tra uno studente
e lo Stato
Siamo
nel pieno degli esami di Maturità, detti anche di Stato perché è lo Stato a
verificare che lo studente «colto» non sia né acerbo né marcio, pronto per
nutrire altri. Ma se invertissimo le parti e fosse lo studente a interrogare lo
Stato? Se gli chiedesse, come facciamo noi: dopo che
farai? In che progetto impegnerai le tue energie? Lo Stato che cosa
risponderebbe? Posta la domanda allo Stato attuale, direbbe: «In guerra. Come
Stato dell'Ue sono in riarmo, ma soprattutto perché, con altri Stati, sono
Nato. E mi è appena stato chiesto di portare le risorse militari al 5% del mio
PIL».
Lo
studente fa notare che, spendendo già l'1,6% (una trentina di miliardi nel
2024), arrivare a quella cifra significa investire 66 miliardi in più all'anno:
«Rimango sempre stupito di come tutti questi soldi compaiono dal
nulla...».
Lo
Stato risponde che sa il fatto suo. «Come fai?”. “Tasse o tagli sulla spesa
sociale. O privatizzazioni. O debito…»”.
Lo
Stato sorride sornione, ma lo studente incalza: «Quindi a conti fatti
investirai più in spesa militare che sulla scuola (4,2%)?». Lo Stato per nulla
costernato: «Il mondo va così, bisogna stare al passo: è la ragion di Stato!».
«E la mia?». «Che cosa?». «Ragione...». «Ne hai una che valga più di quella di
un intero Stato?». «In fondo dovrebbe essere la tua…». «Spiegati».
«Negli
ultimi due anni ho cambiato tre insegnanti di matematica, e proprio quest'anno,
quello della maturità, cioè quello in cui tu vuoi che io sia maturo, fino a
ottobre siamo rimasti senza sostituto, poi è arrivato un supplente. Prima che
capisse chi fossimo era Natale...». «Hai ragione. Proprio l'anno scorso ho
fatto il record di insegnanti precari: 230.000 su 900.000 cattedre, uno su
quattro ha un contratto a termine». «E perché lo fai?». «Costa meno». «E per
cosa li risparmi questi soldi?». «Ne abbiamo già parlato...». «E le condizioni
di lavoro inaccettabili per gli insegnanti e la discontinuità didattica ed
educativa? Il nostro lavoro è studiare, perché non ne hai rispetto (parola che
hai scelto per la traccia del mio tema di maturità)? E non è una novità, la
situazione è così da anni. E peggiora...».
Lo
Stato tace. «E poi sai io vorrei diventare insegnante, ma forse meglio lasciar
perdere«. «Effettivamente... Meglio essere realisti». «Che cosa consigli?».
«Non ti attira la carriera militare? Avremo nuovissimi carri armati e caccia da
pilotare, e confortevoli basi in cui vivere. Tutto all'avanguardia!». «Ma
perché allora la mia scuola non è a norma? Il riscaldamento non va, manca il
laboratorio, la palestra è piccola e la biblioteca è chiusa da anni? E poi ci
vorrebbe qualche pianta, è peggio di un ospedale...».
Lo
Stato: «Io investo 8000 euro all'anno per te e per i 7 milioni di studenti
della scuola: la retta di una scuola d'élite». «Perché allora il servizio non è
d'élite?». Lo Stato balbetta: «Burocrazia, sprechi... va così». «Ma non puoi
far qualcosa? Perché Stato deve significare “fato” e non “fatto”? La
professoressa di storia ci ha spiegato che il tuo PIL dipende fortemente dagli
investimenti in istruzione e ricerca, perché le persone istruite sono più
produttive, capaci di utilizzare nuove tecnologie, risolvere problemi complessi
e adattarsi a nuovi contesti. Ogni anno aggiuntivo di istruzione può far
aumentare il PIL pro capite di circa il 9%...». «È vero, ma ci sono cose più
urgenti della cultura, come la difesa. Che te ne fai della cultura se sei sotto
attacco?». «Ma non abbiamo dichiarato guerra e nessuno lo ha fatto a noi... E
poi mi hanno sempre detto che le cose importanti vengono prima delle urgenti».
«Non sempre». «Sono in guerra e non lo so?».
Lo
Stato si fa diplomatico: «Lo so io. E poi devi sapere che ė l'economia a
determinare la politica, e l'economia adesso deve inseguire la guerra, perché è
necessaria». «Necessaria? Al riguardo vorrei mi commentassi il testo di un
filosofo: “Ciò che noi chiamiamo Stato è, in ultima analisi, una macchina per
fare guerre e questa sua costitutiva vocazione finisce con l’emergere al di là
di tutti gli scopi più o meno edificanti che esso può darsi per giustificare la
sua esistenza. Questo oggi è evidente... i governi perseguono a ogni costo una
politica di guerra per la quale si possono certamente identificare scopi e
giustificazioni, ma il cui movente ultimo è inconscio e riposa sulla natura
stessa dello Stato come macchina di guerra. Questo spiega perché la guerra sia
perseguita anche a costo di andare incontro alla propria possibile
autodistruzione. Ed è vano sperare che una macchina da guerra possa arrestarsi
di fronte a questo rischio. Andrà avanti fino alla fine, qualunque sia il
prezzo da pagare"» (Giorgio Agamben, Lo Stato e la guerra, 4 giugno
2025).
Lo
Stato tace. «Che cosa è sono stato?» chiede lo studente. «Il passato prossimo
di essere». «E il futuro prossimo?». «Non esiste». «Sì». «E quale sarebbe?».
«Lo hai davanti». «Ma è proprio per lasciare a te un futuro migliore che faccio
tutto questo...». «Il futuro non è un oggetto da lasciare ma tempo incarnato:
il domani di ciò che c'è già. Se non curi adesso i semi, non avrai frutti». «E
che accadrà?». «Che non sarai Stato».
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