- Dal Vangelo secondo Matteo Mt 22, 1-14
In quel tempo, Gesù, riprese a
parlare con parabole [ai capi dei sacerdoti e ai farisei] e disse: «Il regno
dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli
mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano
venire. Mandò di nuovo altri servi con
quest'ordine: Dite agli invitati: "Ecco, ho preparato il mio pranzo; i
miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite
alle nozze!". Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio
campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e
li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli
assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: "La
festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai
crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle
nozze". Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che
trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava
l'abito nuziale. Gli disse: "Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito
nuziale?". Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: "Legatelo
mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di
denti". Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Il commento al Vangelo di domenica
11 Ottobre 2020 – Anno A, a cura di Paolo Curtaz.
Inviti e rifiuti
Preparo il commento al vangelo la
domenica sera. Mi ritaglio un tempo di riflessione e
di preghiera che mi proietta alla domenica successiva, una sorta di post-it della
mia vita interiore per fecondare la settimana. Dalle mie parti è arrivato l’autunno
in anticipo con temperature gelide e la neve. È un effetto straniante, la
scorsa settimana ancora si girava in t-shirt. Ho appena letto i quotidiani del
giorno. Sono coinvolto da quanto sta succedendo dietro le mura leonine, gli
scandali che da tempo scuotono il Vaticano e la (irrisolta e in salita) riforma
della Curia romana attuata da Francesco. Provo disagio, lo confesso. Anche un
senso di nausea. Non voglio entrare nello specifico:
non ho gli strumenti per capire fino in fondo la situazione (chi li ha?), e le
poche informazioni fornite sono interpretate nella linea di pensiero del
giornalista che le riporta, lo so bene. Ma il disagio rimane. Come se
qualcuno parlasse male di mia madre e mi invitasse a prendere le distanze solo
perché ha un vestito fuori moda (leggetevi Il santo, di Antonio
Fogazzaro). No, non è questa la Chiesa
che ho conosciuto. Non così, almeno. Siamo peccatori, lo so. Tutti. E ne siamo consapevoli. Ma non a
sufficienza. E se tutto quello che sta succedendo,
dal Covid in avanti, ma anche prima, fosse lo sgambetto che lo Spirito ci sta
facendo per fermarci e capire cosa stiamo facendo? E se – sul serio – ci stesse
sfuggendo qualcosa di grandioso che, pure, è sotto gli occhi di tutti? Ho
bisogno urgente e inappellabile di Profezia.
Un re che chiama
Il Dio che Gesù è venuto a rivelare è
un re che invita a nozze. Non costringe, non obbliga, non
intima. Propone. E non propone solo di andare a
lavorare nella vigna per cambiare il mondo insieme a lui, no. Propone di
partecipare ad una bella festa, ad un banchetto elegante, ad una cena che
lungamente abbiamo sognato. Così è Dio. Non quello piccino della
nostra testa, quello severo delle nostre paure, quello intransigente delle
nostre ristrette visioni inutilmente moralistiche. Un Dio che fa festa. Un Dio che ama
la compagnia, che la cerca, che mi invita. Invita me, perché non è egoista come
sappiamo essere noi, non narcisista e diffidente. Dio è uno spettacolo di luce e di vita
e mi chiede, mi propone nell’assoluta libertà, di partecipare alla sua vita ma
anche di condividere la sua gioia. E i servi vanno, invitano, insistono. Noi servi, noi discepoli che già
abbiamo conosciuto l’immensa bellezza di Dio. Come sono belli sui monti piedi di
chi parla di Dio! Solo che.
Ahia
Grandioso, direte voi. In teoria. In pratica Dio si riceve un
solenne e condiviso: no, grazie. Abbiamo delle cose da
fare. Vero, certo. Cose urgenti, necessarie, importanti. Ma sempre e solo delle cose. Materia,
impegno, lavoro, sudore.
Cose.
Che riempiono ogni spazio, che
occupano la mente, che spengono l’anima e il desiderio. Peggio: che la
uccidono. Non sono malvagi coloro che
rifiutano. Sono solo troppo impegnati per
diventare felici. Si illudono di trovare la felicità dopo avere finito le cose
da fare. Come se la felicità potesse aspettare. Come se
dipendesse dalle cose. Eppure, basta poco. Accogliere l’invito,
andare. Vedere quanta gioia, verità,
bellezza, abitano in Dio, e come la nostra vita, comunque sia, possa fiorire.
Tutto il Vangelo consiste in un vieni e vedi. Cosa abbiamo di meglio da fare, oggi,
dell’essere felici? Accampiamo scuse. Problemi, dolore, a volte addirittura
attribuito a Dio, ostacoli. Macché: se non siamo felici oggi, non
lo saremo mai.
L’abito
Una sola cosa serve: l’abito. Un
abito adatto, confacente. Richiesta assurda, all’apparenza: al
rifiuto degli invitati il re spinge ad entrare cattivi e buoni, medicanti e
poveri. Come pretendere da loro un abito nuziale? Matteo, riprendendo questa parabola,
pensa a quanti, in Israele, non hanno accolto l’invito, ora rivolto ai
pagani. Noi, oggi, sappiamo che l’invito di
Dio è rivolto a tutti, anche a chi non ne è degno, anche ai peccatori. Nessuna
selezione di bravi cristiani per far parte della festa. Ma l’abito sì. Certo. La
consapevolezza del dono ricevuto, il desiderio, lo stupore, sì, certo. Quello è
necessario. Il re è un padre, è buono, non è un bonaccione, un inutile Babbo
Natale. Ci ama seriamente, con gioia, ma non
si fa prendere in giro. Possiamo drammaticamente rifiutare la
gioia. Ma anche fingere e non essere disposti a crescere, a fiorire, a
convertirci. La conseguenza, allora, sarà quella
di essere per sempre legati alla nostra minuscola visione della vita ed abitare
nelle tenebre.
Forse
Allora questa Parola mi aiuta, mi
spinge, mi scuote, mi inquieta. Forse è rivolta a me. Forse sono
proprio io a rifiutare la logica della festa. Anche se discepolo da lungo
corso. Anche se catechista o prete o cardinale. Forse davvero dobbiamo
smetterla di pensare che queste parabole siano per gli altri. Io, Paolo, posso rifiutarmi di
partecipare alla festa di Dio. O convertirmi. Perché Dio continua ad invitare, dice
Isaia. E se chi doveva partecipare non c’è, pazienza. Voglio esserci. E preparare un
vestito che sia all’altezza. Non lussuoso o straordinario, ma che manifesti il
desiderio che mi abita. Tutto posso in colui che mi dà la forza. Anche di vivere questo tempo di
scelta e di setaccio. Ecco. Cosa abbiamo di meglio da fare
oggi che non essere felici?
https://www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-di-domenica-11-ottobre-2020-paolo-curtaz/