di fronte a
MATTEO MESSINA DENARO
- di Valentina
Chinnici*
- L’arresto del boss Matteo
Messina Denaro, latitante da 30 anni, e un fatto storico importante, che supera
di gran lunga i confini siciliani e offre anche alla Scuola l’occasione per una
riflessione seria sul fenomeno della criminalità organizzata e sulla cultura
della legalità , che non può esaurirsi ovviamente nell’ora di educazione civica
o in qualche unita didattica di educazione alla cittadinanza.
L’evento, ben lungi
dall’essere un semplice fatto di cronaca, si presta infatti a molteplici scopi didattici:
innanzitutto perché costituisce l’occasione per rileggere gli ultimi trent’anni
di storia della mafia e quindi dell’Italia intera, considerando che Messina
Denaro deve scontare, tra le altre, le condanne per le stragi di Capaci e di
Via D’Amelio, oltre che per l’efferato omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo,
colpevole di essere il figlio dodicenne del pentito Santino Di Matteo.
Ma, ci sia consentito
senza timore di cadere nella retorica, la lettura in classe dei quotidiani dei prossimi
giorni e le discussioni appassionate di cui le aule speriamo si animino,
offrono altre possibilità importanti: ad esempio, l’affermazione dell’importanza
fondamentale delle Istituzioni, garanzia di coesione e unita del nostro Paese,
che deve superare stereotipi razzisti residuali nei confronti del Sud, nella
consapevolezza che la cattura di un simile criminale e il frutto di anni di lavoro
e sacrificio totale di tanti altissimi servitori dello Stato e deve essere
dunque motivo di orgoglio e soddisfazione condivisa.
In tal senso gioverà
riflettere anche sulle manifestazioni di gioia e di gratitudine verso le forze dell’ordine
che centinaia di cittadini, soprattutto giovani, hanno espresso spontaneamente
in queste ore. Lungi dall’avere solo una valenza emotiva, infatti, il consenso
della società civile con l’azione dello Stato e la “connessione sentimentale”
del popolo con la magistratura e i Carabinieri sono il vero unico antidoto per
prevenire l’attecchimento e il fiorire della mentalità mafiosa, come più volte
sottolineato dai giudici in prima linea contro Cosa Nostra. Come affermava
Paolo Borsellino, infatti, “se la gioventù le negherà il consenso, anche
l'onnipotente e misteriosa mafia svanirà
come un incubo” ed e anche questo il motivo che spingeva i magistrati stessi, a
partire da Rocco Chinnici, che fu il primo a capire l’importanza dell’azione
educativa, a “perdere tempo” nelle scuole, incontrando migliaia di studenti e
studentesse per spiegare cosa fossero le organizzazioni criminali e come e perché
bisognasse combatterle a tutti i livelli.
Infine, alla luce di
queste brevi riflessioni, formuliamo un augurio e una speranza: che domani, esaurita
l’euforia, non si cominci a soffocare l’entusiasmo con la cinica disillusione
che sempre serpeggia a tutte le latitudini italiane e che già lascia spazio a
mormorazioni relative al fatto che in fondo la cattura di Messina Denaro non e
poi una grande vittoria e che e stato preso solo perché malato e ormai quasi
inoffensivo. Ecco, se anche questi pensieri dovessero affacciarsi, l’augurio e che
in classe possiamo ricacciarli indietro, non certo per ingannare i nostri
alunni, ma per non macchiare la loro fiducia nelle Istituzioni, di cui
certamente sono esistiti ed esistono pezzi deviati e conniventi, ma la cui
sopravvivenza e il cui rispetto assoluto sono la condizione per umanizzare la
nostra società. Ne sono stati prova gli stessi giudici uccisi, certamente ammazzati
perché rimasti soli e non protetti adeguatamente dallo Stato, ma che pure non
hanno smesso di servire fino alla fine. Ne e prova lo stesso Presidente della
Repubblica, che ancora dopo 43 anni non ha certezza sui veri mandanti
dell’omicidio di suo fratello Piersanti, ma nel rivestire la più alta carica
dello Stato si fa garante dei più alti ideali di giustizia e legalità. Non
togliamo ai nostri ragazzi la fiducia della vittoria del Bene sul Male,
alimentiamo in loro la tensione morale, l’entusiasmo di spendere la vita per un
grande ideale collettivo, la certezza che, alla fine, e nonostante tutto, la
Repubblica democratica e i diritti e i doveri sanciti dalla sua Costituzione,
sono il massimo Bene Comune da difendere per vivere davvero “un’esistenza
libera e dignitosa” (art. 36).
* Presidente Nazionale
del CIDI
Nessun commento:
Posta un commento