatti da un governo e da un ministro PD.
Certo,
non ci sono state, sotto questi ultimi due governi, le sceneggiate clamorose,
folkloristiche, che avevano fatto aumentare i consensi di Salvini al 36%. C’è
stata più tolleranza verso gli sbarchi e più larghezza nella concessione di
permessi. Da questo punto di vista il governo di destra, su questo punto, potrà
farci rimpiangere perfino quelli di sinistra che l’hanno preceduto, perché
probabilmente sarà dichiaratamente e coerentemente persecutorio nei confronti
dei poveri disgraziati che vengono a cercare da noi solo una vita un poco
migliore.
Ma
anche in passato non si è varata alcuna seria politica di organizzazione e di
gestione dei flussi migratori, né si è favorito un graduale e reale inserimento
dei nuovi arrivati nella vita sociale e lavorativa. E così molti italiani
continuano a vedere gli immigrati come parassiti fannulloni, se non addirittura
come una minaccia, senza rendersi conto che a consentire loro di lavorare
dovremmo essere noi e chi ci governa.
Sta
di fatto che dal mondo della produzione salgono sempre più insistenti le voci
di imprenditori che denunciano la carenza di lavoratori per le loro aziende.
Con gli attuali indici di natalità, è possibile prevedere che fra non molto, se
non per senso di umanità, almeno per rispetto alle logiche del capitalismo,
alla fine questo governo sarà obbligato dai fatti a fare veramente qualcosa di
nuovo, smettendola di trattare i migranti come “nuovi barbari” da fermare alle
frontiere e forse, addirittura, finendo per accoglierli a braccia aperte.
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