«Sono i
genitori
a doversi vaccinare»
Intervista al prof.
Agostiniani
(Sip): molti dei piccoli ricoverati vengono contagiati in casa. Le classi?
Sicure
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di VIVIANA DALOISO
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Prima che per i bambini, la
preoccupazione è «per i genitori non vaccinati che li mettono a rischio». E per
chi li cura: «Pediatri e infermieri decimati dal contagio, che nella maggior
parte dei casi si trovano a casa del tutto asintomatici. E lì devono restare
fino all’esito di un tampone negativo, spesso introvabile, spesso positivo ben
oltre i 10 giorni previsti». Rino Agostiniani, vicepresidente della Società
italiana di pediatria e direttore dell’Area Pediatria e Neonatologia della Asl
Toscana Centro, guarda avanti. Alle prossime settimane, quando «se non
cambieranno le regole sulle quarantene dei sanitari i nostri ospedali
potrebbero addirittura trovarsi costretti a chiudere».
Professore, le
regole sono appena cambiate in senso meno restrittivo, soprattutto per chi ha
tre dosi di vaccino come larga parte dei sanitari. Cosa succede allora?
Stiamo
facendo screening su tutti gli operatori ed è molto facile trovare positivi: al
momento nel mio dipartimento su 90 pediatri, 9 sono risultati contagiati.
Significa che stiamo già facendo a meno del 10% del personale. Dal punto di
vista organizzativo se questa percentuale dovesse salire anche solo al 20%,
saremmo paralizzati. Il problema allora è come gestire le positività
asintomatiche: proprio per- ché tutti i medici hanno tre dosi di vaccino,
i contagiati stanno bene o al massimo hanno un po’ di raffreddore. Un’idea
percorribile potrebbe essere quella invece di farli rientrare al lavoro nel
minor tempo possibile, e soprattutto senza dover attendere l’esito di una
tampone negativo: adotteranno tutte le precauzioni indispensabili a non
contagiare, esattamente come le adottano già per non essere a loro volta
contagiati dai positivi che curano. Le regole vanno cambiate in fretta, però...
Qual è la
situazione dei reparti pediatrici?
Siamo
usciti da un periodo di vera emergenza, tra fine novembre e dicembre, legato
alle bronchioliti. Adesso stiamo vedendo più bambini con forme di Sars-Cov.2. È
un dato scontato: il virus non è diventato più aggressivo coi bambini, semplicemente
davanti a un rischio aumentato per tutti di contagiarsi anche il rischio che
ciò accada tra i più piccoli aumenta. Nella fattispecie, i ricoveri pediatrici
sono cresciuti del 30% circa nelle ultime due settimane.
E qual è
l’identikit dei bambini che vengono ricoverati?
Larga
parte dei pazienti non si trovano in una situazione complessa:
sono soprattutto i piccoli sotto i 5 anni, che essendo difficilmente
gestibili a casa vengono portati in Pronto soccorso dai genitori. Hanno sintomi
di tipo respiratorio, più spesso gastrointestinali. Non di rado capita, anzi,
che arrivino in ospedale per altri motivi e vengano casualmente trovati
positivi al tampone di controllo. Il virus, d’altronde, trova terreno fertile
nella popolazione più suscettibile perché scoperta dal punto di vista
vaccinale, e i bambini vi rientrano appieno. Attenzione però: più piccoli sono
– in particolare sotto l’anno – e più è comune che i contagi siano di tipo
familiare. Incontrano il Covid in casa, cioè, contagiati da genitori non vaccinati.
Nel caso dei neonati, tra i 3 e i 5 mesi, quasi sempre è la mamma a
trasmetterlo: ha rinunciato alle dosi in gravidanza, non ha anticorpi e non li
ha trasmessi al piccolo, essendo giovane e avendo appena partorito ha più
contatti sociali. Ecco perché, insieme alle vaccinazioni per i bambini, è
importante concentrarsi ancora su quelle degli adulti: mamme e papà devono
vaccinarsi.
A proposito di
vaccinazioni ai piccoli, perché così tanta paura ancora?
Le
vaccinazioni pediatriche sono partite da poco più di 20 giorni, in concomitanza
con
un periodo di festività. Oggi siamo al 10% della popolazione vaccinata nella
fascia d’età 5-11 anni e io lo considero già un ottimo risultato. Dagli studi
condotti negli Stati Uniti, che sono partiti prima di noi, sapevamo cosa
sarebbe successo nelle famiglie: un 30% di genitori non vede l’ora di vaccinare
i propri figli (ed è il 30% che copriremo entro fine gennaio), un 30% è sicuro
di non volerli vaccinare (e qui non abbiamo molte possibilità), un altro 40%
decide di aspettare. È su questi ultimi che dobbiamo lavorare, soprattutto noi
pediatri, sensibilizzando i genitori e rispondendo a tutti i loro dubbi e
domande.
Professore, i
presidi adesso chiedono la Dad per tre settimane. Dal punto di vista sanitario
è sicuro ripartire con le lezioni in presenza?
La
domanda va rovesciata: quanto inciderebbe il mancato ritorno a scuola sui
percorsi educativi e di socialità dei bambini e dei ragazzi? Ovviamente siamo
tutti consapevoli del momento difficile e complicato che stiamo vivendo, ma il
Paese non è in lockdown: potrebbero uscire tranquillamente e infettarsi altrove
con più facilità di quello che farebbero a scuola. E poi cosa significa
ripartire tra tre settimane? Il virus non scomparirà, non abbiamo elementi per
dire che la situazione migliorerà. La scuola, ne sono convinto, deve ripartire
senza se e senza ma.
www.avvenire.it
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