- di
VANESSA PALLUCCHI
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C’è
una forza centrifuga all’individualismo, al consumismo dei sentimenti e
all’indifferenza, che sta scuotendo il nostro Paese. E c’è una spinta alla
solidarietà che viaggia in senso opposto, non si arrende e trova anche nuove
forme di espressione per continuare a esistere.
L’Italia
solidale che resiste dopo la pandemia, in una fase di crisi partecipativa e di
aumento di povertà e solitudini mi sembra il primo dato da estrarre
dall’indagine di Istat sul volontariato, di cui Avvenire ha
scritto ieri, che conferma i 4,7 milioni di volontari italiani pilastro della
coesione sociale. Ma i nuovi dati sono in grado di raccontarci anche molto
altro, che riassumerei in tre punti: i numeri, le tendenze, i perché.
Partiamo
dai numeri. Già la fotografia scattata da Istat nel 2023 (riferita al 2021, per
il Censimento degli enti non profit) aveva evidenziato un rilevante calo, in
dieci anni, di circa 900mila volontari. Se da una parte, però, la conferma di
questi numeri non ci stupisce oggi, dall’altra la diminuzione non ci ha
lasciati indifferenti nel tempo trascorso. Si è infatti avviato un processo,
stimolato anche da un dibattito pubblico, che ha iniziato a interrogare le
organizzazioni sulla loro capacità di attrarre i volontari e, più in generale,
sulle trasformazioni del contesto in cui operano e sul modello evolutivo da
perseguire. Tornando ai numeri, possiamo anche constatare come oggi ci troviamo
in un momento di stabilizzazione, se non addirittura di timida ripresa
dell’impegno volontario, se consideriamo che le stime Istat del 2023 parlavano
di 4,6 milioni di volontari.
Passando alle tendenze, tra le novità più rilevanti dell’indagine c’è sicuramente l’aumento di volontari che svolgono attività in forma “ibrida”, cioè sia all’interno di organizzazioni che attraverso aiuti diretti (nonostante il calo riguardi entrambe le forme prese singolarmente).
Interessante è anche la crescita dell’impegno nelle attività ricreative e culturali. Entrambe queste tendenze riflettono l’emergere di nuovi bisogni, tanto dei volontari quanto delle comunità in cui operano, e dunque la ricerca di nuove risposte sociali. È compito, assolutamente cruciale, delle organizzazioni quello di leggere queste trasformazioni ed evolvere, rafforzando quegli elementi che più le contraddistinguono, a partire dalla capacità di costruire reti sociali laddove la società attuale tende a disgregare; di offrire una cornice di valori condivisi e una visione di futuro migliore possibile laddove prende spazio disillusione e paura; di favorire l’acquisizione di competenze, importanti anche per la crescita personale dei volontari; di porsi come facilitatrici tra il desiderio e l’effettiva possibilità di realizzare azioni concrete di cittadinanza attiva.
Infine, veniamo ai “perché”. Credo sia un segnale molto positivo la maggiore predisposizione, evidenziata da Istat anche in chi svolge aiuti diretti, a indirizzare il proprio contributo verso la collettività, l’ambiente, il territorio piuttosto che verso relazioni interpersonali dirette. In una fase complicata e spesso cupa come quella che viviamo, assume più peso il sentirsi immersi in un simile destino con il prossimo anche sconosciuto, e quindi la necessità di resistere e migliorare assieme.
La realizzazione che “nessuno si salva da solo”, come
diceva anche papa Francesco, pare accomunare sempre più persone.
Al
Terzo settore l’incarico di offrire tutti i migliori strumenti per difendere e
incoraggiare il desiderio di solidarietà.
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