Quando
esercitare
autorità impegna
di Lorena Alunni
E' di pochi giorni fa l'episodio di una collega
che, ormai prossima al pensionamento, ha apertamente dichiarato a colleghi e
genitori le personali difficoltà nel " tenere a bada" bambini di 10
anni, in una classe nella quale presta servizio solo tre ore settimanali.
Esprimendo pubblicamente, fra l'imbarazzo e la stizza, questa personale
criticità, è come se si fosse autodenunciata postulando così il diritto ad
"uno sconto di pena" sul giudizio negativo più o meno inespresso dei
presenti. Il fatto è: anche l'autorevolezza presuppone un' assunzione di
responsabilità; si tratta di una responsabilità professionale, non esente da
impegno a livello personale.
Un insegnante accomodante, che non prende
posizioni, che non controlla il gruppo classe, spesso cerca inconsapevolmente
di ricevere un pari trattamento: se io non mi occupo di te neanche tu puoi
avanzare richieste nei miei confronti. Può apparire strano, ma questo tipo di
comportamento fatto di anomia destabilizza il soggetto che cresce, il quale ha bisogno
di punti di riferimento ben precisi sia in fatto di persone che di norme.
Quello che voglio dire è che la maturazione di un
individuo può essere paragonata ad una costante ricerca di equilibrio, nel
passaggio dallo stato temporaneo di discrasia emotiva a quello di ridefinizione
della propria identità. E questi due momenti si susseguono senza soluzione di
continuità nei primi venti anni - ma forse anche di più - della vita di una
persona. In un siffatto percorso, non alieno da tortuosità, quale ruolo compete
all'insegnante?
L'insegnante non può fare a meno di tenere la
disciplina, dal momento che nel caos è difficile che si possa co-costruire
apprendimento; per dirla con Vygotskij, il clima positivo è essenziale per un
apprendimento socializzato nell'area di sviluppo prossimale; in poche parole il
clima positivo è dato dall'atteggiamento coinvolto di leader imparziale, che il
docente dovrebbe assumere. Un atteggiamento "interessato" che si
alimenta dell'empatia che lega docente e discenti, dove l'uno comunica la
fedeltà alla propria professione, l'intenzione di operare nell'interesse dei
ragazzi che gli sono stati affidati, coinvolgendoli nella costruzione del
sapere ma ponendo anche le basi per il loro essere nella vita; in tutto questo
i ragazzi cercano nell'insegnante il loro punto di riferimento, colui che si
dimostra disposto a guidarli, ad ascoltarli, ad offrirsi in loro aiuto,
lasciando inalterato in ciascuno il bisogno di dipendenza nella ricerca di
indipendenza. Dopo il 1968, molti insegnanti hanno rifiutato il modello di
insegnamento autoritario, secondo la classica definizione di Lewin (1936), per
abbracciarne uno antiautoritario, che spesso è diventato permissivo, piuttosto
che democratico come è stato postulato.
E dietro il nome di siffatta presupposta democrazia
si sono celati i docenti che hanno rinunciato ad assumersi la responsabilità di
un' autorevolezza impregnata di buon senso e cura (Silvano Tagliagambe,
Dall'insegnamento come processo unidirezionale al prendersi cura come
circolarità di insegnamento/apprendimento) verso il soggetto che apprende.
Thomas Homberger (da Il quadernone della via Clericetti, 1997) suggerisce:
"È necessario che nel suo sviluppo il bambino faccia i conti con dei
limiti, ma i limiti che noi diamo ai bambini e ai giovani devono essere davvero
necessari e non imposti perché fanno comodo a noi."
Un'affermazione che si sposa bene con la tesi
secondo la quale le regole sono prima di tutto un gesto di riguardo e di
attenzione nei confronti dei bambini e dei ragazzi. Stabilire regole e fare in
modo che siano rispettate rientra a pieno diritto nelle funzioni del docente,
non quelle dettate dalla norma bensì dal buon senso.
Alla base di tutto c'è una fiducia reciproca,
quella che deve legare allievo e docente, e una piena consapevolezza in
quest'ultimo del messaggio che implicitamente comunica agli studenti: sono qui
per voi, nel vostro interesse; credo in me stesso, in quello che faccio e in
voi. Può sembrare retorica, ma l'atteggiamento di un insegnante comunica ben
più delle sue parole.
Un gruppo classe indisciplinato è un gruppo di
ragazzi che non stanno ricevendo la cura che gli è dovuta e forse avvertono che
chi dovrebbe guidarli verso mete di apprendimento, non intende assumersi la
responsabilità connessa al ruolo.
Significative sono in tal senso le parole del
docente di pedagogia sociale Raniero Regni (Essere insegnanti, divenire
maestri, Atti del Convegno di Studi 'Educare oggi..."): " Coloro che
vengono chiamati maestri devono la loro autorità meno all'istituzione che a se
stessi; il loro carisma attinente meno alla loro funzione che alla loro
persona; non li si subisce, li si segue.
Un maestro è qualcuno che insegna ciò che non si
trova nei libri. Il maestro è l'uomo il cui insegnamento mi libera e mi
permette di essere me stesso. Un maestro è colui che insegna la sua specialità
e qualche altra cosa che è la sicurezza dei gesti e del pensiero, l'onestà, il
gusto, il desiderio di sapere, il coraggio di riflettere, l'attitudine a
giudicare, l'orgoglio di essere un po' più adulto e la gioia di disporre di se
stesso. Il vero maestro è l'uomo che educa insegnando."
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