“Io a scuola insegnerei educazione alla gentilezza, un’ora a
settimana. Perché magari la maturità scolastica ci insegna a fare benissimo le
equazioni, a scrivere un tema a meraviglia, a tradurre a menadito greco e
latino, a parlare le lingue. Poi manca la maturità emotiva per affrontare al
meglio lo stress. Lo stress di chi non si è insegnato il rispetto, l’attesa,
l’educazione, la giusta misura nel dire le cose, la differenza fra il lasciar
correre e l’aggredire, fra l’avere carattere e la prevaricazione, fra il
diritto di critica e il non diritto di offesa. Una persona gentile sa essere
sgradevole, se vuole. Sceglie di non esserlo, semplicemente. Poi ci sono le
materie che impariamo sul campo, geometria delle anime, geografia degli sguardi
e se siamo fortunati diventiamo il libro di storia di qualcuno. Vi auguro di
andare controcorrente, non sempre, solo quando serve a restare voi stessi e
assolutamente mai controcuore“.
Massimo Bisotti
Massimo Bisotti
Abbiamo voluto riproporvi questo spunto dello scrittore Massimo
Bissotti, sintesi artistica di quei pensieri che cerchiamo di proporre
ogni giorno, di quel mondo gentile che ci piacerebbe
costruire. Poche righe, ma secondo noi più utili di tutto quello che
recentemente si è detto su resilienza, empatia ed emozioni.
Nel nostro mondo c’è spazio per la gentilezza? Molto poco:
lo stress e i ritmi frenetici del lavoro e della vita hanno portato a perdere
progressivamente questo valore. Scambiare qualche parola gentile con gli altri
è visto come una perdita di tempo.
Riscopriamo la gentilezza
La gentilezza è alla base dell’empatia: sorridere, fare del bene,
rendere migliore la giornata degli altri. E’ un valore che, poco alla volta,
rende la nostra vita più piena. Essere gentili significa essere grati alla vita
e al mondo che abitiamo. Per riscoprire la gentilezza, dobbiamo
abbattere il muro dell’egoismo e delle finte preoccupazioni:
abituiamoci a non utilizzare lo smartphone quando non è strettamente
necessario. Abituiamoci ad ascoltare e a comunicare in modo sincero: guardiamo
negli occhi i bambini e le persone con cui parliamo.
I bambini nascono gentili: fino a 6/7 anni, nonostante l’egocentrismo
tipico della loro età, sono pronti a condividere con gli altri, comunicano volentieri
e prendono a cuore i problemi degli altri. Perché noi adulti non ne siamo più
in grado? Forse, un primo passo potrebbe essere proprio quello di riscoprire
la gentilezza dell’infanzia, facendo un passo indietro con il
cuore.
Per insegnare ad essere gentili dobbiamo utilizzare il linguaggio del
cuore
Siamo sicuri che in educazione paghi la scientificità con cui ci
inventiamo metodi e competenze? Siamo sicuri che siano un buon modo per
insegnare il rispetto, l’amore e la gentilezza? Noi non lo siamo. Anzi, ogni
giorno che passa ci convinciamo un pochino di più che spesso fanno solo danni.
Abbiamo messo al centro delle nostre ricerche metodi per insegnare meglio, che
in quanto tali si sono concentrati su tutto ciò che si poteva misurare: se sai
a memoria le tabelline, se riesci a parlare tre lingue diverse, se sai
programmare un’applicazione.
Abbiamo però dimenticato il cuore, la gentilezza spontanea,
quell’educazione emotiva che non si trova nelle riflessioni degli psicologi ma
solo nella vita vissuta. E anche adesso, che ci siamo accorti dell’errore e
stiamo correndo ai ripari, usiamo lo stesso sistema: scientifico,
enciclopedico, squadrato. Spuntano manuali sulle emozioni come fossero
l’aritmetica di base. Istruzioni per allenare questo e quello, dalla resilienza
alla gratitudine. Senza capire che il cuore parla la lingua del cuore,
e con quella va educato.
Quindi, perché non ripartire dall’arte, dalla narrazione, dai
piccoli gesti spontanei, dalla voglia di cambiare? Potrebbe essere un modo per
innovare per davvero, e innovando stare meglio. Potrebbe essere il primo passo
verso una ricerca della felicità concreta e non solo teorizzata.
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