Liberare le enormi potenzialità del Paese - bloccato in un immobilismo spesso condito dalla sfiducia - e rimettere le energie in movimento verso cinque direttrici. «Investire il futuro, prima le persone, contro la disuguaglianza demotivante, l'ecosistema della singolarità, la nuova cornice del bene comune della sostenibilità»: eccoli i cinque punti per liberare generatività indicati nel primo rapporto Italia Generativa, curato dal Centre for the Anthropology of Religion and Generative Studies dell'Università Cattolica con il sostegno di Fondazione Unipolis, e promosso da Associazione Comm.on, Generatività.it e Alleanza per la Generatività Sociale, presentato ieri al Senato. L’esame del contesto italiano, con il suo dinamismo sociale ed economico, e la comparazione con i Paesi europei conferma - questo l’obiettivo del rapporto - che ci sono aree di opportunità che vanno colte, anche cercando di capire come superare il blocco dello sviluppo all’interno della società italiana. Come? Lungo le direttrici relazionali di intergenerazionalità, complessità e contribuzione, i cui esiti sono già evidenziati nel titolo scelto: Italia in surplace. Dalla dispersione intergenerazionale all’ecosistema generativo.
L’immagine
che emerge è quella di un Paese che ha competenze e capacità, ma concentrato
nel rimanere in equilibrio sul posto, piuttosto che nel lanciarsi verso il
futuro che lo attende, vanificando così la propria forza, in cui gran parte
delle energie - pubbliche e private - sono impegnate nel tentativo di
conservare la posizione, più che a costruire un domani migliore, soprattutto
per i giovani. Da qui la necessità di fare uno scatto in avanti, concentrandosi
sulle «vere priorità». Che, per i curatori del rapporto, partono innanzitutto
dalla necessità di “investire il futuro”, cioè di tornare ad «ricoprire di
valore» il domani - spiega il sociologo della Cattolica Mauro Magatti - che
invita a «rimettere al centro delle logiche il tema del futuro», investendo sul
livello di fiducia e impostando un modello di sviluppo orientato alla
sostenibilità e digitalizzazione. La seconda mossa è quella di focalizzarsi
sulle persone, che vuol dire lavorare sul calo demografico, ritardi educativi,
gestione non positiva del fenomeno delle migrazioni. «Lo sviluppo sostenibile è
possibile infatti - continua Magatti - solo partendo dalle persone, senza
retorica però. Altrimenti non c’è futuro». Terza via sono le diseguaglianze che
«generano frustrazione e rabbia», nonostante l’ingente investimento in spesa
sociale del Paese. Alla logica dell’assistenza, perciò, nel welfare va
sostituita la capacità generativa. Quarto punto è l’ecosistema della
singolarità, ovvero riconoscere le peculiarità del nostro sistema produttivo,
«correggendo i difetti e sostenendo i pregi». Quinto punto, non per importanza,
il bene comune della sostenibilità. «Questo tema può essere - dice alla fine il
sociologo - la leva per ridefinire il bene comune e aprire un nuovo ciclo in
cui non basta cogliere le opportunità, ma serve crearne nuove, orientate allo
sviluppo integrale».
La
novità del metodo viene sottolineata dal presidente di Fondazione Unipolis,
Pierluigi Stefanini, per cui «proprio l’approccio trasformativo è essenziale,
altrimenti come Paese non ce la facciamo». In questo investimento sul futuro,
così il Pnrr diventa «occasione irripetibile - continua - se sappiamo dare una
risposta integrata ai problemi, dentro una cornice di sviluppo sostenibile».
Tuttavia se davanti si ha una strada breve, spiega il presidente Istat Gian
Carlo Blangiardo, «si vive alla giornata perché se non c’è una prospettiva di
ritorno non si investe. Ci stiamo giocando il futuro, se non invertiamo il
trend demografico».Se però si mobilitano le energie, come suggerisce il rapporto
- aggiunge il presidente del Cnel Tiziano Treu - occorre «orientarle con
politiche ordinate, suggerimenti pratici e indicazioni precise. Soprattutto
adesso che abbiamo una strada tracciata come quella del Pnrr». Riprende la
metafora del ciclista in surplace usata nel rapporto il presidente di Ifel
Alessandro Canelli, «ma il ciclista è in crisi psicologica. Investire però
energie e fiducia per riguardare insieme i nostri territori può essere il modo
per favorire una maggiore coesione.
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