Il
voto in condotta diventa indispensabile per l’ammissione alla classe successiva
nella scuola secondaria. I pareri di Valentina Chinnici, presidente di Cidi, e
del pedagogista Daniele Novara
«Diamo
così un segnale forte e chiaro: nella scuola italiana il rispetto per la
persona e per le istituzioni è imprescindibile». Con queste parole il ministro
dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha annunciato l’approvazione
definitiva, lo scorso 30 luglio, dei regolamenti attuativi della legge 150 del 1° ottobre 2024, la norma che ha riformato in
profondità il voto di condotta nella scuola italiana.
Da
settembre, dunque, il voto in condotta diventa fondamentale per l’ammissione
alla classe successiva della scuola secondaria. Sarà necessario aver ottenuto,
in sede di scrutinio finale una valutazione pari almeno a 7 decimi. Qualora la
condotta sia valutata con 6, non sarà concessa l’ammissione automatica: il
giudizio verrà sospeso e sarà richiesto agli studenti di presentare un
elaborato legato alla cittadinanza attiva, collegato ai motivi che hanno
determinato il voto ottenuto.
Più
efficaci i crediti di fiducia
«Ho
insegnato per vent’anni nelle scuole delle periferie di Palermo e posso dire
con assoluta certezza che tutto ciò che riguarda voti in condotta e sanzioni
disciplinari, quando è applicato a ragazzi cosiddetti “difficili” o “a rischio”
ovvero giovani che manifestano comportamenti trasgressivi, talvolta persino ai
margini della devianza, non funziona». A dirlo è Valentina Chinnici, presidente del Centro di iniziativa
democratica degli insegnanti-Cidi, un’associazione che, dal 1972, riunisce
insegnanti di tutti gli ordini di scuola e di tutte le discipline, con
l’obiettivo di contribuire alla creazione di una scuola democratica,
culturalmente più attrezzata e più vicina agli interessi di ragazze e ragazzi.
«Queste
misure non producono miglioramenti, anzi: inaspriscono il conflitto,
irrigidiscono i comportamenti e cristallizzano la devianza», sottolinea
Chinnici che aggiunge: «Se l’obiettivo della legge è rafforzare l’autorevolezza
dei docenti o ridurre la violenza e l’aggressività a scuola, mi sento di dire,
per esperienza diretta, che non è questa la strada giusta». Secondo la
presidente Cidi i ragazzi più oppositivi «rispondono molto meglio ai “crediti
di fiducia”. Questo vuol dire che quando sentono che l’insegnante crede in
loro, cambiano atteggiamento. Ma se si sentono sfidati sul piano
della punizione, dell’autorità imposta dall’alto, non reagiscono come si spera.
Anzi, non riconoscono quella forma di autorevolezza. Questi ragazzi sono spesso
convinti di non farcela. E così, per difesa, fanno saltare il banco o lanciano
il quaderno».
Se
l’obiettivo della legge è rafforzare l’autorevolezza dei docenti o ridurre la
violenza e l’aggressività a scuola mi sento di dire, per esperienza diretta,
che non è questa la strada giusta. I ragazzi rispondono molto meglio ai
“crediti di fiducia”
Il
rischio di un maggiore abbandono scolastico
Secondo
il pedagogista Daniele Novara tra i rischi delle nuove
misure c’è quello di un aumento dell’abbandono scolastico, in particolare
tra gli studenti maschi, già oggi più esposti alla dispersione. Secondo i dati
Istat 2023, infatti, la quota di 18-24enni con al più un titolo secondario
inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è pari
al 10,5%. Il fenomeno dell’abbandono scolastico è più frequente tra i ragazzi
(13,1%) rispetto alle ragazze (7,6%). Novara ricorda che «siamo tra i Paesi
europei con meno laureati, insieme alla Romania. Il sistema scuola attuale non
riesce a trattenere soprattutto i ragazzi. Le studentesse sono oggi due su tre
fra i laureati, è un dato che nasconde una frattura di genere importante».
Inoltre,
aggiunge, «la scienza, dalle neuroscienze alla psicologia sociale, ci dice
chiaramente che i metodi basati sulla “mortificazione” non sono efficaci.
Pensando all’ipotesi di bocciatura è importante comprendere che escludere un
ragazzo dal suo gruppo classe come “pena” per un cattivo comportamento non
genera apprendimento, ma solo rifiuto».
È
un po’ come se trattassimo l’ambiente scuola come quello sportivo,
trasformandolo in una gara dove o si vince o si perde. Invece secondo Novara è
importante che «la scuola sia una comunità di apprendimento in cui anche i
ragazzi più in difficoltà devono poter essere inclusi. I ragazzi, soprattutto
in adolescenza, sviluppano una reazione di rigetto verso un’istituzione che li
rifiuta. La scuola rischia così di perdere il suo ruolo educativo e
trasformarsi in un luogo punitivo».
I
ragazzi, soprattutto in adolescenza, sviluppano una reazione di rigetto verso
un’istituzione che li rifiuta. La scuola rischia così di perdere il suo ruolo
educativo e trasformarsi in un luogo punitivo
Ripensare
l’autorità educativa
Anche
se oggi sembra esserci un ampio consenso, almeno a livello emotivo, verso
soluzioni di tipo repressivo, si tratta di risposte che parlano più alla pancia
dell’opinione pubblica che alla sua parte razionale. Del resto, è molto più
semplice sollecitare istinti punitivi che costruire una visione educativa
realmente condivisa.
Però
Novara precisa: «Attenzione, non bisogna rinunciare all’autorità: bisogna
ripensarla. I ragazzi di oggi crescono in un contesto completamente diverso da
quello in cui sono cresciuti i loro genitori e insegnanti, dominato da
dispositivi digitali, social network, carenze di sonno e isolamento sociale. È
evidente che poi fanno fatica a concentrarsi. In questo scenario, non possiamo
imporre un modello educativo del Novecento a ragazzi del XXI secolo. Occorre
una comunità educativa che accompagni, orienti, ma anche ponga paletti chiari e
condivisi. Mettere dei limiti non significa punire, ma dare una cornice chiara
in cui crescere».
Attenzione:
non bisogna rinunciare all’autorità: bisogna ripensarla. Mettere dei limiti non
significa punire, ma dare una cornice chiara in cui crescere
Scuola-famiglia
Serve
una connessione forte tra scuola e famiglia perché, spiega Novara, «se un
ragazzo dorme solo cinque o sei ore a notte, magari per via dei videogiochi, è
logico che a scuola sarà distratto. I genitori devono essere supportati per
capire come gestire il sonno, l’uso dei dispositivi, la socialità dei figli. Non
si può pensare che la scuola compensi da sola tutte le carenze educative, né
che si trasformi in un “presidio militare” del rigore».
Quindi
la scuola deve essere un luogo di collaborazione, attività di gruppo,
apprendimento condiviso, «non solo lezioni frontali, studio e interrogazioni»
perché questo tipo di approccio è «arcaico e inefficace, dice Novara. Che
spiega: «Quando aumentiamo il lavoro cooperativo, la socialità e il confronto
tra pari anche i ragazzi più in difficoltà trovano motivazione e appartenenza.
È così che si previene non attraverso il ricatto della bocciatura. I genitori,
da parte loro, devono assumersi la responsabilità educativa, devono presidiare
la crescita dei figli finché sono minorenni, con regole, tempo condiviso e
coinvolgimento».
Aggressioni
al personale scolastico: serve un percorso educativo condiviso
Infine,
vale la pena ricordare un dato emerso lo scorso 12 dicembre, in occasione della
presentazione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la
violenza nei confronti del personale scolastico quando il ministro
Valditara ha incontrato una rappresentanza di dirigenti scolastici, docenti e
personale Ata. Lì è emerso che nell’anno scolastico 2023-2024 si sono
registrati 68 casi di aggressione al personale scolastico. Di questi: 33 sono
stati compiuti da familiari di studenti, 31 dagli stessi studenti, 4 da persone
estranee e in un caso l’autore è rimasto ignoto.
I
dati mostrano quanto sia necessario avviare una riflessione profonda e coerente
sul modo in cui noi adulti possiamo migliorare il nostro ruolo di guida e
supporto: la disciplina non può limitarsi a una semplice sanzione, ma deve far
parte di un percorso educativo condiviso, che tenga conto delle difficoltà e
dei cambiamenti del contesto in cui i giovani crescono e soprattutto in cui noi
adulti siamo esempio da seguire prima che adulti che sanzionano.
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