2Re
5,14-17; Sal 97 (98); 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Naaman,
uomo ricco e potente, sembra infatti poter trovare una soluzione al suo
problema fisico solo ascoltando il consiglio di una ragazza, una schiava che –
non direttamente, ma attraverso la moglie di cui è al servizio – gli fa sapere
che c’è un profeta in Samaria che potrebbe guarirlo.
Naaman
si reca così dal re di Samaria, pensando che sarà questi a compiere il
prodigio, ma il re non può far nulla e solo un profeta, Eliseo, riaccenderà in
lui la speranza di una guarigione. Naaman dunque si reca da Eliseo. Eliseo non
solo non si degna di uscire dalla casa per incontrarlo, ma in tutta risposta
gli manda a dire che per guarire deve fare una cosa banale e di per sé senza
senso: andare a bagnarsi sette volte nel fiume Giordano.
Di
fronte a tale proposta la reazione di sdegno di Naaman è più che comprensibile.
Prima si era recato dal re pensando che sarebbe stato lui, uomo di rango e di
potere, a liberarlo dalla lebbra e, ovviamente, si era presentato a lui con un
congruo dono: «Dieci talenti d’argento, seimila sicli d’oro e dieci mute di
abiti». Ma la reazione del re sembra quasi causare un incidente diplomatico:
«Sono forse Dio per dare la morte o la vita, perché costui mi ordini di
liberare un uomo dalla sua lebbra? Riconoscete e vedete che egli evidentemente
cerca pretesti contro di me».
Ora
sta fuori della casa di un profeta – anche qui non a mani vuote ma «con i
cavalli e il suo carro» –, che non solo non lo riceve, ma gli dice di andare a
fare, per ben sette volte, un bagno in un fiume che non sembra avere nessuna
proprietà curativa e anzi, come lui stesso dice: «Forse l’Abanà e il Parpar,
fiumi di Damasco, non sono migliori di tutte le acque d’Israele? Non potrei
bagnarmi in quelli per purificarmi?». Pieno di sdegno e di delusione non può
far altro che ritornarsene a casa con la sua lebbra. E a questo punto, di
nuovo, sono i servi a consigliarlo: in fondo che ha da perdere nel fare per sette
volte un bagno?
Naaman
va, si bagna per sette volte nel Giordano «e il suo corpo ridivenne come il
corpo di un ragazzo; egli era purificato». Interessante è notare che questo
ricco e potente comandante dell’esercito del re Aram per ben due volte dà ascolto
a dei servi, accetta di farsi curare seguendo il consiglio di chi non conta
niente. Inoltre bisogna notare un gioco di parole che nella traduzione italiana
non è così evidente: a indicare la soluzione del problema è una ragazza e, alla
fine, il corpo di Naaman ridiventa come quello di un ragazzo.
Contento
della guarigione ottenuta, ritorna dal profeta con un dono per ringraziarlo, ma
Eliseo non vuole niente in cambio. A questo punto allora Naaman gli chiede di
prendere con sé della terra per poter adorare il Dio di Israele anche nel suo
paese. Questa ultima richiesta chiarisce che Naaman ha compreso chi è il vero
guaritore e cosa in realtà gli ha permesso di guarire: l’aver creduto a una
schiava, a un profeta e a dei servi e, in tutto questo, l’essersi fidato del
loro Dio.
Nel
Vangelo di oggi abbiamo un racconto con un finale simile. Non ci sono potenti,
ma dieci lebbrosi, poveri e reietti, che chiedono a Gesù di essere guariti. In
tutta risposta il Maestro li invita a presentarsi ai sacerdoti, dato che
secondo le leggi di purità erano i sacerdoti a essere deputati al
riconoscimento dell’avvenuta guarigione. Questi dunque non sono ancora guariti,
ma accogliendo l’invito di Gesù si ritrovano, di fatto, guariti lungo il
cammino. Solo uno, però, ritorna indietro per ringraziare.
In
ambedue i racconti abbiamo una situazione che sembra non aver speranza, o
perlomeno una soluzione «facile», a portata di mano. In tale disperazione vi è
però un incontro, l’accoglienza di una parola, l’apertura a una relazione che
si basa sulla fiducia: Naaman dà fiducia al consiglio della serva, a quello dei
suoi servi e infine al comando del profeta; così anche i dieci lebbrosi
accolgono l’invito di Gesù. E in ambedue i racconti questo produce una svolta,
un cambiamento, una guarigione. Ma non basta, occorre un passo ulteriore,
ovvero la presa di coscienza di quanto è avvenuto, il riconoscimento della
grazia di quell’incontro, della sua gratuità e, l’apertura così alla
«possibilità» dell’altro.
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