giovedì 12 gennaio 2017

A PROPOSITO DI AUTORITÀ'. formale o reale?

UN'AUTORITÀ 
CHE STUPISCE

        Perché Gesù insegnava con un’autorità che «stupiva» e conquistava, e invece gli scribi e i dottori della legge potevano solo imporre leggi ma «non entravano nel cuore del popolo»? La meditazione di Papa Francesco durante la messa celebrata a Santa Marta martedì 10 gennaio è stata tutta improntata a rilevare le differenze tra l’«autorità reale» dell’uno e l’«autorità formale» degli altri. Un confronto eloquente, che porta a riflettere sul rischio che quanti sono chiamati a «insegnare la verità» possano cadere nella tentazione del «clericalismo» invece di seguire la strada della «vicinanza alla gente».
          Il Pontefice ha preso spunto da una parola tratta dal vangelo del giorno (Marco, 1, 21-28) nel quale «si dice che la gente era stupita». Perché, si è chiesto, questo «stupore»? «Per il modo in cui Gesù insegnava» ha risposto, aggiungendo che egli «insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi, cioè i dottori della legge». Tutta quella gente, infatti, insegnava, «ma non entrava nel cuore del popolo» e perciò non aveva «autorità».
       L’autorità, ha precisato il Papa, è un tema ricorrente nel Vangelo. In particolare, quella di Gesù si ritrova «messa in questione, tante volte» proprio dai dottori della legge, dai farisei, dai sacerdoti e dagli scribi: «Ma con quale autorità tu fai questo? Diteci! Tu non hai autorità per fare questo! Noi abbiamo l’autorità!». Al fondo della questione, ha spiegato Francesco, c’è «il problema dell’autorità formale e dell’autorità reale». Mentre scribi e farisei «avevano autorità formale», Gesù «aveva un’autorità reale». Ma, ha aggiunto, «non perché fosse un seduttore». Infatti, se è vero che Gesù portava un «insegnamento nuovo», è anche vero che «Gesù stesso disse che lui insegnava la legge fino all’ultimo puntino». La novità rispetto ai dottori della legge era che «Gesù insegnava la verità, ma con autorità».
       A questo punto, è importante capire «dov’è la differenza di questa autorità». Il Papa ha cercato di chiarirlo spiegandone le caratteristiche. «Prima di tutto — ha detto — l’autorità di Gesù era un’autorità umile: Gesù insegnava con umiltà». La sua era una dimensione di «servizio», tant’è che egli «consiglia lo stesso ai suoi discepoli: “I capi delle nazioni le opprimono, ma tra voi non sia così. Il più grande sia come quello che serve: si faccia il più piccolo; e quello sarà il grande”». Gesù, quindi «serviva la gente, spiegava le cose perché la gente capisse bene: era al servizio della gente.        Aveva un atteggiamento di servitore, e questo dava autorità». Al contrario, i dottori della legge, «avevano una psicologia da principi». E pensavano: «Noi siamo i maestri, i principi, e noi insegniamo a voi. Non servizio: noi comandiamo, voi obbedite». Perciò, anche se la gente ascoltava e rispettava, «non sentiva che avessero autorità su di loro». Gesù, invece, «mai si è fatto passare come un principe: sempre era il servitore di tutti e questo è quello che gli dava autorità».
      Un secondo «atteggiamento dell’autorità di Gesù», ha aggiunto il Papa, «era la vicinanza». Lo si legge nel vangelo: «Gesù era vicino alla gente, era in mezzo alla gente», e la gente stessa, «non lo lasciava andare». Il Signore «non aveva allergia alla gente: toccare i lebbrosi, i malati non gli faceva ribrezzo». E questo «essere vicino alla gente», ha sottolineato Francesco, «dà autorità».
Il paragone con dottori, scribi e sacerdoti è evidente: questi «si allontanavano dalla gente, nel loro cuore disprezzavano la gente, la povera gente, ignorante», amavano distinguersi, passeggiando «nelle piazze, ben vestiti, con il mantello di lusso». Essi, ha spiegato il Pontefice, «avevano una psicologia clericalistica: insegnavano con un’autorità clericalistica». Gesù invece «era vicinissimo alla gente» e ciò gli dava autorità.
      A tale riguardo, il Papa ha ricordato la vicinanza alle persone «che aveva il beato Paolo vi». Un esempio, ha detto, si può trovare «nel numero 48 dellaEvangelii nuntiandi», dove si riconosce «il cuore del pastore vicino: è lì l’autorità di quel Papa, la vicinanza».
       Riprendendo le fila del discorso, Francesco ha riassunto le caratteristiche dell’autorità di Gesù e ha ricordato che innanzitutto «il capo è quello che serve». In proposito ha spiegato che Gesù «capovolge tutto, come un iceberg. Dell’iceberg si vede il vertice; invece Gesù capovolge e il popolo è su e lui che comanda è sotto e da sotto comanda». In secondo luogo c’è la «vicinanza». E infine c’è una «terza differenza» rispetto ai dottori della legge: la «coerenza». Gesù, ha rimarcato il Papa, «era coerente, viveva quello che predicava. C’era come una unità, un’armonia fra quello che pensava, sentiva, faceva». Cosa non riscontrabile nell’atteggiamento di scribi e farisei: «La loro personalità era divisa al punto che Gesù consiglia ai suoi discepoli: “Fate quello che vi dicono, ma non quello che fanno”. Dicevano una cosa e ne facevano un’altra». Gesù spesso li definisce ipocriti. E «uno che si sente principe, che ha un atteggiamento clericalistico, che è un ipocrita, non ha autorità. Dirà le verità, ma senza autorità. Invece Gesù, che è umile, che è al servizio, che è vicino, che non disprezza la gente e che è coerente, ha autorità». Ed è questa, ha aggiunto il Pontefice riferendosi anche ai giorni nostri, «l’autorità che sente il popolo di Dio».
       Un’autorità che stupisce e conquista. Per far capire bene questo concetto, il Papa, a conclusione dell’omelia, ha richiamato anche la parabola del buon samaritano, che è «figura di Gesù», e ha brevemente riassunto il noto passo evangelico. «C’è quell’uomo lì, picchiato, bastonato, lasciato mezzo morto sulla strada dai briganti». E quando passa il sacerdote, «fa un giro perché c’è il sangue e pensa: “La legge dice che se io tocco il sangue rimango impuro... no, no, me ne vado”». Quando dopo di lui passa il levita, probabilmente pensa: «Se io mi immischio in questo, domani dovrò andare in tribunale, rendere testimonianza, e domani ho tante cose, devo... no, no, no…». E se ne va.
         Poi arriva il samaritano, «un peccatore, di un popolo diverso», il quale invece «ha pietà di quest’uomo e fa tutto quello che noi sappiamo». Ma, ha aggiunto Francesco, nella parabola «c’è un quarto personaggio: il locandiere», che — ecco l’aggancio con l’intera meditazione del Pontefice — «è rimasto stupito; stupito non tanto dalle ferite di quel povero uomo, perché lui sapeva che su quel cammino, su quella strada i briganti c’erano»; e neanche per l’atteggiamento del sacerdote e del levita, «perché li conosceva e sapeva come era il modo di procedere». Il locandiere è «stupito per quel samaritano» di cui non capiva la scelta. Forse pensava: «Ma, questo è pazzo! Ma è anche straniero, non è ebreo, è un peccatore... Ma questo è pazzo, io non capisco!».
         «Questo — ha concluso il Papa — è lo stupore»: lo stesso «stupore della gente» davanti a Gesù, «perché la sua autorità era un’autorità umile, di servizio, era un’autorità vicina alla gente ed era un’autorità coerente».

(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVII, n.7, 11/01/2017)

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