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venerdì 17 marzo 2023

CORAGGIOSI E CREATIVI


 Sull’esempio di san Giuseppe, 

per essere padri e maestri «coraggiosi e creativi»

 In famiglia e a scuola i nostri figli hanno bisogno di riconoscersi in figure adulte significative

 «Coraggioso e creativo» . Sono due aggettivi che papa Francesco ha usato nella Lettera apostolica Patris corde – Con cuore di Padre scritta in occasione dell’anno dedicato dalla Chiesa a San Giuseppe. Sono caratteristiche, soprattutto in questo particolare momento storico, che ci fanno riflettere, ci interpellano come genitori, come padri e sono la misura con cui senza ombra di dubbio siamo chiamati a confrontarci. «Coraggioso». Di fronte alla situazione mondiale attuale che ci carica, tutti, sempre più di presagi funesti e di scenari sempre più oscuri e drammatici l’essere coraggiosi è probabilmente la caratteristica più impegnativa da assumere ma anche la più urgente. Se pensiamo all’ambito in cui agiamo come associazione di genitori, vale a dire la scuola, il riferimento va subito all’aspetto educativo dei nostri figli. Educare tutti i ragazzi, aiutarli a crescere, e crescere insieme a loro nella speranza, nella fiducia, nella consapevolezza che dentro ciascuno ci sono importanti risorse capaci di generare energie per un mondo migliore: questo è uno dei compiti fondamentali. Un padre dovrebbe e potrebbe essere proprio questo: un trampolino di lancio per ogni figlio, per tutti i figli. Un amico pedagogista e preside di uno degli istituti dove Agesc è presente ricordava durante un incontro una frase che ci sembra particolarmente significativa: « Il padre è figura essenziale nel cammino di crescita del figlio, perché costituisce un punto di riferimento con cui il figlio si confronta e attraverso cui sviluppa la propria identità. Il padre rappresenta un rifugio sicuro, una base su cui costruire le proprie esperienze relazionali». Tutto bello ma… quanta fatica, quante frustrazioni, quanta arrendevolezza quando il “compito” sembra superiore alle nostre forze.

Forse è proprio quando sembra che il peso sopravanzi le gioie dell’essere padre, che il lato “creativo” potrebbe venirci in aiuto. È in un ambiente come la scuola, nelle relazioni tra genitori, tra pari che condividono percorsi educativi, seppur diversi, che può riaccendersi la capacità di essere padri creativi vale a dire capaci di attingere da un patrimonio comune la capacità di tracciare percorsi nuovi, indicare nuove strade certamente da percorrere assieme.

«Fare» il padre è indubbiamente molto diverso, forse quasi più facile che «essere» padre. E oggi i nostri figli hanno urgente bisogno di padri che sappiano essere tali, di figure autorevoli e non autoritarie, che sappiano suscitare la stima con l’esempio, che con dolce fermezza sappiano anche dire dei «no», per generare quel senso del limite necessario per una convivenza positiva.

Come scrive Massimo Recalcati: «Occorre un gesto simbolico di riconoscimento del padre che dice al figlio “Tu sei mio figlio”, « Io ho con te un rapporto di responsabilità illimitata, perché la tua venuta al mondo ha reso il mondo diverso”. Il dono della paternità è il dono di una responsabilità illimitata, senza diritto di proprietà sul figlio». Alla vigilia di questo 19 marzo 2023, alla vigilia della Festa del papà il nostro augurio è che i nostri figli, i nostri ragazzi, incontrino adulti significativi nel loro percorso educativo e scolastico, ma non solo, adulti che sappiano essere per loro padri “coraggiosi e creativi”.

Lontano quindi dalle polemiche che anche in questi giorni sono nate a causa di provvedimenti, nella scuola, che toccano espressamente la Festa del Papà vorremmo che il 19 marzo potesse essere un giorno di ripensamento e di “memoria” alla ricerca e alla riscoperta di quel padre che possiamo e dobbiamo essere un po’ tutti e fare nostre le frasi di una bellissima poesia di Camillo Sbarbaro, A mio padre, che ben tratteggia la figura del padre, là dove scrive: Padre, se anche tu non fossi il mio padre, se anche fossi un uomo estraneo, fra tutti gli uomini, già tanto pel tuo cuore fanciullo, t’amerei.

 

* AGESC

www.avvenire.it

 

sabato 19 marzo 2022

SAN GIUSEPPE ... IL DIMENTICATO


Nel Nuovo Testamento c’è un’evidente reticenza nel trattare di Giuseppe di Nazaret, marito di Maria e padre di Gesù…”.  

La riflessione del biblista frate Alberto Maggi

 


-         di Alberto Maggi

 L’ebraico Yôsep (Giuseppe), è un nome augurale per chi desidera una famiglia numerosa; infatti, significa “il Signore aggiunga” (al bambino nato), tanti altri ancora. Nome popolare nella Bibbia, è portato da personaggi illustri della storia d’Israele, dal figlio di Giacobbe e Rachele, venduto come schiavo dai suoi fratelli per gelosia, ma divenuto poi governatore d’Egitto (Gen 37-42), al marito di Maria; quel che li accomuna è che entrambi, in situazioni drammatiche, sono stati i salvatori della loro famiglia.

Nel Nuovo Testamento c’è però un’evidente reticenza nel trattare di Giuseppe di Nazaret, marito di Maria e padre di Gesù. Sia nelle lettere di Paolo sia degli altri autori del Nuovo Testamento non si fa alcun accenno a Giuseppe, ma quel che sorprende è il ruolo marginale che sembrano dargli anche gli evangelisti.

Nel vangelo considerato più antico, quello di Marco, non c’è alcun riferimento a lui, e Gesù è ricordato solo come “il figlio di Maria”; vengono nominati i fratelli Giacomo, Ioses, Giuda e Simone, e anche le sue sorelle (Mc 6,3), ma non c’è alcun cenno al padre. Anche nel vangelo di Giovanni si parla della madre di Gesù (Gv 2,1; 19,25) e dei suoi fratelli (Gv 7,3-10), ma non si trova alcun indizio su Giuseppe. È solo nei vangeli di Luca, e in particolare di Matteo, che gli evangelisti, in modi diversi, trattano questa singolare figura della quale stranamente non riportano neanche una parola, e del cui mestiere si parla solo in relazione a Gesù, conosciuto come “il figlio del falegname” (Mt 13,55).

La scarsità di notizie riguardo a Giuseppe nei vangeli, ha fatto sì che la Chiesa e la tradizione abbiano attinto abbondantemente dai testi apocrifi, in modo particolare dal Protovangelo di Giacomo, di poco posteriore ai vangeli. È in questo testo che Giuseppe viene presentato già come anziano (“Ho figli e sono vecchio, mentre lei è una ragazza” (9,2), mentre nell’apocrifo “Storia di Giuseppe Falegname” si legge che era vedovo con ben sei figli (quattro maschi e due femmine), quando si sposò con la dodicenne Maria di Nazaret. E quando Giuseppe morì, a ben centoundici anni (15,1), Gesù e Maria erano presenti al suo capezzale insieme a tutti i suoi figli e figlie. Queste notizie indussero la tradizione cristiana a presentare Giuseppe come una persona molto avanti con gli anni e, in modo particolare dal quindicesimo secolo, il consolidarsi del culto a San Giuseppe, portò a raffigurarlo sempre più come un anziano che sembrava più il nonno che il padre di Gesù, forse per rendere così più sicura la verginità della Madonna, e generazioni di bambini hanno imparato la dolce filastrocca dedicata a “San Giuseppe vecchierello…”.

In realtà, con ogni probabilità, il marito di Maria era un giovane, in quanto la tradizione ebraica fissava il matrimonio per il maschio al diciottesimo anno (“I diciotto anni sono l’età giusta per il matrimonio” Pirkè Avot, 5,23), e per la femmina al dodicesimo.

La Chiesa presenta Giuseppe come padre “putativo” (dal latino puto, creduto tale) di Gesù, secondo quanto scrive Luca nel suo vangelo (“era figlio, come si credeva [lat. putabatur], di Giuseppe”, Lc 3,23). Se Luca parla di Giuseppe come padre di Gesù (Lc 4,22), Matteo, nonostante sia l’evangelista che più mette in risalto la sua figura provvidenziale per la santa famiglia, lo esclude in maniera radicale dal concepimento del figlio. Infatti, nella genealogia con la quale Matteo apre la sua narrazione, elencando gli antenati di Gesù, per trentanove volte, partendo da Abramo, presenta un uomo che genera un maschio (“Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda…”, Mt 1,1), una successione di padre in figlio che attraversa la storia d’Israele da Abramo a Davide e Salomone fino a Giuseppe. Ma giunto al trentanovesimo “generò” (“Giacobbe generò Giuseppe”, Mt 1,16), anziché proseguire come il ritmo e la coerenza vorrebbero con “Giuseppe generò Gesù”, la trasmissione di vita iniziata con Abramo di padre in figlio s’interrompe bruscamente. Matteo infatti scrive che “Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale è stato generato Gesù chiamato Cristo” (Mt 1,16), estromettendo Giuseppe dalla generazione del figlio. Nella cultura ebraica non esisteva il termine genitori ma solo un padre e una madre, con compiti differenti. Mentre il padre è colui che genera, la madre si limita a partorire il figlio (Is 45,10). Matteo, infrangendo questa cultura e questa tradizione, presenta una donna dalla quale fu generato il figlio, adoperando lo stesso verbo (gr. ghennaô) che ha usato per tutte le generazioni precedenti, facendo così intravedere un’azione particolare di Dio. Il Cristo non è figlio di Giuseppe, ma “Figlio di Dio” (Mt 27,54), generato dallo Spirito, la stessa energia divina che nel racconto della creazione aleggiava sulle acque (Gen 1,1-2).

Giuseppe viene presentato da Matteo come “giusto”, qualifica che non indica soltanto la condotta morale dell’individuo, ma la sua piena fedeltà alla Legge di Mosè, come Elisabetta e Zaccaria, i genitori di Giovanni, che “erano giusti davanti a Dio” in quanto “osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore”, Lc 1,6). Quando Giuseppe scopre che Maria, prima che iniziassero la convivenza, è incinta, sa che come “giusto” il suo dovere è di denunciare la sposa infedele e farla lapidare, così come comanda la Legge divina (Dt 22,20-21). Ma Giuseppe non lo fa. Tra la fedeltà alla Legge e l’amore per la sposa, vince la misericordia, e Giuseppe cerca una via di uscita che salvi Maria (“decise di licenziarla in segreto”, Mt 1,19). Nel Protovangelo di Giacomo, la drammatica scelta di Giuseppe viene ben raffigurata da questo suo dilaniante dialogo interiore: “Se nasconderò il suo errore, mi troverò a combattere con la Legge del Signore” (14,1).

Giuseppe non osserva la Legge, e questa incrinatura nel fronte dell’obbedienza al comando divino è sufficiente allo Spirito non solo per inserirsi nella sua vita e assicurarlo a prendere Maria come moglie (Mt 1,20) e salvarla da morte sicura, ma lo rende capace di percepire nella sua esistenza la presenza del “Dio misericordioso” (Dt 4,31). Giuseppe è il giusto, l’uomo che non parla ma fa, al contrario degli scribi e farisei che “dicono ma non fanno” (Mt 23,3). Egli è per l’evangelista il primo di quei “misericordiosi” che Gesù proclamerà beati “perché troveranno misericordia” (Mt 5,7), e di quei “puri di cuore” proclamati beati “perché vedranno Dio” (Mt 5,7.8), ovvero faranno una costante esperienza della presenza del “Signore misericordioso” (Sir 48,20) nella loro vita. È questo che ha permesso a Giuseppe di essere sempre guidato da Dio stesso (l’ “Angelo del Signore”), che per tre volte, cifra che nel simbolismo numerico ebraico indica la totalità, gli indicherà che fare (Mt 1,20; 2,13.19).

Ripetendo le gesta del primo Giuseppe della Bibbia (Gen 45-46), il falegname di Nazaret salva la sua famiglia dalle trame omicide di re Erode portandola in Egitto, per poi tornare nella più lontana ma sicura Galilea. Accogliendo come suo il figlio di Maria, Giuseppe lo legittima agli occhi del popolo, e il bambino, a cui ha posto il nome Gesù (l’ebraico Yehsȗà, “Il Signore salva”), sperimenta, ancora prima della protezione del Padre celeste, il padre terreno come il suo salvatore.

 Il libraio.it

 

venerdì 19 marzo 2021

AMORIS LAETITIA E SAN GIUSEPPE, UN INTRECCIO PARTICOLARE


Nella solennità di San Giuseppe e nell’Anno dedicato al Patrono della Chiesa universale, inizia l’Anno della Famiglia Amoris laetitia, a 5 anni dalla pubblicazione dell’Esortazione post-sinodale. Due importanti ricorrenze che si intersecano con sorprendente continuità

-Benedetta Capelli – Città del Vaticano

San Giuseppe e la famiglia. Un legame di tenerezza che scatta immediato nella mente come la più naturale delle associazioni. “Uomo giusto e saggio”, lo ha definito Papa Francesco all’udienza di mercoledì; un Padre amato accogliente e nell’ombra, un Padre dal coraggio creativo, si legge nella Patris Corde, la Lettera apostolica con la quale il Pontefice ha indetto lo scorso 8 dicembre 2020 l’Anno di San Giuseppe. Un anno che si sovrappone a quello della Famiglia che inizia domani, nella solennità dello sposo di Maria, e a 5 anni dalla pubblicazione di Amoris laetitiaFrancesco – altra importante associazione - firmò l’Esortazione apostolica proprio il 19 marzo del 2016 in pieno Giubileo della Misericordia e sotto la protezione di San Giuseppe. Nella conclusione di Amoris laetitia si riannodano i tanti fili di questa tela, intrecciata di amore per la Chiesa e per i suoi figli.

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Preghiera alla Santa Famiglia

Gesù, Maria e Giuseppe,in voi contempliamolo splendore del vero amore,a voi, fiduciosi, ci affidiamo.Santa Famiglia di Nazaret,
rendi anche le nostre famiglieluoghi di comunione e cenacoli di preghiera,autentiche scuole di Vangeloe piccole Chiese domestiche.Santa Famiglia di Nazaret,
mai più ci siano nelle famiglieepisodi di violenza, di chiusura e di divisione;che chiunque sia stato ferito o scandalizzatovenga prontamente confortato e guarito.Santa Famiglia di Nazaret,
fa’ che tutti ci rendiamo consapevolidel carattere sacro e inviolabile della famiglia,della sua bellezza nel progetto di Dio.

 L’ Anno della Famiglia Amoris Laetitia

E’ nella Festa della Santa Famiglia, 27 dicembre 2020, che Papa Francesco all’Angelus annuncia l’Anno dedicato alla Famiglia Amoris laetitia. L’inizio è il 19 marzo 2021, a 5 anni dalla pubblicazione dell’Esortazione apostolica, la conclusione è fissata per il 26 giugno 2022 in occasione del decimo Incontro Mondiale delle Famiglie a Roma. “Un anno – spiega nell’annunciare l’Anno – di riflessione, un’opportunità per approfondire i contenuti del documento”. A coordinare le iniziative pastorali, spirituali e culturali il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita che, sul sito internet in 5 lingue, www.amorislaetitia.va, ha messo a disposizione sussidi e reso noto convegni e approfondimenti sul documento pontificio. E’ il Papa stesso a chiarire, nel testo al numero 5, l’importanza di Amoris laetitia:

Questa Esortazione acquista un significato speciale nel contesto di questo Anno Giubilare della Misericordia. In primo luogo, perché la intendo come una proposta per le famiglie cristiane, che le stimoli a stimare i doni del matrimonio e della famiglia, e a mantenere un amore forte e pieno di valori quali la generosità, l’impegno, la fedeltà e la pazienza. In secondo luogo, perché si propone di incoraggiare tutti ad essere segni di misericordia e di vicinanza lì dove la vita familiare non si realizza perfettamente o non si svolge con pace e gioia.

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La famiglia di Nazaret, stella polare

Francesco guarda all’”icona della famiglia di Nazaret, con la sua quotidianità fatta di fatiche e persino di incubi”, come la violenza di Erode, che anche oggi si rinnova sulla pelle di tanti profughi, ma anche alla sua “alleanza di amore e fedeltà” che “illumina il principio, che dà forma ad ogni famiglia e la rende capace di affrontare meglio le vicissitudini della vita e della storia”. E in Amoris laetitia, il Papa cita Paolo VI e il suo discorso a Nazaret del 5 gennaio 1964. Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi che cos’è la famiglia, cos’è la comunione di amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile; ci faccia vedere come è dolce ed insostituibile l’educazione in famiglia, ci insegni la sua funzione naturale nell’ordine sociale.

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L’ Anno di San Giuseppe

E’ Giuseppe a prendersi cura di questo tesoro, “da capofamiglia”, è Lui – scrive Francesco nella Patris Corde - ad insegnarci che “avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, le nostre debolezze”. “E’ il vero miracolo con cui Dio salva il Bambino e sua madre”, fidandosi del suo “coraggio creativo”. A questa figura molto amata dai fedeli, a 150 anni dalla proclamazione a Patrono della Chiesa universale grazie al decreto Quemadmodum Deus di Papa Pio IX, Francesco ha deciso di dedicare un Anno a San Giuseppe. E’ stato anche concesso il “dono di speciali Indulgenze” fino all’8 dicembre 2021 alle consuete condizioni: confessione sacramentale, comunione eucaristica e preghiera secondo le intenzioni del Papa.

 Vatican News