sabato 6 agosto 2022

ETICA DELLE VIRTU'


Dialogo e identità

 Dopo Platone, Aristotele e Tommaso, la crisi della riflessione morale moderna. Il ritorno alle origini in un saggio di Borghesi sulla teologia della tenerezza di papa Francesco

 

- di GIOVANNI COGLIANDRO

 «Ogni volta la costruzione dell’identità avviene a partire dalla dialettica amico/nemico. Con ciò, però, la fede viene a patire una riduzione teologicopolitica come Carl Schmitt aveva ben compreso. Non c’è teologia politica se non c’è nemico: questo è il teorema di Schmitt. Un teorema attualissimo che vede settori del cristianesimo contemporaneo ricalcare, nell’opposizione, il fondamentalismo che vuole combattere» scrive Massimo Borghesi in Il dissidio cattolico. La reazione a Papa Francesco ( Jaca Book pagine 416, euro 34). Queste righe mi sembrano ben sintetizzare la polarizzazione in atto da alcuni decenni dentro la Catholica, che si sviluppa con la sapiente regia e allo stesso tempo con l’inconscio supporto di alcuni cattolici e di forze esterne alla Chiesa e persino totalmente aliene dalla riflessione sul dato rivelato. Il Papa cerca come i suoi predecessori a volte strumentalizzati dai suoi oppositori interni ed esterni alla Chiesa strategie esemplari per ricostruire il dialogo, rifiutando l’analogazione dell’Islam con la religione di morte dei vari gruppi terroristici, come anche dei battezzati lontani dalla fede, come anche dei non credenti che mostrano apertura al dialogo vero e fecondo, credendo nell’anteriorità dell’ethos e del logos sull’opposizione e prima ancora operando un’opzione filosofica analoga a quella messa in campo da Romano Guardini che vede negli opposti una polarizzazione virtuosa e non una contraddizione viziosa e pericolosa.

Identità non è l’opposto del dialogo sincero e dell’analogazione dell’alterità, secondo una declinazione della fratellanza universale che pone il cristianesimo come faro di umanità, civiltà, elaborazione attuosa che caratterizza la via romana di cui parla così efficacemente nei suoi testi Remi Brague. Una tale dinamica feconda si svolge tra le istanze solo apparentemente opposte delle posizioni politiche, religiose, antropologiche, può essere pensata e organizzata secondo i principi filosofici derivanti dall’esemplarismo e dall’etica delle virtù. L’etica delle virtù che affonda le proprie radici nel pensiero di Platone e Aristotele e raggiunge la sua vetta nell’opera di Tommaso d’Aquino, in particolare nel suo Commento all’Etica Nicomachea e nella Seconda Parte della Summa Theologiae. Dopo un periodo di oblio di alcuni secoli in cui la riflessione morale perde il faro dell’etica come volta alla fioritura degli esseri umani, l’etica delle virtù rinasce in particolare nel XX secolo grazie all’opera delle filosofe Anscombe, Murdoch, Zagzebsky, come risposta ai limiti del normativismo kantiano e della ridotta visione dell’umanità e della persona tipica degli utilitaristi. Queste filosofe a partire dagli anni 50 del secolo scorso e fino ai giorni nostri rielaborano una connessione feconda tra le sfere della relazione, dell’emotività, della paideia. Un tale approccio concreto e proprio per questo filosofico, consente di creare un filo relazionale resistente ed emotivamente proficuo tra persone non distanti ma che, come ha scritto MacIntyre, si sentono originariamente dipendenti. Proprio quel MacIntyre che viene frainteso e utilizzato a sproposito da Rod Dreher autore di L’opzione Benedetto e dai comu- nitaristi che vorrebbero abbandonare la polis in quanto ormai corrotta e luogo ostile ai cristiani, che quindi non comprendono la radice del ritorno alla virtù operato negli anni 80 da MacIntyre prima volgendosi ad Aristotele e poi scorgendone i limiti optando per l’antropologia relazionale e fondata sulla dipendenza originaria tra persone delineata in Animali razionali dipendenti.

La teologia della tenerezza del Papa trae energia feconda da questa visione dell’etica incentrata sulle virtù. Gilles Deleuze riteneva che la superficialità avesse la stessa rilevanza veritativa della profondità, criticando l’elogio della profondità fatto dai filosofi sin dai tempi antichi, in particolare da parte dei principali esponenti dello stoicismo. Il dialogo tra i corpi inizia sin dallo scambio tra il corpo dell’infante e il calore del corpo materno, che lo accoglie nell’abbraccio sin dalla nascita, come succede anche con il corpo del padre poco dopo. Dallo scambio del calore procede il riconoscimento di sé stessi come accettati e amati, forse proprio quello che oggi è così difficile verbalizzare. Credo sia questo il quadro in cui inserire la dinamica del dialogo che oggi si mostra sempre più carente e sclerotizzato tra culture e nazioni, tra leader politici e religiosi, fino alla tragedia della guerra tante volte paventata e oggi esplosa. Giova ricordare come tutti i Papi siano sempre stati impavidi avversari della guerra come negazione dell’umanità e bestemmia anticristica.

Il padrone del mondo di Hugh Benson è stato più volte evocato da papa Francesco sin dall’inizio del mandato come efficace cifra simbolica dei nostri tempi inquieti, nei quali fazioni interessate sfruttano le tensioni per creare un clima di scontro e una dinamica di ostilità sulla scorta del nome Shaitan, l’avversario antico e sempre operante. La risposta del Magistero papale è, oggi come al tempo di Papa Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI che in ogni conflitto tra uomini le fazioni non devono diventare nemici irriducibili il cui unico scopo è la mutua distruzione. Nel pensiero di Schmitt e dei suoi troppi seguaci contemporanei, nei quali il realismo tanto sbandierato è una profonda sfiducia nella Provvidenza oltre che nell’umanità, che non possiedono la finezza di analisi del giurista tedesco, amico e nemico sono categorie onnicomprensive determinate reciprocamente dalla categoria di una radicale alterità, ossia di una impossibilità di comporre indefinitamente i contrasti sul piano concreto, esistenziale, e quindi dalla necessità di ricorrere al conflitto.

Entrambe le parti in una disputa polarizzata secondo l pensiero di Guardini che di Schmitt fu conterraneo e contemporaneo, anche se su posizioni derivanti da una interpretazione del cattolicesimo molto diversa, possono invece sempre aprirsi con maggiore fiducia all’altro, in una dinamica di agonismo polarizzato evocazione di una relazione più profonda mimetizzata dal dialogo e incentrata sulla misericordia. Ogni opera divina manifesta la giustizia così come la misericordia. Scrive Tommaso d’Aquino nella Summa Theologiae che «in qualsiasi opera di Dio appare la Misericordia come prima radice » (Prima Parte, q. 21, a. 4). Per questo motivo nello stesso articolo Tommaso afferma che la misericordia in sé è la più elevata delle virtù e ci rende simili a Dio, tuttavia per noi uomini la carità precede la misericordia in quanto abbiamo bisogno di questa virtù che sola ci consente di essere vicini a Dio in quanto sorgente di amore: in questo senso la prima radice dei cristiani è diversa da quella tratteggiata da Simone Weil. La positività dell’essere cattolici si declina, oggi come ieri, nel voler partecipare alla vita della polis e nel voler continuare a narrare, a descrivere la propria esperienza di vita pubblica e privata con spirito e curiosità sempre rinnovati, fecondati dalla misericordia che porta a configurare un’amicizia politica sempre possibile nella Catholica e anche fuori, fondamento di una giustizia non meramente procedurale che sin dalla sua teorizzazione aristotelica è garanzia di sussistenza della polis.

Sapersi raccontare politicamente attraverso le categorie mondane di amicizia politica, fratellanza, misericordia significa spalancare gli occhi e il cuore alle possibilità che l’altro ci offre, oltrepassando i confini geografici e culturali, di cui tanto spesso oggi si tratta, ma anche e soprattutto quelli emotivi che spesso sbarrano il processo di una vera comprensione dell’alterità, e quindi della propria identità. Questo il messaggio di Tommaso d’Aquino, Romano Guardini, papa Francesco.

 www.avvenire.it

 

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