martedì 16 febbraio 2021

UNA VISIONE PER EDUCARE


 “DIPENDE.....” 

Come cambia 

l’educazione oggi


-         Di Roberto D’Alessio

educatore scout

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Si può educare senza avere l’idea di ciò che è bene e di ciò che è male? O, ancora, senza domandarsi quale tipo di uomo e di donna e di convivenza sociale vogliamo? Baden-Powell direbbe certo di no, dal momento che pensava che la fraternità scout avrebbe cambiato il mondo e portato la pace tra i popoli. struire una visione personale e collettiva o di delega all’uomo forte, al capo che incarna la visione più opportuna e semplice.

Il tema è importante, perché la maggioranza dell’opinione pubblica odierna risponderebbe, al contrario, che è possibile con due accezioni: “l’educazione è un tirar fuori dall’altro, sarà poi lui a scegliere”; oppure direbbe che “è troppo difficile avere certezze nella complessità odierna, e bene o male dipendono dalle circostanze: non ci sono regole generali”. In ambedue i casi non importa l’idea di uomo buono o cattivo, di società giusta o sbagliata: l’educazione si riduce ad affiancare o a curare i traumi o a favorire il tempo libero: assistenza, terapia, accompagnamento, non educazione!

La visione. 

La relazione educativa presuppone per noi un patto in cui, esplicitamente o implicitamente a seconda del livello di concettualizzazione possibile, gli obiettivi, le prospettive, gli orientamenti, fin i sogni, siano dichiarati: da “qui i patti, le carte firmate, gli impegni assunti. Poi sarà un gioco, una lotta, un confronto di libertà reciproca, nel contesto di una esperienza comune, di una vita che cresce e che ci offre molteplici occasioni di realizzare o meno le nostre idee. Educare ha bisogno dunque di una visione, non astratta, non generica, non idealista di ciò che è bene e di ciò che è male. La visione è propriamente questo: un punto di vista sulla vita e sul mondo, che mi consente di esprimere valutazioni e giudizi, orientamenti per il futuro. Se vogliamo, un punto di vista ottimistico ma coerente, attuale ma anche capace di vedere le conseguenze, indicatore del futuro che verrà, concreto, pratico ma al contempo nutrito di speranza e valori. Possiamo dedurre questa visone dalla cultura odierna? dall’opinione pubblica corrente? No, troppo debole, troppo relativa, troppo dipendente dall’aria che tira, dagli interessi particolari, dal contingente, dai vari “dipende”, insomma. E troppo soggettiva e individualista per diventare visione collettiva. Lo stato di confusione causato da visioni particolari, senza criteri di priorità condivisi e senza luoghi dove agire il confronto, genera incertezza e l’incertezza paura: è una condizione di tutti, quasi inevitabile, ma le persone ne soffrono veramente; da qui nascono i desideri sbagliati di rinuncia a costruire una visione personale e collettiva o di delega all’uomo forte, al capo che incarna la visione più opportuna e semplice.

 I due ancoraggi

 L’azione educativa vera ha invece due ancoraggi: 1) alla realtà concreta sulla quale è radicato il punto di partenza, il linguaggio compreso, il patto fiduciario iniziale; 2) alla visione di fondo fatta di una valutazione del presente e di una prospettiva sul futuro. Il processo educativo cresce e si sviluppa costantemente tra i due ancoraggi. Il primo ancoraggio, alla realtà, è meno difficile oggi: o c’è o non c’è; o ne siamo capaci o falliamo lo start-up. La realtà è lì, basta starci dentro e provare e riprovare. Il secondo ancoraggio è più difficile. Lavorare oggi sul giudizio di bene e male e sulla visione di prospettiva richiede un costante discernimento, un costante porsi domande. Non da soli, come vedremo. Se il percorso educativo va avanti, si attua anche progressivamente un lavoro di traghettamento, dalle visioni personali alla visione collettiva comune. Per questo non basta leggere insieme un documento, anzi non serve a nulla: la visone comune nasce dalla esperienza comune, dal condividere fatti, percorsi, valutazioni, dal lavorare assieme, dal fare esperienze vitali insieme e trarne insieme conseguenze di giudizio (è bene, è male) e di volontà (decisioni di fare o non fare, comportamenti da evitare o da ripetere). Il mondo occidentale contemporaneo, detto post-ideologico, fatica a fare questa sintesi, ad assumere una visione complessiva condivisa; è frammentato, scisso. Paradossalmente è un mondo iper-connesso sulle informazioni, ma sconnesso sui valori che nutrono le visioni. La tecnologia che connette può essere il veicolo di nuove visioni, ma non può essere lei la sintesi di senso.

Teoria della pratica

Come costruire una propria visione e passare da una visione personale a una collettiva

 Questo lavoro costante, diviso in livelli solo per marcare l’inizio (fidarsi) e la fine (scegliere, elaborare), si svolge in alcuni luoghi di volontariato (cioè dove vado volontariamente, per voluntas o che, sempre per libera scelta, cerco di costruire come luoghi di elaborazione di giudizio). Ognuno deve averne almeno un paio: il tempo dell’individualismo non li ha previsti. Ognuno deve trovarli e soprattutto spingerli a funzionare così. Il nome di questi luoghi è molto vario, sono luoghi del discernimento altrettanto essenziali dei luoghi di sopravvivenza o di svago: piccolo gruppo di chiesa, di amici studio/lavoro/associazione, comunità educatori, genitori o staff pensanti, assistente, coppia… e via di questo passo.

Che “tempo” fa?

- Tempo del relativismo culturale: Varie visioni e giudizi di bene e di male si confrontano senza criteri e priorità condivise

- Tempo del soggettivismo etico: Ognuno dà valore solo a ciò che pensa, sente, lo emoziona, indipendentemente dai fatti;  abitudine a dare giudizi partendo dai fatti, dalle esperienze vissute, dai dati raccolti.

-Tempo dell’individualismo esasperato: L’individuo (io) è più importante della persona (io, tu, egli, noi... loro); mi salvo da solo, a prescindere dagli altri.

 Riconoscere il bene e il male: Dare nome al bene e al male non è affatto facile: ad esempio, è più facile parlare di bene comune in generale che non di beni comuni in concreto. Questo schema (dedotto dal libro “Cosa dobbiamo fare?” del cardinale C.M. Martini) ci può aiutare descrivendo i tre livelli di male che si presentano agli occhi “aperti” di un educatore. Sia chiaro: la domanda su cosa è male non è fatta per distinguere buoni e cattivi (altri ci penseranno e noi sappiamo che tutti siamo un po’ buoni e un po’ cattivi, per cui vale la pena di usare incessantemente perdono e misericordia su di noi e i nostri fratelli), ma per scoprire quel male di cui siamo conniventi e per vincere misteriosamente il male col bene.

*Male del singolo: È tantissimo, si somma e per questo è molto pericoloso. Cosa fare? Correzione fraterna, lotta di opposizione, credere nella possibilità di recupero, esemplificare il contrario.

* Male collettivo: Situazioni di corruzioni generalizzate, criminalità organizzata, guerre, … Spesso istituzionalizzato in strutture di peccato che quasi ti costringono a essere connivente. Cosa fare? Consapevolezza, discernimento, preghiera, denuncia pubblica.

* Male globale: Forme collettive di male che si auto giustificano e si legittimano in teorie e che soffocano il valore della ragione e deridono la fede. Cosa fare? Il male non è eliminato ma trasformato in bene da esempio e forza della morte di Gesù Cristo in Croce. Penetrare il male e lasciarsene penetrare (nessuna fuga dal mondo): è lotta che ci impegnerà tutta la vita operando il bene.

I temi “crinale” (o “generatori”)

Nella mia esperienza sono tutti i temi di confine, o perché scandiscono le tappe della crescita nell’età evolutiva (ad es. le tappe verso la autonomia e la responsabilità sociale, che devono fare i conti con genitori che mangiano la vita dei figli, iper-proteggendoli) o perché marcano un confine geo-politico: privato pubblico; diritti e doveri (ad es. il “crinale” tra luoghi da presidiare e flussi di persone, cose che li attraversano). Dentro questa grande categoria, alcuni temi e situazioni assurgono per quella specifica vita, in quel tempo, in quella nazione, per i misteri della comunicazione di massa e della psicologia collettiva, a fatti emblematici, cioè si impongono a tutti come eventi decisivi e sintetici. Non è che siano più importanti di altri, ma lo sono in quel momento storico, in quel luogo geografico, nella nostra vita. Invece di negarli, dicendo che non è vero che sono così importanti, è più utile attraversarli, percorrerli e rinforzare cosi la nostra visione, perché questi temi rendono immediatamente evidente le conseguenze dei comportamenti nostri e altrui, ci obbligano a scegliere e a dichiarare da che parte stiamo.

Un esempio delle due tipologie: Come si lavora sui temi “crinale”? a) Scavo e approfondimento sulla base della esperienza diretta. b) Cosa pensa l’opinione pubblica. c) La nostra opinione e decisioni conseguenti.

È chiaro che alle diverse età questo processo può durare un anno o una uscita: l’importante è che dalla esperienza diretta si parta e si ritorni. Ai lettori che sono educatori, lascio la felicità di costruire i propri strumenti e modelli.

 

Bibliografia

Luigi Melesi, Liberaci dal male, Ed. Don Bosco. Uno dei più grandi educatori contemporanei descrive il costante lavoro di costruzione e ricostruzione di una visione etica coi detenuti del carcere di San Vittore nei suoi 30 anni di cappellania.

Gabriele Gabrieli, Il cammino è la meta, la preghiera universale per la pace. Storico capo scout e animatore interculturale di comunità, ci offre il suo taccuino di strada in cui si legge l’esperienza scout incrociata a quella dei popoli sinti e rom.

 

RS - SERVIRE

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