per comprendere la vita e la storia
- di Daniele Semprini
1. Che la realtà non sia racchiudibile esaurientemente negli schemi concettuali del pensiero è dimostrato dalla realtà irriducibile dell’imprevisto.
1.1.
Che cos’ è l’imprevisto? Come lo possiamo intendere? Che valore rappresenta per
noi e che funzione può avere all’interno dell’insegnamento della storia?
L’imprevisto
è ciò che accade nella nostra vita personale e comune come qualcosa che non
solo non ci aspettiamo, ma che, tante volte, viene a scombussolare i nostri
piani, i nostri tentativi di possedere i termini del nostro agire, delle nostre
previsioni. Può sbaragliare sicurezze, mettere in crisi percorsi consolidati,
aprire orizzonti inimmaginati.
Può
essere costituito da fattori apparentemente irrilevanti (come una vite saldata
male in un missile che esplode); o casuali, come la nebbia che scende ed
impedisce di intraprendere una battaglia sentita come decisiva (quante volte
accadde nel passato?) o da microelementi che mandano in tilt nazioni e popoli
interi: come l’ultima pandemia.
Anche
a livello personale la dinamica non cambia: pensiamo, progettiamo, organizziamo
e poi … qualcosa va storto, cioè, in un senso diverso da come avremmo
immaginato e voluto. Può succedere anche al positivo; accade qualcosa che ci
sorprende: arriva un aumento di stipendio, desiderato, ma insperato.
Generalmente
l’imprevisto è inteso come l’eccezione che conferma la regola: la regola
sarebbe che la vita sta nelle nostre mani e che, eccezionalmente, ci sfugge e
prende pieghe e strade impreviste appunto. Niente di più irreale di tale
diffusa convinzione, frutto di un delirio di onnipotenza ormai massificato e
banalizzato.
Una
cosa, infatti, è che le nostre aspettative piccole e grandi normalmente si
realizzino, un’altra è considerarci padroni della realtà, capaci di tenere in
pugno gli eventi. Differenza fondamentale e da intendere bene: sto guidando la
macchina per tornare a casa dal lavoro e sono tranquillo perché la scena ormai
si sta ripetendo da innumerevoli volte. La mia tranquillità è ragionevole? Se è
legata alla fiducia nell’esito finale prodotta da ciò che è accaduto finora può
esserlo, ma, se dipendesse dalla certezza che nulla di negativo mi può
succedere sarei evidentemente uno stolto o un presuntuoso.
1.2.
Per entrare su di un terreno un po’ filosofico potremmo ripetere con
Kierkegaard e gli esistenzialisti che la categoria fondamentale che descrive la
struttura dinamica del reale è quella di possibilità.
Tutto e il contrario di tutto può succedere. Il procedere delle cose è
rappresentato non da una catena logicamente consequenziale (il famoso ET ET
hegeliano), ma dal malandrino AUT AUT. Vorremmo, presumiamo che gli eventi
possano scorrere secondo andamenti corrispondenti a ciò che il nostro cervello
stabilisce ed ordina, ma le cose stanno diversamente. Quanti pensieri
contraddetti dai fatti, quanti progetti, pur bellissimi e coerenti, crollati,
quante teorie illustri smentite dagli uomini e dalla natura! La storia può
apparire come il cimitero delle nostre illusioni.
Sul piano storiografico possiamo ricordare il dibattito tra coloro che sostengono una visione della storia legata alla categoria di “struttura”, per cui il corso degli eventi è inesorabilmente determinato dal lento movimento di macrostrutture (economiche, sociali ecc.) e coloro che mettono l’accento sul fatto che l’andamento storico è costituito da eventi, dall’accadere continuo di fatti, spesso rapidi ed anche fortuiti che influiscono sullo scenario complessivo. Nella visione dei primi difficilmente c’è spazio per l’imprevisto, che diventa, invece, elemento famigliare nella concezione degli altri.
Lo
spazio di ciò che non riusciamo a far rientrare nei nostri progetti e nelle
nostre previsioni si è progressivamente ridotto nel corso dei secoli.
Se
ci pensiamo, esattamente a questo livello si colloca il tentativo di noi
moderni, tanto più nell’era dell’intelligenza artificiale, di aumentare il
grado delle nostre certezze: nella capacità di enumerare e anticipare nei
nostri progetti e nei nostri calcoli tutti i possibili imprevisti. La
progettazione veramente efficace è quella che non solo organizza il piano, ma
riesce ad inglobare in esso tutte le variabili che si possono immaginare.
Eppure, anche nell’attuale pandemia da Covid 19, appare evidente che, con tutti
gli sforzi mondiali degli scienziati, il virus continua a sfornare varianti…
impreviste e che potrebbero mettere in discussione tutti i piani vaccinali.
Non
sto facendo il tifo per la capricciosità del reale e non ritengo che il mondo
sia caos, né tanto meno che la storia umana sia il regno dell’anarchia. Voglio,
invece, fissare l’attenzione su di un fattore che, inadeguatamente considerato,
altera tutta la percezione che abbiamo della vita e delle cose.
L’imprevisto
fa parte normalmente della dinamica dei fatti e costituisce il tessuto
ontologico della realtà. Quel che noi sappiamo, quel che noi progettiamo, quel
che noi immaginiamo è tanto e nient’affatto irrilevante, ma ciò che c’è, ciò
che accade e può accadere è sempre di più. Riconoscere il carattere “ordinario”
dello “straordinario”, tuttavia, non significa abdicare alla responsabilità di
noi uomini “fuorusciti dallo stato di minorità”, per dirla alla Kant, ma
semplicemente essere realisti, rinunciando a quel delirio di onnipotenza che ci
fa gridare allo scandalo se qualcosa non va secondo le nostre previsioni,
sempre alla affannosa ricerca di colpevoli d’ogni specie e in ogni caso. Tra
fatalismo giustificatorio e megalomania prometeica c’è un abisso.
In
ogni caso non c’è nulla di più razionale e sensato che imparare da ciò che
succede, anche se quel che succede non corrisponde alle nostre vedute.
A
questo proposito è bene sottolineare che il progresso, in ogni campo, si
sarebbe arrestato se non ci fossero stati uomini disposti ad imparare dall’accaduto,
ad affermare il primato del fatto sul pensiero. Non è difficile capire come in
tutta la storia dell’umana cultura ogni scoperta sia stata il risultato di un
accadimento che si è imposto su quello che già si riteneva concreto e vero; ma
questa “saggezza” vale anche nel campo dell’evoluzione delle diverse civiltà:
diversi storici, ad esempio, esaltano come segno di grandezza dei romani la
loro capacità di imparare di più dalle loro sconfitte che dalle vittorie. Del
resto, lo storico inglese D. Landes lega la decadenza di tre grandi imperi,
quello cinese, quello Moghul e quello turco ottomano alla loro presuntuosa
chiusura, frutto di un’autosufficienza non disposta a farsi correggere da
nulla. Nel campo della filosofia della scienza la teoria “falsificazionista” di
K. Popper afferma che una asserzione è scientifica solo nella misura in cui è
aperta alla contestazione di nuovi fatti che sopravvengono. E’ evidente che non
si scarta una teoria in nome di elucubrazioni o in assenza di fatti rilevanti;
ma tale criterio popperiano rappresenta oggidì il cuore del metodo scientifico.
2. Che cosa ha a che fare il tema dell’imprevisto con l’insegnamento della storia?
2.1.
La risposta può essere meglio impostata e compresa all’interno di un problema
più ampio e radicalmente decisivo per l’educazione dei giovani. Partiamo da una
ipotesi di lettura della situazione in cui versano le nuove generazioni.
Qual è il problema dei problemi dei giovani d’oggi? Il rapporto con la realtà.
Nel senso che tale rapporto è totalmente alterato fino al punto che, per un
ragazzo, normalmente la realtà è ridotta a “ciò che sento, penso, immagino,
desidero …”: siamo precipitati in un ultrasoggetivismo di massa!
Il
reale, l’oggetto (l’essere!) coincide con il rimasuglio, o con la versione che
il soggetto stabilisce. Ora è altrettanto evidente che tale mentalità non è
frutto di una rivolta o di una fuga dalla realtà delle masse giovanili,
soprattutto perché essa appartiene agli adulti prima che ai ragazzi. Ed è
frutto di un lungo percorso della storia occidentale che occorrerebbe
ricostruire, ma che, in sintesi, si può riassumere ed individuare
nell’assunzione da parte del pensiero di un primato esorbitante nei confronti
dell’oggetto, delle cose.
2.2.
La modernità, fatta convenzionalmente iniziare col cogito cartesiano, è l’età
che vede crescere ed affermarsi la centralità del soggetto nelle vicende
storiche. Tale crescita ha portato con sé la risignificazione e la
trasformazione di tutte le categorie qualificanti l’essere umano: la ragione,
la libertà, l’affettività, la sua dimensione sociale e politica.
Paradossalmente,
attraverso fasi che non è il caso qui di svolgere tematicamente, si è passati
dalla persuasione di avere in mano tutte le chiavi per possedere razionalmente
il reale (fino alla vigilia della Prima guerra mondiale) ad un momento di crisi
profonda della ragione (il ‘900 con l’affermarsi della “ragione debole”). Il
famoso aforisma di Nietzsche: “Non esistono fatti, ma solo interpretazioni”
preludeva già ad un orizzonte in cui la mente è destinata a cedere alle
possibilità contraddittorie che ogni argomentazione “vera” presenta e a
naufragare nell’oceano delle opinioni, sostenute ed imposte magari con ogni
tipo di forza, ma sempre più lontane da una ormai irraggiungibile “verità”. Il
campo delle vicende umane diventa stabilmente il terreno di un conflitto di
interpretazioni, che si può e si deve democraticamente organizzare, ma che
resta proibito per chi cerca con
passione la verità, sforzo ormai considerato vano, inutile se non addirittura
pericoloso e da combattere. Che poi i poteri forti siano riusciti e riescano ad
omologare e a guidare le menti ed i comportamenti di intere società è
altrettanto vero; ma ciò non solo non esclude, ma rende ancora più problematico
lo stato di “debolezza” di rapporto con la realtà dei giovani.
Non
si tratta di ripetere il solito ritornello sul relativismo, né di sognare con
nostalgia un’età passata in cui tutto era chiaro, sicuro e solido. Il problema
è molto più semplice e drammatico: attraverso una singolare eterogenesi dei
fini, quella che era stata salutata come l’età degli uomini maturi, reduci
pentiti e rinsaviti dalle tragedie dei totalitarismi e delle guerre, il
tempo delle generazioni che finalmente
erano uscite indenni perfino dalle
tenaglie degli schemi delle grandi e tragiche ideologie contrapposte della guerra
fredda, sta vedendo la proliferazione di
massa di menti giovani che, come profetizzò H. Arendt “ non sanno più
distinguere il vero dal falso, il reale dall’irreale”; il che non è problema da
poco , dal momento che l’illustre filosofa attribuiva tali caratteristiche ad
un soggetto umano pronto e adatto per un regime totalitario !
Al
di là di un’ulteriore analisi del fenomeno e dei fattori che lo hanno
sviluppato fino alla abnorme situazione attuale, resta il dato di fatto: un
giovane, oggi, di solito riduce tendenzialmente la realtà alla sua misura
soggettiva, legata allo stato d’animo, alla voglia, alla decisione del momento.
Questo almeno come “corredo di mentalità” che si porta addosso, suo malgrado.
2.3)
Ritorniamo alla domanda iniziale: cosa c’entra l’insegnamento della storia col
tema dell’imprevisto e quest’ultimo, adeguatamente compreso, può servire ad una
inversione di rotta nella formazione giovanile?
La
domanda ha una portata enorme e non è facile svolgere tutte le implicazioni che
essa può avere sul piano contenutistico e metodologico; qualcosa si può
accennare.
Il
determinismo causale che impera in certi manuali, di qualunque genere siano
ritenute le cause, certamente contribuisce ad inoculare nella mente dei ragazzi
la convinzione che la storia, sostanzialmente, sia un processo di cui noi siamo
e saremo gli artefici e gli interpreti assoluti. Oltre a non educare al peso
che il fattore libertà detiene nelle vicende grandi e piccole, tale
determinismo non comprende la dinamica profonda che sottende a tutti gli
eventi.
Riprendiamo
il concetto di imprevisto considerandone i molteplici significati possibili:
Può
essere un “caso” (Francesco Ferdinando d’Asburgo che dopo aver scampato il
primo attentato decide di tornare a vedere i feriti, passando solo per caso
davanti a Gavrilo Princip)
L’eterogenesi
dei fini: un certo progetto sfocia in conseguenze non previste, né auspicate
(come in tante rivoluzioni)
L’apparizione
di certi personaggi che cambiano il corso prevalente degli eventi (Giovanna
d’Arco nella guerra dei Cent’anni)
Questa
varietà di aspetti dell’imprevisto, ulteriormente arricchibile, è utile per
capire i limiti di un certo razionalismo che fa confusione tra la storia mentre
accade (evento storico) e la storia in quanto ricostruzione a posteriori
(storiografia) pretendendo che nessi e ragioni della ricostruzione
storiografica abbiano una cogenza
necessitante nel momento del loro accadere, togliendo di mezzo il ruolo del
caso, dell’imperfezione e della stessa
libertà, eliminando dalla visione della
storia, in sintesi, la categoria della possibilità.
A
tal proposito la libertà del soggetto umano è ciò che apre la realtà al
possibile, rompendo meccanismi e previsioni, come, in modo emblematico,
testimoniano certe figure di santi o di uomini straordinari come Gandhi. Essi
agiscono spesso con criteri imprevedibili, che si discostano dalla logica
comune, anche se è davvero impressionante l’ostinazione con cui tanti storici
si affannano a far rientrare le loro motivazioni e i loro gesti in una
strategia più comprensibile. Hanno cambiato la storia, ma spesso a partire da
micro-cambiamenti apparentemente insignificanti. Senza scomodare i santi,
basterebbe pensare al gesto del ragazzo cinese che si pone davanti alla fila
dei carri armati cinesi in piazza Tienanmen o a tutti gli innumerevoli e
sconosciuti verdurai che, come nell’apologo di Havel, si rifiutano di
continuare ad esporre gli slogan del partito al potere insieme alla frutta e
verdura.
Anche
la storia delle nazioni è piena di imprevisti: basti pensare al movimento di
Solidarnosc, nato in circostanze decisamente sfavorevoli, o alla decisione dei
popoli ceco e slovacco di separarsi senza cruenti conflitti grazie anche alla
mediazione del Presidente Havel; o, come ha segnalato una lettera anonima dal
Myanmar, la protesta fino al martirio dei giovani di quel martoriato paese,
giovani che, scrive l’anonimo cronista, apparivano come una generazione perduta nel nulla
consumistico agli occhi degli adulti.
Se il fattore “libertà” esalta il lato
soggettivo della questione, l’imprevisto riguarda la dimensione oggettiva dei
processi fattuali. Educare a tale dimensione, aiutando a cogliere le “rotture”
che normalmente accadono nello svolgersi dei fenomeni, anche grazie alla
libertà, può formare una sensibilità aperta al riconoscimento del primato del
fatto sul pensiero, di ciò che accade rispetto a quel che noi abbiamo stabilito
che debba accadere. In ultima analisi, al primato dell’oggetto sul soggetto.
In
questo potrebbe consistere uno degli aspetti della funzione educativa che
l’insegnamento della storia potrebbe avere nei confronti di generazioni
ammalate di iper-soggettivismo.
È
chiaro che non si vuole deprimere il soggetto, o sottovalutare la capacità ed
il compito che la ragione ha di rendere pensabile il reale, misconoscendo in
tal modo la portata fondamentale che la centralità del soggetto garantisce per
il bene dell’uomo. Il problema è un altro: che cosa ci può liberare dalla
gabbia che noi stessi ci siamo costruiti esaltando in modo ipertrofico la
nostra presa sulla realtà, fino a ridurla, teoricamente e praticamente, a
“materia” informe delle nostre performances? Tale delirio prometeico, che sembra
rappresentare una certa mentalità dominante, ha generato, in modo tragicamente
paradossale, quella riduzione del reale al sentire pulsionale dell’io che
devasta la vita e le relazioni di milioni di giovani. Due lati opposti della
stessa medaglia, ma con una radice comune: una volontà di potenza, di dominio
incapace di rispettare il mistero totale ed ultimo di tutte le cose. Volontà di
potenza che, ripetiamo, si manifesta nel titanismo razionalista e nel suo
opposto apparente dell’emozionalismo tipico delle nuove generazioni
Educare
alla dimensione del mistero non significa cedere ad un irrazionalismo pseudo
religioso, ma alla vera religiosità che consiste nel riconoscimento
dell’incommensurabilità del reale, tanto più di quel pezzo
di realtà che è l’uomo, alle nostre misure, atto supremo della ragione di
fronte alla dignità di ogni individuo, riconoscimento del carattere
indistruttibile, non manipolabile del tutto da parte di qualsiasi potere, delle
esigenze che ne costituiscono l’assetto naturale ultimo. Esigenze di verità, di
giustizia, di libertà, di significato che continuano ad “esplodere” lungo il
corso della storia muovendo individui e popoli e che, adeguatamente comprese e
presentate, aprono ad una visione plastica della storia, non imbalsamata in determinismi
schematici e rappresentano la fonte permanente degli imprevisti più
significativi.
L’imprevisto,
in sintesi, rappresenta la rivalsa testarda della realtà, la sua irriducibilità
agli schemi dentro cui la si vorrebbe inquadrare e pietrificare. Per questo è
materia preziosa da trattare con riguardo, accortezza e speranza.
Un insegnamento della storia che lo tiene in seria considerazione, sia nella formulazione dei contenuti che nei modi di trasmissione di essi, può contribuire ad una visione della realtà che restituisca a quest’ultima la sua “precedenza”, la sua capacità di sorprenderci con la sua ricchezza eccedente le nostre risposte preconfezionate, aiutando i giovani ad uscire fuori da quel narcisismo che li priva della possibilità di godere delle cose nella loro interezza, varietà e profondità.
È
auspicabile che tale metodo di costruzione e di insegnamento della storia non
si limiti a qualche esempio sporadico ed isolato, ma che si possa sviluppare ed
allargare come concezione e prassi ordinaria per coloro che sono chiamati a
lavorare nel campo di questa disciplina.
Bibliografia:
S.
Kierkegaard, Aut aut, Mondadori, Milano 1956.
F.
Braudel, Scritti sulla storia, Mondadori, Milano 1989, pp. 34-53.
I.
Kant, Scritti politici e di filosofia della storia e del diritto, a cura di N.
Bobbio, L. Firpo, V. Mathieu, UTET, Torino 1956, pp.141-49.
David
S. Landes, La ricchezza e la povertà delle nazioni, Garzanti, Milano 2002.
K.
Popper, Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino 2010.
V.
Havel, Il potere dei senza potere, Itaca, Faenza 2013.
Nessun commento:
Posta un commento