Quale speranza per l’Europa di
oggi e di domani?
Nel
discorso di Papa Francesco ai Capi di Stato dell’Europa interessanti
riflessioni e piste anche per gli educatori e le istituzioni scolastiche
“ …. Le risposte le ritroviamo
proprio nei pilastri sui quali essi hanno inteso edificare la Comunità
economica europea e che ho già ricordati: la centralità dell’uomo, una
solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello
sviluppo, l’apertura al futuro. A chi governa compete discernere le strade
della speranza - questo è il vostro compito: discernere le strade della
speranza, identificare i percorsi concreti per far sì che i passi
significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un
cammino lungo e fruttuoso.
L’Europa ritrova speranza quando l’uomo è
il centro e il cuore delle sue istituzioni. Ritengo che ciò implichi
l’ascolto attento e fiducioso delle istanze che provengono tanto dai singoli,
quanto dalla società e dai popoli che compongono l’Unione. Purtroppo, si ha
spesso la sensazione che sia in atto uno “scollamento affettivo” fra i
cittadini e le Istituzioni europee, sovente percepite lontane e non attente
alle diverse sensibilità che costituiscono l’Unione. Affermare la centralità
dell’uomo significa anche ritrovare lo spirito di famiglia, in cui ciascuno
contribuisce liberamente secondo le proprie capacità e doti alla casa comune. È
opportuno tenere presente che l’Europa è una famiglia di popoli [14] e – come
in ogni buona famiglia – ci sono suscettibilità differenti, ma tutti possono
crescere nella misura in cui si è uniti. L’Unione Europea nasce come unità
delle differenze e unità nelle differenze. Le peculiarità non devono perciò
spaventare, né si può pensare che l’unità sia preservata dall’uniformità. Essa
è piuttosto l’armonia di una comunità. I Padri fondatori scelsero proprio
questo termine come cardine delle entità che nascevano dai Trattati, ponendo
l’accento sul fatto che si mettevano in comune le risorse e i talenti di
ciascuno. Oggi l’Unione Europea ha bisogno di riscoprire il senso di essere
anzitutto “comunità” di persone e di popoli consapevole che «il tutto è più
della parte, ed è anche più della loro semplice somma»[15] e dunque che
«bisogna sempre allargare lo sguardo per riconoscere un bene più grande che
porterà benefici a tutti»[16]. I Padri fondatori cercavano quell’armonia nella
quale il tutto è in ognuna delle parti, e le parti sono – ciascuna con la
propria originalità – nel tutto.
L’Europa ritrova speranza nella solidarietà,
che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi. La solidarietà
comporta la consapevolezza di essere parte di un solo corpo e nello stesso
tempo implica la capacità che ciascun membro ha di “simpatizzare” con l’altro e
con il tutto. Se uno soffre, tutti soffrono (cfr 1 Cor 12,26). Così anche noi
oggi piangiamo con il Regno Unito le vittime dell’attentato che ha colpito
Londra due giorni fa. La solidarietà non è un buon proposito: è caratterizzata
da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione
si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude
in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la
limitatezza dei propri pensieri e “guardare oltre”. Occorre ricominciare a
pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia
uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale
leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso,
ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche
che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che
chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e
chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa.
L’Europa ritrova speranza quando non si
chiude nella paura di false sicurezze. Al contrario, la sua storia è
fortemente determinata dall’incontro con altri popoli e culture e la sua
identità «è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale»[17]. C’è
interesse nel mondo per il progetto europeo. C’è stato fin dal primo giorno,
con la folla assiepata in piazza del Campidoglio e con i messaggi gratulatori
che giunsero da altri Stati. Ancor più c’è oggi, a partire da quei Paesi che
chiedono di entrare a far parte dell’Unione, come pure da quegli Stati che
ricevono gli aiuti che, con viva generosità, sono loro offerti per far fronte
alle conseguenze della povertà, delle malattie e delle guerre. L’apertura al mondo
implica la capacità di «dialogo come forma di incontro»[18] a tutti i livelli,
a cominciare da quello fra gli Stati membri e fra le Istituzioni e i cittadini,
fino a quello con i numerosi immigrati che approdano sulle coste dell’Unione.
Non ci si può limitare a gestire la grave crisi migratoria di questi anni come
fosse solo un problema numerico, economico o di sicurezza. La questione
migratoria pone una domanda più profonda, che è anzitutto culturale. Quale
cultura propone l’Europa oggi? La paura che spesso si avverte trova, infatti,
nella perdita d’ideali la sua causa più radicale. Senza una vera prospettiva
ideale si finisce per essere dominati dal timore che l’altro ci strappi dalle
abitudini consolidate, ci privi dei confort acquisiti, metta in qualche modo in
discussione uno stile di vita fatto troppo spesso solo di benessere materiale.
Al contrario, la ricchezza dell’Europa è sempre stata la sua apertura
spirituale e la capacità di porsi domande fondamentali sul senso
dell’esistenza. All’apertura verso il senso dell’eterno è corrisposta anche
un’apertura positiva, anche se non priva di tensioni e di errori, verso il
mondo. Il benessere acquisito sembra invece averle tarpato le ali, e fatto
abbassare lo sguardo. L’Europa ha un patrimonio ideale e spirituale unico al
mondo che merita di essere riproposto con passione e rinnovata freschezza e che
è il miglior rimedio contro il vuoto di valori del nostro tempo, fertile
terreno per ogni forma di estremismo. Sono questi gli ideali che hanno reso
Europa quella “penisola dell’Asia” che dagli Urali giunge all’Atlantico.
L’Europa ritrova speranza quando investe
nello sviluppo e nella pace. Lo sviluppo non è dato da un insieme di
tecniche produttive. Esso riguarda tutto l’essere umano: la dignità del suo
lavoro, condizioni di vita adeguate, la possibilità di accedere all’istruzione
e alle necessarie cure mediche. «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace»[19],
affermava Paolo VI, poiché non c’è vera pace quando ci sono persone emarginate
o costrette a vivere nella miseria. Non c’è pace laddove manca lavoro o la
prospettiva di un salario dignitoso. Non c’è pace nelle periferie delle nostre
città, nelle quali dilagano droga e violenza.
L’Europa ritrova speranza quando si apre al
futuro. Quando si apre ai giovani, offrendo loro prospettive serie
di educazione, reali possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. Quando
investe nella famiglia, che è la prima e fondamentale cellula della società.
Quando rispetta la coscienza e gli ideali dei suoi cittadini. Quando garantisce
la possibilità di fare figli, senza la paura di non poterli mantenere. Quando
difende la vita in tutta la sua sacralità ….. “
Leggi: DISCORSO
AI CAPI DI STATO
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