Gratitudine,
ascolto, curiosità...
Le «doti» per non restare soli
In attesa che l’isolamento
delle persone diventi un punto di attenzione per la comunità, vi sono strategie
individuali utili per incontrare gli altri.
Esistono centinaia di decaloghi, ma
conta di più l’impegno quotidiano degli uomini e delle donne a non chiudersi in
sé: ad esempio ricercando una felicità aperta agli altri Ci si accosta al
prossimo anche rinunciando ad atteggiamenti individualistici e praticando la
gentilezza.
di Marco Trabucchi
In vari Paesi del mondo
(dall’Inghilterra agli Stati Uniti alla Danimarca) in questi anni si sono
sviluppate campagne per incrementare la sensibilità individuale e collettiva
riguardo alla solitudine, perché da fattore di sofferenza del singolo e delle
comunità diventi un diffuso punto di attenzione. Diverse sono state le modalità
di approccio, che vanno dall’intervento personale alle terapie di gruppo, nel
corso delle quali l’individuo è indotto non solo ad aprirsi per ricevere un
aiuto, ma anche a diventare capace di offrire a sua volta supporto. Le diverse
metodologie non si sono dimostrate l’una superiore alle altre; diversissime
sono le storie individuali, le esperienze, i supporti ricevuti, gli abbandoni.
Nessuno vuole vivere da solo, ma spesso si trova in bilico su un confine
pericoloso, lungo il quale non riesce a compiere scelte precise. Talvolta,
addirittura rinforza la propria condizione di distacco e di solitudine. Gli
interventi educativi sono ancora poco diffusi e riservati a situazioni
caratterizzate da una forte motivazione e dalla precisa sensazione di poterne
trarre vantaggio per la vita futura. L’area è ancora aperta a studi e
approfondimenti seri e metodologicamente corretti; nell’attesa, l’atteggiamento
di apertura e generosità del singolo verso il proprio vicino, parente, amico
rappresenta l’unico approccio che abbia indiscutibilmente dimostrato una potenziale
efficacia. V sono situazioni particolari, molto delicate che meritano
forte attenzione. Si pensi alla coppia caregiver- malato di demenza, condizione
nella quale un legame forte può trasformarsi in una trappola se non è
accompagnato e lenito da affetti, vicinanze, impegni di supporto. Chi chiude il
proprio raggio vitale solo al rapporto con un altro, che non potrebbe farne a
meno, ha diritto di essere accompagnato, capito, aiutato, perché svolge una
funzione insostituibile verso chi è bisognoso. In questi casi si costruisce una
catena umanissima di aiuto, con il risultato finale di realizzare comunità
fondate su reti di empatia viva. Vincere la solitudine della coppia
caregiver-persona da assistere costruisce un inizio di dinamiche che si possono
moltiplicare, senza grandi progetti, ma con l’impegno di ogni giorno ad aiutare
chi è solo, attraverso l’ascolto, l’aiuto concreto (si pensi ad azioni piccole
ma di grande efficacia, come preparare un pasto caldo per chi non ha tempo di
dedicarsi alla cucina, come spesso avviene nel caso di persone completamente
dedite alla cura del proprio caro colpito da una demenza), il sostituirsi per
qualche ora, permettendo all’altro di riallacciare relazioni soffocate dalla
mancanza di tempo. Spesso questo aiuto non viene chiesto, perché nemmeno
pensato da chi è tutto dedito alla cura, chiuso in una sofferenza indicibile. Esistono
centinaia di decaloghi per indurre a combattere la solitudine; alcuni ridicoli,
altri banali, altri ancora inutili. Invece dei decaloghi, vi sono alcuni
atteggiamenti che più di altri portano a ridurre lo spazio della solitudine.
Non sono formule magiche, perché la donna e l’uomo non vivono di magia, ma di
un impegno severo e sereno per tutti i giorni. Ecco questi atteggiamenti
positivi.
Gratitudine. È
l’attitudine di chi riconosce che ciò che si è ottenuto non lo è stato solo per
i propri meriti, ma anche per la benevolenza altrui, anche se è difficile
ammetterlo a causa dell’orgoglio. La gratitudine è andare incontro, rico- noscendosi
debitori, camminare verso l’altro per intrecciare un abbraccio. Per combattere
la solitudine è necessario esprimere questo sentimento anche quando può essere
faticoso per l’ipertrofia dell’io; se l’altro percepisce una naturale, reale
disposizione alla gratitudine sarà più facile costruire efficaci momenti di
relazione.
F elicità. Qual è la
felicità che cerchiamo e come, da questa ricerca possiamo arrivare a sistemi di
relazioni sociali che corrispondano alle nostre più autentiche esigenze? È una
felicità generosa, aperta agli altri, che trova nella comunità il modo migliore
per esprimersi, perché così riceve risposte adeguate. Una felicità
assoluta, slegata da relazioni, è il patrimonio di qualche santo che vive il
sentimento in relazione con il Signore; tutti noi, invece, abbiamo bisogno
della felicità indotta dal donare, anche se talvolta il nostro gesto non riceve
compensi adeguati.
Ascolto. Viviamo troppo spesso
parlando di noi, svilendo l’ascolto dell’altro. Viviamo come se fossimo soli
nell’universo. Il non essere ascoltati crea risentimento negli altri, che
chiudono orecchie e cuori. La solitudine modifica le risposte all’ambiente
umano circostante, il più delle volte aumentando la negatività e l’aggressività
e quindi riducendo la possibilità di creare assieme qualche cosa di rilevante
per tutti. È un circolo vizioso, che si può rompere imponendosi l’ascolto, per
comprendere il punto di vista degli altri; ma se si sente il dovere
dell’ascolto significa che gran parte del percorso verso la relazione è già
stato compiuto e la solitudine sconfitta.
Curiosità. È ritenuta una dote
ambivalente, ma ha il grande pregio di costringere a guardare dentro nella vita
degli altri, in modo da identificare gli spazi sui quali impostare una
relazione. Mediamente chi è curioso non è mai solo, perché comprende dove può
avvenire l’incontro tra la propria vita, aspirazioni, attese, speranze e quelle
dell’altro. Possono essere possibili incomprensioni e chiusure, ma non
giustificano una scelta generale. La curiosità come premessa per costruire
rapporti deve essere un atteggiamento stabile nella vita, in qualsiasi
condizione; quando l’individuo va in palestra, ad esempio, gli esercizi fisici
dovrebbero essere altrettanto importanti che l’attenzione ai vicini, per
comprenderne attitudini e attese, desideri di relazione o chiusure. La
curiosità è strutturale alla persona intelligente; solo uno stato depressivo
può tarparla e farla sembrare inutile.
Rinuncia ad atteggiamenti individualistici. L’attenzione,
sempre più diffusa negli ultimi anni, verso fitness, atteggiamenti di autocura,
preoccupazioni alimentari, in generale verso particolari atteggiamenti
salutisti, polarizza l’attenzione su fatti personali; sono vissuti come atti
che dovrebbero garantire la salute in maniera distaccata da quella degli altri.
Sono talvolta il frutto di frustrazioni egocentriche che si approfondiscono nel
tempo e impediscono rapporti aperti e generosi. Ogni persona è libera di
scegliere propri modelli di vita, gestendone le conseguenze; non può però
essere trascurato che tra queste ultime vi sono incomprensioni che rallentano
la relazione con altri.
Gentilezza. Tutte le caratteristiche
indicate sopra hanno un denominatore comune per essere esercitate; è una dote
dell’animo che caratterizza la scelta di fondo di porsi davanti all’altro con
la volontà di ascoltare ed essere ascoltati senza prevaricazione, insistenza,
desiderio di potere. Chi è gentile è sempre attento a come l’altro si avvicina
e pronto a modificare il proprio atteggiamento per farsi accettare, compiendo
piccoli atti che assumono grande importanza quando l’altro è solo. Chi è
gentile potrà talvolta essere incompreso e dolersene, però il suo atteggiamento
contribuisce sempre ad aprire strade per la relazione che allontana la
solitudine. In alcuni casi la gentilezza è premessa per la dolcezza, modo di
essere che, ad esempio nella famiglia, permette di continuare nel tempo
rapporti di affetto che aiutano anche a superare le crisi.
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