sabato 2 dicembre 2017

DISORIENTATI DALLE FAKE NEWS. COME SALVARCI?

Il realismo che

dirada la nebbia 

delle «fake news»


Il massmediologo Guido Gili e il filosofo Giovanni Maddalena analizzano la deriva culturale che dalla «post-verità» ci sta spingendo verso la convinzione che il mondo sia inconoscibile. Ma una via d’uscita c’è.
Dalle post-verità alle fake news il passo è stato breve: un anno appena, da quando l’Oxford Dictionary elesse « post truth » come parola simbolo del 2016, a scolpire in quell’espressione nebulosa e viscida un’epoca che ha perso di vista la realtà. Tempo di chiedersi com’è stato possibile, e siamo già alla stazione successiva di questo viaggio centrifugo della comunicazione: con l’esplosione del fenomenobufale (non si parla d’altro...) siamo già arrivati a chiederci come difendersi da una rappresentazione mediatica del mondo che ci sta persuadendo della sua sostanziale inconoscibilità. La realtà è andata in frantumi, dispersa negli infiniti sguardi che ce la raccontano sui media digitali e nel brulicare dei social network, con il singolo utente assurto a fonte di notizie che se la gioca con Cnn e Bbc. L’ombra delle fake news – sleali, multiformi, interessate, manipolabili... – si stende sulla nostra pretesa di verità, innata e invincibile. Non è forse questo un tema affascinante e indispensabile, che dice molto di come siamo fatti, di cosa siamo diventati, e di quel che potrebbe accaderci?
Se è questo il percorso che delle fake news ci interessa, prima e più del suo risvolto (pur determinante) sulla campagna elettorale di fatto già in corso, allora è consigliabile non perdersi Chi ha paura della post-verità? Effetti collaterali di una parabola culturale( Marietti 1820, 116 pagine, 12 euro) che Guido Gili, sociologo dei media, e Giovanni Maddalena, filosofo della comunicazione, entrambi in cattedra all’Università del Molise, ci offrono al momento giusto come un utile compendio per conoscere quel che ci ha condotti sin qui, e scoprire così all’interno delle dinamiche in azione lungo questo piano inclinato le costanti umane che ci permettono di non sentirci ostaggio di un’ineluttabile destino di verità apparenti e di menzogne autentiche. Anche perché – ed è di qui che salpa il libro, acuto e documentato – «la post-verità è il frutto maturo e velenoso di un albero che molti giardinieri hanno contribuito a innaffiare e concimare». Per sottrarsi al senso di schiacciamento sul presente trasmesso dall’incombere di tutto un catalogo di interpretazioni e profezie che si autoavverano, 'pseudo-eventi' (costruiti solo per vivere sui media) e 'fattoidi' (inventati ex novo), Maddalena e Gili ci fanno entrare nell’officina dei paradigmi interpretativi che percorrono il pensiero filosofico, la sociologia, le narrazioni scientifiche, la semiotica e i media studiescon il loro arsenale di strumenti, scuole di pensiero e modelli che si sono misurati con un interlocutore irriducibile come la realtà. La sua continua decostruzione e ricostruzione secondo il prevalere dell’uno o dell’altro filtro interpretativo (in realtà, frutto di una combinazione di approcci e piani di lettura) ha finito per avvolgere in una coltre nebbiosa la natura stessa di ciò che si offre alla nostra conoscenza, dando campo al caleidoscopio disorientante che emerge dal flusso senza fine di voci 'social'. Pare un vortice senza scampo, con la tappa successiva alle fake newsche – già l’anno prossimo? – ci attende, forse per la resa definitiva.
Ma è proprio dentro questa dinamica – affrontata con una sintesi critica persuasiva – che i due studiosi invitano a scorgere la via d’uscita: fondatamente certi che «il concetto di verità è duro a morire, e si riaffaccia sempre nei discorsi e nelle relazioni sociali», poiché «esprime un’esigenza e un’evidenza fondamentale della vita umana», il filosofo e il massmediologo ridimensionano le due «strategie di resistenza e di contrasto proposte in quest’ultimo periodo»: un rinnovato pensiero critico per smascherare le menzogne, che rischia però di tradursi in scetticismo cosmico; e la riabilitazione del concetto di realtà nella sua accezione quantificabile, con il dato oggettivo che tuttavia da solo non basta a soddisfare il bisogno di senso. Entrambe le strade sono promettenti, certo, ma non quanto il «realismo ricco, basato su una continuità di senso tra la realtà di riferimento e la conoscenza», alla ricerca della «comprensione della realtà» e del suo «senso» da «rinvenire e sviluppare». Non un pensiero né una misurazione, ma un riconoscimento di quel che c’è e attende il nostro inesausto desiderio di trovarlo.
da www.Avvenire.it 

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