Addio
a Zygmunt Bauman, teorico della “società liquida”
Il 9 gennaio
é morto a Leeds, a 91 anni, Zygmunt Bauman, sociologo polacco di origini
ebraiche. Acuto studioso della società postmoderna, le sue teorie sulla
“società liquida” circa il modo di vivere dell’uomo moderno e la sua percezione
della realtà lo avevano reso celebre tra
gli intellettuali del panorama internazionale.
Nato a Poznan, in Polonia, il 19
novembre 1925 da una famiglia di origini ebree, Bauman, a seguito all’invasione
del suo Paese da parte delle truppe naziste all’inizio della Seconda Guerra
mondiale, fu costretto da adolescente a fuggire con i genitori in Unione
Sovietica e arruolarsi a in un corpo di volontari per combattere contro i
nazisti. Finita la guerra, tornò nel suo Paese e iniziò a studiare sociologia
all’Università di Varsavia. La laurea avviene in pochi anni.
Nel 1968, fu costretto nuovamente ad
emigrare in seguito a un’epurazione antisemita messa in atto dal governo
polacco; si rifugiò prima in Israele, dove insegnò all’Università di Tel Aviv,
poi in Gran Bretagna dove, dal 1971 al 1990, fu professore di sociologia
all’Università di Leeds, di cui era emerito finora insieme a quella di
Varsavia.
Autore di moltissimi libri, famosi
anche in Italia, Bauman ha sempre concentrato le sue riflessioni su temi
rilevanti per la società e la cultura contemporanea: dall’analisi della
modernità e postmodernità, al ruolo degli intellettuali, fino ai più recenti
studi sulle trasformazioni della sfera politica e sociale indotti dalla
globalizzazione.
In una intervista concessa ad
ottobre a Stefania Falasca per Avvenire, l’ultima della sua vita, Bauman
commentava pure l’esplosione di nazionalismi, identitarismi religiosi che
segnano il momento attuale: “Il nostro mondo contemporaneo – diceva – non vive
una guerra organica ma frammentata. Guerre d’interessi, per denaro, per le
risorse, per governare sulle nazioni. Non la chiamo guerra di religione, sono
altri che vogliono sia una guerra di religione. Non appartengo a chi vuole far
credere che sia una guerra tra religioni. Non la chiamo neppure così. Bisogna
stare attenti a non seguire la mentalità corrente. In particolare la mentalità
introdotta dal politologo di turno, dai media, da coloro che vogliono
raccogliere il consenso, dicendo ciò che loro volevano ascoltare”.
“In un mondo permeato dalla paura,
questa penetra la società”, affermava il sociologo al quotidiano della CEI. “La
paura ha le sue radici nelle ansietà delle persone e anche se abbiamo delle
situazioni di grande benessere, viviamo in una grande paura. La paura di
perdere posizioni. Le persone hanno paura di avere paura, anche senza darsi una
spiegazione del motivo. E questa paura così mobile, inespressa, che non spiega
la sua sorgente, è un ottimo capitale per tutti coloro che la vogliono
utilizzare per motivi politici o commerciali. Parlare così di guerre e di
guerre di religioni è solo una delle offerte del mercato”.
Nessun commento:
Posta un commento