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mercoledì 16 ottobre 2024

COSA E' UN LIBRO ?


La riflessione che apre il nuovo inserto "Gutenberg"-

Chi ha inventato il libro ha inventato il silenzio della lettura e i salotti letterari, l’avventura della conoscenza e la libertà di espressione.


 - di José Tolentino de Mendonça *

Ricordo che a Parigi, sull’entrata di un negozio di libri usati dalle parti di Notre-Dame, vidi riprodotto l’attacco della poesia che Walt Whitman dedicò «a uno sconosciuto».

E il primo verso diceva così: «Sconosciuto che passi! Non sai con quanto desiderio io ti guardo».

Gli sconosciuti siamo noi, i lettori, i possibili lettori o quelli che non arrivano a esserlo, perché tante volte noi passiamo ignorando tutto quello che i libri ci riservano e la lunga attesa, anche se a vuoto, che essi costruiscono per noi.

Parlare di industria a proposito dei libri è sicuramente importante, ma è insufficiente, e non è mai il primo passo da fare.

Chiaramente i libri hanno una materialità che va tenuta in considerazione, e una delle ragioni che legano i lettori di ogni epoca all’oggetto libro è che questo permette, come canta il brasiliano Caetano Veloso, una sorta di «amore tattile».

Ma l’esperienza del libro è più della sua materialità, essa si ricollega alla preistoria di una relazione che possiede, come di recente ha ricordato papa Francesco, un impatto spirituale generativo: «Poi non mancano i momenti di stanchezza, di rabbia, di delusione, di fallimento, e quando nemmeno nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima, un buon libro ci aiuta almeno a superare la tempesta», aprendoci alla possibilità di altri viaggi. Illuminanti e precise sono le parole di Franz Kafka: «Un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi».

Un libro è un laboratorio interiore portatile, uno strumento minuzioso per ampliare la visione, un intercomunicatore tra silenzi, un tessitore di comunità, un rifugio nella foresta o un sentiero che porta oltre.

Penso al bellissimo saggio di Marcel Proust sulla lettura, in cui ci dice che essa «è per noi l’iniziatrice le cui magiche chiavi ci aprono al fondo di noi stessi quelle porte che noi non avremmo mai saputo aprire».

È vero.

Chi ha inventato il libro ha inventato il silenzio della lettura; ha inventato quella forma intima di temporalità che rende l’incontro con il libro indissociabile dall’incontro con noi stessi; ha inventato l’attenzione, l’avventura della conoscenza elaborata a partire da certe premesse, e la curiosità; ha inventato un regime sociale in cui l’attività intellettuale era ammessa e, non dobbiamo dimenticarlo, quel regime ha liberato l’uomo, rivelandogli la sua dignità; ha inventato il diritto universale all’alfabetizzazione e moltiplicato le comunità di lettori; ha inventato l’individuo e la vita privata; ha inventato la fiducia nella consistenza del linguaggio e le biblioteche; ha inventato i salotti letterari, i caffè e le piazze come luoghi di dibattito; ha inventato i sistemi critici ed ermeneutici che garantiscono non solo la leggibilità dei libri ma anche la comprensione dei mondi possibili; ha inventato le scuole monastiche e l’idea moderna di università; ha inventato l’umanesimo e la libertà di espressione, che è sempre inseparabile dalla libertà di essere.

E, dal momento che è una verità così necessaria, dobbiamo chiederci: noi sappiamo davvero che cos’è un libro?

T.S. Eliot è stato per otto anni impiegato alla Lloyd’s Bank di Londra.

Passava le sue giornate nell’ufficio sotterraneo che gli era stato assegnato, e durante tutto l’orario di lavoro sentiva i passi di chi gli camminava sopra la testa.

Il suo stipendio: due sterline e dieci scellini.

Lavorava dalle 9.15 alle 17.00 e, in una delle prime lettere che di là scrisse alla madre, si diceva felice di potersi dedicare alla poesia nel tempo restante.

Con il passare degli anni, però, era come se gli venisse a mancare l’aria.

Prendeva il treno per la City, vestito di scuro, con l’ombrello appeso al braccio, i capelli impeccabili, con la riga in mezzo, irreggimentato in una folla tutta vestita allo stesso modo.

Nel suo libro La terra desolata lascerà questo resoconto: «Città irreale, / sotto la nebbia marrone di un’alba invernale, / una folla scorreva sul London Bridge, così tanta / ch’io non avrei creduto che morte tanta n’avesse disfatta».

Il poeta Philip Larkin lavorò come bibliotecario praticamente per tutta la vita, essendosi reso conto che non sarebbe riuscito, per quanto lo agognasse, a vivere solo di scrittura.

Dopo la giornata di lavoro si chiudeva in casa, evitando uscite che lo distraessero.

Cenava, lavava i piatti e si metteva a scrivere.

Alla vigilia dello scoppio della Seconda guerra mondiale, Graham Greene viveva in uno stato di disperazione.

Aveva bisogno di tempo per completare quello che riteneva il suo miglior romanzo, Il potere e la gloria.

Allo stesso tempo temeva però di morire e di lasciare la sua famiglia sguarnita dal punto di vista economico.

Si risolse allora a scrivere uno di quei thriller veloci che garantivano una buona remunerazione.

Si chiudeva tutta la mattina in una stanza presa in affitto per lavorare al giallo e il pomeriggio rincasava per scrivere Il potere e la gloria.

Nel 1951, quando i medici le pronosticarono non più di quattro anni di vita, Flannery O’Connor tornò con sua madre nella terra natale, nella vecchia fattoria di famiglia chiamata "Andalusia". Sapeva che il pomeriggio si sarebbe ritrovata esausta e febbricitante, come in uno stato influenzale, e che la sera avrebbe avuto la mente bianca e vuota come un piatto.

Le restavano, per quei quattro anni, soltanto le mattinate.

Si svegliava alle sei, prendeva un caffè con la madre mentre ascoltavano le previsioni del tempo alla radio, andava alla messa delle sette nella chiesa più vicina e poi, fino a mezzogiorno, scriveva solitaria nella sua stanza.

Ricordo lo scrittore Thomas Mann che, partendo in esilio per gli Stati Uniti, volle leggere e commentare, durante la lunga traversata oceanica, il Don Chisciotte di Cervantes.

Ricordo l’ebrea olandese Etty Hillesum che, nell’essenziale zaino con cui entrò in un campo di concentramento, scelse di non mettere oggetti ma due libri: la Bibbia e il volume di poesie di Rainer Maria Rilke.

Oppure quella storia testimoniata dal teologo Romano Guardini, che racconta come, in una delle grandi battaglie dell’ultima guerra, un distaccamento si vide a un certo punto in situazione disperata.

«Il cappellano militare, sentendo che non aveva nulla da dire di accettabile in quell’ora, tolse di tasca il proprio Nuovo Testamento, ne strappò le pagine e ne diede una a ogni soldato».

La strofa finale della poesia di Walt Whitman mi è sempre sembrata il preciso ritratto della responsabilità che gli scrittori sentono nei riguardi dei lettori, questi sconosciuti cui dedicano il meglio della loro vita: 

«Devo pensare a te quando siedo in disparte o mi sveglio di notte, tutto solo, 

 Devo aspettare, perché t’incontrerò di nuovo, non ho dubbi, 

 Devo vedere come non perderti più».


* Cardinale Prefetto del Dicastero per la Cultura e l'Educazione

    www.avvenire.it   

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lunedì 8 febbraio 2021

MORTE DEI LIBRI ?


 Fra i libri e l'uomo la storia non muore


       

"Non sono state le guerre o i complotti ma le pagine scritte, nelle loro molteplici forme, ad aver dato vita alla nostra civiltà". La riflessione di Tolentino Mendonça sul nuovo "Vita e Pensiero"

Dal Covid con in suoi strascichi sociali, politici e antropologici, alle nuove rivalità nazionali per la conquista dello spazio; dalle nuove frontiere del rinnovamento economico al ruolo della cultura, della comunicazione e dei libri per costruire il futuro. Come sempre ricco di dibattiti e approfondimenti il nuovo numero della rivista "Vita e Pensiero", il bimestrale della Cattolica in uscita giovedì. Qui anticipiamo l’intervento nella sezione "Polemiche culturali" del cardinale José Tolentino Mendonça sul ruolo passato e futuro dei libri nella costruzione dell’Occidente. Fra le firme di spicco Amartya Sen con un articolo su "Libri, libertà, dissenso e tirannia"; Gianfranco Ravasi e Mariapia Veladiano sull’editoria religiosa; l’economista Gaël Giraud sulle disuguaglianze nel mondo; Emidio Diodato sulle controversie e timori politico-strategici nella corsa allo spazio; Fabrice Hadjadj su Stato e trascendenza; Pier Angelo Sequeri su virus e ruolo della comunità.

 -José Tolentino Mendonça

Siamo ormai alle soglie, si dice da più parti, della fine dell’era del libro. E non perché i libri, nell’arco storico della nostra vita, abbiano cessato di esistere da un momento all’altro, o perché siano sul punto di farlo: noi speriamo e ardentemente desideriamo che continuino a essere scritti e letti, a essere pubblicati, diffusi e conservati ancora per lungo tempo. Quello che però sta avvenendo è che, tanto come manufatti quanto come trasmettitori di una determinata concettualizzazione morale della vita, i libri hanno smesso di rappresentare, come sosteneva George Steiner già negli anni Sessanta del secolo scorso, il principale punto focale di energia della nostra civiltà. In questa funzione, il libro è stato sostituito dallo schermo.

Ognuno di noi, in effetti, oggi trascorre più tempo davanti a un display che a un libro. E sono di tanti tipi gli schermi che popolano massicciamente il nostro quotidiano e lo plasmano venendo così a occupare il luogo che, per secoli, era stato riservato alla pagina e al testo, manoscritto o a stampa. Ciò a cui assistiamo nel consumarsi di questa svolta è che il testo alfabetico stesso sta diventando niente più che una modalità fra le tante di elaborazione dei miliardi di messaggi che vengono visualizzati sugli schermi. Il libro, e ciò che esso rappresenta, si trova relegato in un ruolo sempre più minoritario. Nell’autorappresentazione che il mondo contemporaneo fa di sé, il libro non è più, per esempio, “la grande me-tafora”, come lo era nel XII secolo quando il teologo e mistico Ugo di San Vittore sosteneva che omnis mundi creatura quasi liber, per dire che ogni creatura di questo mondo è come un libro e può essere spiegata per analogia a partire da esso; o come lo era ancora alla fine del XIX secolo, quando Mallarmé immaginava il libro come una struttura onnicomprensiva, una sorta di coagulo totale delle scritture decifrabili e indecifrabili dell’uomo e dell’universo.

È pur vero che, come qualcuno dice, dovremmo parlare di trasformazione, più che di crepuscolo, del libro, dal momento che quella in corso è semplicemente una modificazione del supporto del libro e non del libro propriamente detto. L’attuale forma cartacea è una tappa di una storia più lunga, iniziata con i testi incisi su pietra, su tavolette di argilla, e continuata poi con i rotoli. Una storia che continuerà a fare il suo cammino. In questo senso Umberto Eco affermava fiducioso che il libro rientra in quella tecnologia eterna a cui appartengono la ruota, il coltello, il cucchiaio, il martello, la pentola o la bicicletta. Per quanto i designer investano nella trasformazione di questo o quel dettaglio, sarà sempre possibile riconoscere che quello è un coltello o quello è un cucchiaio. Una bicicletta avrà sempre due ruote e un telaio. Analogamente, con tutte le variazioni che potranno essere introdotte, quello che terremo tra le mani sarà sempre un libro.

Non possiamo tuttavia dimenticare che la civiltà che inventò il libro ha inventato anche le condizioni necessarie per la sua lettura, e che queste ci hanno plasmato antropologicamente, venendo a costituire un patrimonio culturale che dobbiamo preservare. Perché chi inventò il libro inventò il silenzio della lettura; inventò quella forma intima di temporalità che rende l’incontro col libro indissociabile dall’incontro con noi stessi; inventò l’attenzione, l’avventura della conoscenza e la curiosità; inventò un habitat sociale in cui l’attività intellettuale era ammessa e, non dimentichiamolo, questo habitat ha liberato l’uomo, rivelandogli la propria dignità; inventò il diritto universale all’alfabetizzazione e moltiplicò le comunità di lettori; inventò l’individuo e la vita privata; inventò la fiducia nella consistenza del linguaggio e le biblioteche; inventò i salotti letterari, i caffè e le piazze come luoghi di dibattito; inventò i sistemi critici ed ermeneutici che garantiscono non solo la leggibilità dei libri, ma la comprensione dei mondi possibili; inventò le scuole monastiche e l’idea moderna di università; inventò l’umanesimo e la libertà d’espressione, che è sempre inseparabile dalla libertà di essere. Il libro accompagnò la nascita e l’espansione delle lingue moderne dell’Occidente, e assistette allo sviluppo delle sue possibilità espressive, cognitive e di immaginazione. Chi inventò il libro inventò una certa forma di produrre storia e inventò anche la figura del lettore quale ancora noi siamo. Per questo è incalcolabile il patrimonio umano, culturale e spirituale rappresentato dal libro. Quello che il libro mette in gioco è molto più del libro.

Non possiamo disfarcene come fosse un arcaico residuo destinato a essere disattivato. Ha scritto Mario Vargas Llosa: «Quando penso al piacere immenso che mi hanno offerto le biblioteche e come è stato bello lavorarvi, stimolato da quelle migliaia di libri nei quali sono depositate la conoscenza e la fantasia letteraria di tanti secoli, penso con tristezza che forse la mia sarà l’ultima generazione a fare un’esperienza simile se, come non è impossibile pensare fin da ora, le nuove generazioni di scrittori lavoreranno circondate da display invece che da scaffali e la materia del libro non sarà la carta, ma i cristalli liquidi dei monitor». In questo frangente di passaggio di civiltà, dobbiamo interrogarci su quello che, come società, possiamo fare per valorizzare questo patrimonio e assicurare che il libro continui a ispirarci nella costruzione della nostra umanità. I libri non ci rendono solo lettori, ci rendono anche cittadini.

La storia dell’Europa è inseparabile dai libri che hanno costituito il suo stile di creare cultura, scienza, spiritualità e pensiero. Non possiamo considerare l’identità europea e i suoi valori fondanti senza una connessione al mondo dei libri che l’hanno aiutata a superare il monolitismo ideologico, le ristrettezze di orizzonti o l’inconsistenza e i limiti di visione. La dimensione più straordinaria del progetto europeo non nacque come una conquista bellica, come una concezione economica o meramente politica. Sono i libri ad aver fatto l’Europa. Da Omero a Virgilio, a Catone, a Petrarca. Dai trattati di Aristotele alle lettere di Paolo. Dalle commedie di Terenzio alle Confessioni di Agostino. Dalle fantasie di Lucrezio alla Summa di Tommaso. Dai trovatori medievali a Dante o a Camões. Dai pamphlet di Voltaire a Marx. Da Hegel a Freud. Da Dostoevskij a Joyce. Da Simone Weil a María Zambrano. In momenti particolarmente duri della storia europea apparvero alcune delle più belle dichiarazioni d’amore per i libri. Ricordo Thomas Mann, partendo in esilio per gli Stati Uniti volle leggere e commentare, durante la lunga traversata oceanica, il Don Chisciotte di Cervantes. Etty Hillesum nello zaino essenziale con cui entrò nel campo di concentramento, non scelse di mettere oggetti ma due libri: la Bibbia e il volume di poesie di Rainer Maria Rilke.

Ricordo la storia dello scrittore Józef Czapski, internato tra il 1940 e il 1941 in un gulag: al termine di ogni giornata di lavori forzati, tra i rigori delle temperature siberiane, un gruppetto di prigionieri sedeva in circolo per ascoltare il loro compagno Józef Czapski tenere una serie di conferenze su Proust. Egli aveva avuto per l’ultima volta l’opera di Proust tra le mani nel 1939 e temeva di non tornare più a vedere un libro. Per questo le sue lezioni si basavano su un lavoro di recupero della memoria di quel colossale universo romanzesco. Scrive Czapski: «In quei momenti pensavo con emozione a Proust, che, nella sua camera surriscaldata e tappezzata di sughero, si sarebbe meravigliato e forse commosso se qualcuno gli avesse detto che, a vent’anni dalla sua morte, un manipolo di prigionieri polacchi, dopo un’intera giornata trascorsa sulla neve, in un freddo che arrivava spesso a 40 gradi sotto lo zero, avrebbe ascoltato col massimo interesse la storia della duchessa di Guermantes». Il teologo Romano Guardini racconta che, «in una delle grandi battaglie dell’ultima guerra, un reparto si trovava in una situazione disperata. Il cappellano militare era presente e, sentendo che non aveva da dire nulla di accettabile in quell’ora, tolse di tasca la propria copia del Nuovo Testamento, ne strappò le pagine e ne diede una a ogni uomo». Proteggiamo il patrimonio culturale che i libri rappresentano. Essi sono mappe per decifrare da dove veniamo. Ma sono anche telescopi e sonde puntati sul futuro.

(Traduzione di Pier Maria Mazzola)

 www.avvenire.it



venerdì 31 ottobre 2014

IL LIBRO TORNA A SCUOLA

A scuola il LIBRO torna a farsi sentire


Nelle classi le letture a voce alta di “Libriamoci”, promosse dal Centro per il libro.

Parla il presidente Montroni




Romano Montroni ha capito di essere sulla strada giusta quando ha ricevuto la visita di un vigile urbano della sua città, Bologna. «Era il comandante in persona, ma non si era scomodato per notificarmi una multa – scherza –. Ci teneva a dirmi che avrebbe partecipato anche lui, come volontario, alla nostra iniziativa». Libraio di lungo corso, responsabile prima della catena Feltrinelli e poi, più di recente, delle Librerie Coop, da qualche mese Montroni è il presidente del Centro per il libro e la lettura, l’organismo istituito dal ministero dei Beni e delle attività culturali con l’intento di accorciare la distanza, ancora abissale, tra gli italiani e la parola scritta. E da dove cominciare, si è domandato Montroni, se non dalla scuola? Così, sull’onda dell’entusiasmo e insieme dell’urgenza (le ultime statistiche relative agli indici di lettura collocano l’Italia al penultimo posto in Europa), è nato il progetto “Libriamoci”: tre giorni di letture a voce alta, da domani a venerdì, che coinvolgeranno gli istituti di ogni ordine e grado in tutto il Paese, non senza qualche sconfinamento all’estero. «Guardi, lo so benissimo che la proposta in sé non ha nulla di rivoluzionario – ammette Montroni – e non solo perché già gli antichi leggevano ad alta voce ........