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lunedì 10 febbraio 2025

QUALE PRESBITERO?


 È necessaria 

una riforma 

del presbitero

 

 

-di ENZO BIANCHI

per gentile concessione dell'autore

 

 Per essere più fedeli al Vangelo e più capaci di rispondere ai bisogni della comunità cristiana.

 

Se la liturgia necessita con urgenza che si continui la riforma iniziata con il concilio Vaticano II, come abbiamo accennato nell’articolo precedente, anche il presbitero e la comunità cristiana che lui presiede richiedono una riforma. Sappiamo tutti che negli scritti del Nuovo Testamento, in particolare nelle lettere di Paolo, è attestata una diversità di ministeri che non riusciamo sempre a identificare con precisione nel contenuto: inviati (apostoli) e inviate (apostole), evangelisti, didascali e profeti, diaconi e proesti di comunità. Tutti prestavano un servizio al Signore della chiesa prendendosi cura delle diverse necessità apostoliche. Poi purtroppo nel III secolo, come testimonia Cipriano di Cartagine, si stabilisce una gerarchia ecclesiastica nella quale la figura del vescovo acquisisce una considerevole importanza e centralità. La crisi dell’Impero romano favorisce anche il passaggio a un’autorità episcopale che sia non solo ecclesiale ma anche politica e nello stesso tempo si proiettano sulla figura clericale le immagini dell’Antico Testamento che ne fanno un sacerdote, un sacrificatore impegnato in una obbedienza stretta ed esigente alla ritualità sacrificale. E la Riforma invano cercherà di ricordare le esigenze neotestamentarie, anzi, per reagire, la chiesa cattolica rinforzerà quell’identità sacerdotale che ha determinato l’esemplarità di tanti santi presbiteri controriformisti fino al curato d’Ars.

 Presbyterotum Ordinis        

Il concilio Vaticano II ha cercato, soprattutto con Presbyterorum ordinis, di riformare la figura e il ministero del sacerdote indicato sempre più come “presbitero” in fedele obbedienza al Nuovo Testamento, ma questo testo è restato un tentativo di riforma, non approfondito e non sviluppato, come ci si sarebbe potuti attendere da un decreto conciliare. Sì, il ministero non è plasmato da un’idea platonica, ma vivendo nel tempo deve accettare di essere plasmato secondo le esigenze pastorali del momento. Non le esigenze mondane, ma quelle che emergono nella vita degli uomini e delle donne come bisogni e come legittimi desideri. Il ministero non è un’esigenza funzionale nella chiesa, ma un ordo fondamentale richiesto dal Vangelo, che prevede che il gregge del Signore sia guidato dai pastori, e che ci sia chi ha il compito di “pescare” le pecore e di radunarle andando anche a cercare quelle smarrite. Non c’è chiesa senza pastore ed è un’illusione una chiesa che si autogoverni senza riconoscere il ministero apostolico, il ministero dell’inviato del Signore.

          Ma proprio la forma dell’esercizio di questo ministero può e deve mutare per essere più fedele al Vangelo e più capace di rispondere ai bisogni della comunità cristiana. Occorre una riflessione esigente, coraggiosa, che non tema una revisione radicale e non si fermi ai ritocchi.

          Oggi il prete è sovente scontento, stanco, incapace di rinnovare le motivazioni della sua vocazione e nell’anzianità confessa la sua frustrazione, la mancanza di adesione a quel che deve compiere. Purtroppo, io, nel mio povero servizio di accompagnamento di tanti preti, ascolto la loro fatica, la loro voglia di ribellarsi al dovere di celebrare la domenica fino a cinque messe in paesini sperduti con poca gente, e celebrare con gente non convinta... Così il prete è diventato uno che “dice messa”, un funzionario di un sacro non cristiano, un mercante di stralci di dottrina che deve comunicare nell’omelia e, per molti, colui che presiede alla sepoltura dei loro morti. E taccio sulle diverse incombenze e servizi burocratici e filantropici che deve organizzare mentre questo richiede tempo e non dovrebbe dipendere da chi è prete. No, una vita di questo tipo stanca e sfibra molti preti e soprattutto preti giovani che non lo sentono come un servizio che arricchisce la loro esistenza e li fa vivere nello spazio del Vangelo, ma come uno sfruttamento. Perché non ci si chiede a partire da queste letture la causa della carenza di vocazioni presbiterali? Il problema è ancora relativamente poco presente nel Sud Italia dove il prete è un’autorità, è venerato e gode di un buon tenore di vita (diciamo la verità). Ma non si può dire lo stesso della Liguria, del Piemonte, della Toscana, dell’Umbria. Non è solo la situazione secolarizzata, ma la situazione ingrata in cui vivono i preti che allontana le vocazioni. È vero che chi sceglie il ministero accetta di abbracciare la croce, ma in una vita piena di senso, di fraternità e affetti, una vita piena!

          Io sogno di incontrare – e li incontro ora raramente! – preti umanissimi, umili come nell’incontro con un viandante, un giardiniere, un pescatore, ma persone che sappiano dire parole di speranza, destare fiducia, dire che l’affetto, l’amore è l’unica cosa che conta per tutti i cristiani che vivono la comunità. Sogno dei preti che non organizzano eventi, non trasformano gli incontri pastorali in feste folcloristiche, ma stanno tra la gente, ascoltano, fanno visite, condividono, fanno segno... cioè indicano ciò che sta oltre il visibile ma è oggetto del desiderio dei veri cristiani. Sogno dei preti che abbiano una semplice chiesa in cui radunano la gente e fanno risuonare con exousía la Parola di Dio convinti che questa ha in sé una dýnamis, una forza divina come dice l’Apostolo, e la annunciano confidando che essa operi ciò che essi stessi non sanno operare. Ed è proprio la Parola di Dio che crea comunità, costruisce comunità, edifica la parrocchia nella forma oggi possibile: dove si spezza la Parola e il pane insieme, soprattutto nel giorno del Signore!

 Quale via?

Tutto è così semplice! Che senso ha questa proliferazione e questa istituzionalizzazione di gesti che appartengono ai battezzati e vengono chiamati “umanitari”? Ma è veramente questa la via per edificare la chiesa, o questa è la via di una nuova clericalizzazione in cui un’alba bianco vestita durante l’eucaristia dà un decoro e un’identità che la fede non riesce a dare? Questa formula di una chiesa tutta ministeriale è mondana, sembra rispondere a esigenze di democrazia, ma se tutti sono ministri a chi si fa il servizio? Perché tanta enfasi proprio quando “la crisi” svuota e rende fragili molte figure? Certamente per molti cristiani si fa sempre più evidente la teologia del “resto d’Israele”, del “piccolo resto”. Tutto l’Antico Testamento, soprattutto i profeti, testimoniano che sì, c’è il popolo di Dio, ma che Dio poi si sceglie e guarda a un “resto”, un piccolo numero di fedeli che non corrisponde con il popolo. Non sono credenti privilegiati, non stanno in corsie preferenziali, non sono klerós, porzione nobile, ma realtà di piccoli, poveri che confidano solo nel Signore. Fanno parte del popolo di Dio e non si distaccano da esso ma non confidano nell’istituzione, né nel tempio, né nel sacerdozio! Attendono il Giorno del Signore, che lui venga e operi la salvezza.

          Anche nella chiesa, oggi più che mai se lo vogliamo vedere, si sta stabilendo un resto di cristiani: non si dicono più cattolici, ortodossi o protestanti, ma semplicemente “cristiani”, pur riconoscendo con gratitudine la chiesa che li ha generati a Cristo. Non è solo il grande teologo Paolo Ricca che ha lasciato come testamento questa confessione, ma altri si esprimono con le stesse parole nell’adesione a Cristo, cercando di vivere il Vangelo senza più guardare all’istituzione. Tuttavia, questo non è né fecondo, né coerente con una vita cristiana che sia sale della terra, speranza per le genti.

          Ma se non c’è riforma del presbiterato e della comunità cristiana l’unico esito sarà una diaspora, con il rischio di non essere significativi, di non fare più segno tra gli uomini e le donne del nostro tempo.

 Alzogliocchiversoilcielo

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giovedì 10 dicembre 2020

LAICI NELLA CHIESA E NUOVI MINISTERI


Nuovi ministeri, il Papa: più spazio ai laici nella Chiesa

Nella prefazione del libro “Sinfonia di ministeri” del vescovo Fabio Fabene, Francesco chiede che riprenda il cammino per riconoscere la specifica vocazione dei laici. Nel volume, l’autore, sottosegretario del Sinodo dei vescovi, riassume il percorso sinodale che ha rilanciato il protagonismo laicale negli ultimi decenni


Fabio Colagrande – Città del Vaticano

 

Attraverso il cammino sinodale la Chiesa è giunta negli ultimi decenni a individuare nuovi ministeri che concretizzano il protagonismo dei laici nella vita ecclesiale. I recenti Sinodi dedicati alla famiglia, ai giovani e all’Amazzonia hanno suggerito nuovi ministeri laicali come quello della carità, per la tutela del creato, per l’accompagnamento della famiglia o dei giovani o per la guida pastorale della comunità. Ma, come scrive Papa Francesco nella prefazione del volume “Sinfonia di ministeri”, di monsignor Fabio Fabene, “dobbiamo verificare se siamo fedeli a questa identità laicale, facendo ripartire l’orologio che sembra essersi fermato. Il tempo è ora”. Il vescovo Fabene, dal 2014 sotto-segretario del Sinodo dei vescovi, ripercorre nel volume, edito dalla Libreria Editrice Vaticana e dalla San Paolo, il cammino ecclesiale che ha portato all’ampliamento dei ministeri laicali e a una nuova consapevolezza della loro centralità in una Chiesa missionaria e in uscita.

R.- Il Papa, fin dall'inizio del suo ministero, nell’Evangelii gaudium, ha parlato proprio del protagonismo che devono avere i laici in una Chiesa sinodale e missionaria. Francesco ha affermato che i laici rappresentano la stragrande maggioranza del popolo di Dio e sono una maggioranza che non deve essere silente, ma protagonista. Perché lo Spirito Santo dona a tutti i battezzati carismi e ministeri per l'edificazione della Chiesa e per l'evangelizzazione del mondo.

Il tema dei ministeri laicali - i cosiddetti “ministeri istituiti” come li ha chiamati Paolo VI per distinguerli da quelli “ordinati” - è stato richiamato più volte nelle recenti assemblee sinodali del 2018 e del 2019. Questo libro nasce proprio da questa sua esperienza diretta come sotto-segretario del Sinodo dei vescovi?

R.- Ancora prima nel Sinodo dedicato proprio ai laici e nell’esortazione apostolica Christifideles laici di San Giovanni Paolo II, del 1988, si parlava appunto della vocazione e della missione dei laici e dei loro ministeri. Quella fu un’occasione molto feconda per tutta la Chiesa per riflettere sulla vocazione, sulla missione dei laici ma anche sulla ministerialità laicale che San Paolo VI aveva riformato aprendo il cammino ministeriale, non solo per coloro che erano avviati verso il sacerdozio, ma anche per i laici, consentendogli l’accesso al lettorato e all’accolitato. Ma anche nel recente Sinodo amazzonico, come lei ricordava, si è molto parlato del tema della ministerialità e in particolare della Ministeria quaedam, il documento con cui Papa Montini, nel 1972, riformava i ministeri. Io credo che dobbiamo ripartire da lì per una nuova stagione “ministeriale”, per una nuova creatività in questo settore. Io sono stato certamente stimolato in questo senso dal Sinodo Panamazzonico, perché - come scrivo nel libro - nell'aula sinodale, come anche nei gruppi di studio dei circoli minori, le parole ministerialità e ministero risuonavano, quasi come un ritornello, da un punto all'altro dell'aula e questo mi ha sollecitato ad approfondire un aspetto che non riguarda soltanto la regione amazzonica ma tutta la Chiesa. I laici non sono chiamati infatti a svolgere un'opera di supplenza perché, come accade in quel territorio, mancano le vocazioni al sacerdozio e i sacerdoti. La loro non è un’opera di supplenza, ma la loro azione, la loro presenza, è veramente necessaria per l'edificazione della Chiesa comunione e per la sua stessa missionarietà.

Nella Querida Amazonia del 2020, come ricorda nel suo libro, Papa Francesco parla addirittura di “inculturazione della ministerialità”. Cosa significa? È un passo decisivo?

R.- Questo è un passo molto importante. Credo sia un passo avanti che il Papa sta facendo in questo ambito sollecitando le diverse parti del mondo, le diverse culture a radicare la ministerialità nei propri contesti sociali, culturali ed ecclesiali. Ciò significa che, secondo le esigenze della Chiesa nei diversi territori e culture, dobbiamo saper scrutare il tempo e le necessità di quelle Chiese e suscitare nuove ministeri proprio al servizio della diversità. Ricordiamoci sempre che i due principi fondamentali della Chiesa sono l'unità e la diversità. Ed è proprio nella diversità che si riscontrano la forza e la creatività dello Spirito Santo. Se siamo tutti uguali in forza del Battesimo, è lo stesso Spirito a suscitare la diversità, anche ministeriale, per il servizio alla Chiesa incarnata nei singoli continenti, nei singoli luoghi e nelle singole culture, secondo le necessità proprie di quelle comunità ecclesiali.

Cos’hanno a che fare con questo tema la presenza e l'azione dello Spirito Santo nella Chiesa?

R.- Sono fondamentali, perché la ministerialità non è un dato sociologico o un dato empirico, ma nasce dai carismi che lo Spirito dona a ciascun battezzato nella comunità ecclesiale. Di questa ricchezza carismatica e ministeriale parla chiaramente il Concilio Vaticano II. Potremmo dire che il ministero è il carisma messo in atto. Per questo è necessario il discernimento dei pastori che devono sapere scrutare e cogliere il carisma dei laici e poi istituirlo in un ministero di servizio per le loro comunità. È proprio lo Spirito che dona con abbondanza alla Chiesa carismi, ministeri, servizi proprio per edificare il corpo di Cristo. Quest’ultimo non è infatti una massa uniforme ma un popolo ricco appunto di quella diversità che è dono dello Spirito.

Potremmo dire che proprio dal sacerdozio di Cristo deriva il sacerdozio ministeriale che riguarda tutto il popolo di Dio…

R.- Tutti noi battezzati partecipiamo al sacerdozio di Cristo: il cosiddetto “sacerdozio comune”. Poi c’è il sacerdozio ministeriale che ricevono coloro che sono chiamati nella Chiesa a questo specifico ministero e partecipano proprio al ministero di Cristo sacerdote capo e agiscono nella persona stessa di Cristo. Ma tutti noi siamo partecipi del sacerdozio di Cristo, e i laici agiscono nella Chiesa proprio in quanto innestati nel sacerdozio di Cristo che è il sacerdozio battesimale.

Cosa intende con l’espressione “Sinfonia dei Ministeri” che dà il titolo al suo libro?

R.- Intendevo riferirmi a quella pluriformità che c’è nella Chiesa per opera dello Spirito Santo e nello stesso tempo alla sua unità. Come dicevo prima, i pilastri fondamentali della Chiesa sono l'unità, la comunione e la diversità ministeriale che non è uniformità, ma una Chiesa pluriforme che manifesta la ricchezza che lo Spirito Santo dona a tutto il popolo di Dio. In questo senso spero che questo libro sia una proposta, un aiuto, proprio perché i pastori siano capaci di far emergere questa ricchezza carismatica che c'è in ogni comunità.

 

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