SIAMO ANCORA
SONNAMBULI
Grande guerra e lezioni dimenticate
-di
MARCO IMPAGLIAZZO
Sembra,
infatti, che alcuni leader mondiali giochino con il fuoco, incuranti delle
tragiche conseguenze che potrebbe avere il saldarsi dei tanti conflitti della
“guerra mondiale a pezzi” in un quadro più unitario. Pare superato il
multilateralismo imperfetto della Guerra Fredda, considerato inutile da Capi di
Stato e di governo abituati a fare i conti unicamente con opinioni pubbliche
plasmate dalle emozioni e dall’umoralità dei social.
Non
tutti, in quegli anni, però caddero preda dell’ubriacatura da sangue. Anzi,
l’immane macello della guerra di trincea diede l’avvio all’evoluzione del
magistero cattolico davanti a ogni conflitto, un “ministero di pace” (così lo
ha definito Andrea Riccardi), che è la grande eredità che i papi del XX e XXI
secolo si sono consegnati l’un l’altro, fino a giungere all’appello di Leone
XIV per una «pace disarmata e disarmante».
Tornando
al secolo scorso, nel terzo anniversario della dichiarazione di guerra della
Germania a Francia e Russia, il 1° agosto 1917, Benedetto XV scriveva la famosa
lettera «ai capi dei popoli belligeranti», in cui definiva il conflitto in
corso una «inutile strage», invitando tutti a deporre le armi, a disarmare, a
trattare sulla base del diritto.
Scriveva:
«Il mondo civile dovrà dunque ridursi a un campo di morte? E l’Europa, così
gloriosa e fiorente, correrà, quasi travolta da una follia universale,
all’abisso, incontro a un vero e proprio suicidio?». A leggere tali parole oggi
– mentre ormai il Vecchio Continente non è che una delle tante facce del
“poliedro” globale, e nemmeno una delle più vivaci o ascoltate – non si può che
guardare con rispetto alla capacità di lettura della storia che il Papa
manifestava. Quanto potente è l’impulso suicida degli Stati e delle civiltà se
ancora in questo primo quarto del XXI secolo abbiamo visto e vediamo realtà
nazionali o plurinazionali correre incontro al «fallimento della guerra», come
ha detto più volte papa Francesco. Nell’“età della forza” in cui viviamo, in
troppi si affidano alla spada pensando di esserne immuni.
Purtroppo,
la spada oggi conta più della carta dei Trattati internazionali.
In
un mondo cieco la saggezza della Chiesa vede la realtà per quella che è e la
chiama per nome: «Siamo animati dalla speranza di giungere quanto prima alla
cessazione di questa lotta tremenda, la quale – affermava Benedetto XV – ogni
giorno di più, apparisce inutile strage».
Strage
di civili a Gaza, strage di militari e bombardamenti incessanti in Ucraina,
stragi in Sudan, nella Repubblica Democratica del Congo, in molti altri angoli
del Pianeta. E tutto in nome di obiettivi il cui pieno raggiungimento si
allontana sempre più. C’è tanto di tragicamente inutile nelle guerre di un
mondo che avrebbe invece bisogno di unirsi per far fronte comune alle sfide
globali, come il riscaldamento climatico, le ondate migratorie, gli squilibri
demografici, l’epidemia di solitudine – di cui sono vittime principali gli
anziani ma che attraversa tutte le generazioni –, le nuove frontiere della
scienza, l’impoverimento culturale, lo smarrimento dei più giovani.
L’ appello
accorato di Benedetto XV rimase inascoltato. Di lì a poco più di un anno, molti
dei Paesi sconfitti nella guerra se ne sarebbero pentiti. Ma anche gli stessi
vincitori del conflitto si sarebbero trovati alle prese con enormi problemi
interni da affrontare, un’economia distrutta, la prospettiva evidente di una
guerra futura – che arrivò in un ventennio – ancor più terribile.
Oggi,
tanto negli ambienti governativi e diplomatici quanto in quelli che formano e
indirizzano il dibattito pubblico si dice che non è il momento di trattare, si
sostiene che “con quel nemico lì”, qualunque esso sia, non si può scendere a
compromessi. La storia, la ragione, la speranza ci ricordano che tali prese di
posizione sono miopi, illusorie, senza fondamento. Occorre ripeterlo con forza
per non arrendersi al male: è ancora tempo per immaginare un ordine
internazionale diverso in cui la pace sia al primo posto. Ed è più che mai un
compito urgente e ineludibile per chiunque vive la responsabilità della
guida dei popoli.