NEL CANTIERE
DEL TEMPO E
DEL MONDO,
CON CURA E SENZA PAURA
Prendersi cura del mondo nuovo che sta nascendo,
di ALESSANDRO
ZACCURI
Mai eccedere nello zelo, intimava il principe di Talleyrand. E almeno una
volta all’anno, nel passaggio fra dicembre e gennaio, viene istintivo dargli
ragione. Troppi propositi che si affastellano, troppe aspettative che rischiano
di rimanere deluse. Vogliamo scegliere un augurio, uno soltanto per il 2017 in
arrivo? Bene, facciamolo parafrasando Talleyrand: surtout pas trop de nostalgie.
Non che ci sia niente di male, nel coltivare un po’ di rimpianto verso il
passato. Purché sia un po’, e purché passi in fretta.
La nostalgia, al contrario, sembra essere diventata il sentimento unico
di quella parte del mondo che, con una certa ingenuità, si ostina a credere di
rappresentare il mondo intero. Accada quel che deve accadere, ma giù le mani
dai nostri ricordi. Il problema riguarda principalmente – ma non esclusivamente
– i baby boomers occidentali: i sessantenni d’America e i cinquantenni d’Europa,
che ormai sono disposti a provare nostalgia di tutto, dalle sfilate di moda
negli anni Ottanta al gracchiare dei modem negli anni Novanta. Non sono loro,
però, ad aver inventato questa particolare attitudine nei confronti del
passato.
Già nel 1949, di ritorno dal suo viaggio negli Stati Uniti, Jean Cocteau
si stupiva di come in quella società esistesse una bizzarra propensione a
considerare classico ciò che era accaduto da pochi giorni, a volte addirittura
da pochi minuti. Una forma di nostalgia istantanea che da allora non ha mai
smesso di dimostrarsi remunerativa sul piano commerciale (il collezionismo, le
rievocazioni, le riproposte in edizione limitata), ma della quale sarebbe
sbagliato sottovalutare la portata politica. Perché nulla, in questo momento, è
più politico della nostalgia. Nessuna virtù civile, di conseguenza, è più
necessaria della memoria.
I due termini non sono affatto sinonimi, nonostante insistano sullo
stesso oggetto, che è per l’appunto il passato. Tanto una – la memoria – è
vitale e disponibile alla riflessione, tanto l’altra – la nostalgia – è
irriducibile al ragionamento e incrollabile nel pregiudizio. Era meglio prima:
ecco qual è il motto universale della nostalgia, la parola d’ordine di ogni
populismo, il programma riconosciuto di ogni restaurazione. Lo dimostrano le
forze che si fronteggiano in queste ore sulla scena internazionale: da una
parte lo zarismo implicito della Russia putiniana, dall’altra l’ambiguità degli
Stati Uniti, con il presidente uscente Obama che si lascia travolgere dal
rimpianto per quello che poteva essere e non è stato (è questo, in fondo, il
senso della battuta sulla vittoria, del tutto ipotetica, nel caso di un
impossibile terzo mandato) e il suo successore, Donald Trump, che del buon
tempo andato ha fatto sin dall’inizio la propria bandiera (nel suo slogan
elettorale, Make America Great Again,
le parole più importanti erano le ultime due, 'grande' e 'di nuovo').
La nostalgia non è la memoria, dunque, ma la paralisi della memoria, una
sua degenerazione. Che in apparenza mette a repentaglio il futuro, ma in
effetti porta a ignorare il presente. Un 2017 non nostalgico potrebbe essere,
semplicemente, un anno intero dedicato a comprendere che cosa sta succedendo
nel mondo, senza chiudere gli occhi davanti agli orrori che pure esistono, ma
anche senza trincerarsi dietro la deprecazione per partito preso. Il mondo, a
dispetto di quello che pensano i vagheggiatori di un passato inesistente, non è
mai stato un posto del tutto confortevole e se oggi crediamo di saperla lunga
rispetto ai drammi della storia è soltanto perché qualcuno ci ha già raccontato
com'è andata a finire. Anche il 2016 è stato qualcosa di
più interessante e più complesso rispetto al susseguirsi di decessi eccellenti
da cui i media sono rimasti stregati. È vero abbiamo perso tanti artisti negli
ultimi mesi, ma se davvero vogliamo onorare la loro opera dobbiamo smettere di
rimpiangerli, dobbiamo sottrarci al ricatto della nostalgia.
Non per cinismo, non perché la vita va avanti e non abbiamo tempo da
perdere. No, il proposito da fare è un altro: prendersi cura del mondo nuovo
che sta nascendo, evitando di stupirci quando non riusciamo a comprenderlo, di
farci terrorizzare da chi non vuole che accada, di demotivarci nell’impegno per
renderlo più umano. Ma non sarebbe nuovo, se non risultasse anche misterioso.
In fondo, non cedere alla nostalgia significa non cedere alla paura.
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