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sabato 1 febbraio 2025

LA REDENZIONE DI GERUSALEMME

Presentazione del Signore

Ml 3,1-4; Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc 2,22-40

 

Commento di Ester Abbatista

In questa domenica si celebra la festa della presentazione di Gesù al Tempio. Luca è molto attento a descrivere gli atti importanti che seguono la nascita di un figlio nella fede ebraica.

Dopo otto giorni, la circoncisione (berit milà): «Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù» (Lc 2,21). E, successivamente, dopo il tempo della purificazione, la presentazione del primo figlio maschio al Tempio per il riscatto (pidion haben), secondo la Torah: «Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella Torah del Signore: “Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore” – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la Torah del Signore».

Il tutto avviene quindi in osservanza della Torah, e più precisamente secondo quanto è scritto nel Levitico: «L’ottavo giorno si circonciderà il prepuzio del bambino. Poi ella [la madre] resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione» (Lv 12,3-4).

Inoltre è proprio il testo del Levitico che ci informa sul fatto che l’offerta di una coppia di tortore o colombi è segno che la coppia non era ricca: «Quando i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia saranno compiuti, porterà al sacerdote all’ingresso della tenda del convegno un agnello di un anno come olocausto e un colombo o una tortora in sacrificio per il peccato. (…) Se non ha mezzi per offrire un agnello, prenderà due tortore o due colombi: uno per l’olocausto e l’altro per il sacrificio per il peccato. Il sacerdote compirà il rito espiatorio per lei ed ella sarà pura» (Lv 12,6-8).

All’interno di questa descrizione, che fa vedere come i genitori di Gesù agiscano in tutto e per tutto secondo la fede ebraica, Luca pone due figure di anziani che si trovano allo stesso tempo nel Tempio: Simeone e Anna. In comune, oltre all’età avanzata, i due hanno il fatto che sono in attesa, che sperano in qualcosa.

Il primo, Simeone – dice il testo – «aspettava la consolazione d’Israele»; la seconda, Anna, aspettava «la redenzione di Gerusalemme». Ambedue vedono in questo bambino la realizzazione delle loro attese e speranze. Simeone, mosso dallo Spirito, si reca al Tempio e, preso in braccio il bambino, realizza che la sua speranza si sta compiendo. Anna, invece, che praticamente vive nel Tempio, è una profetessa e, alla vista del bambino, lo indica come la realizzazione di quello che sarà la liberazione di Gerusalemme e, conseguentemente, di tutto il popolo.

Due anziane persone, ormai prossime alla fine, risultano fondamentali nel riconoscimento di Gesù come Messia e liberatore di Israele. Che cosa permette loro tutto questo? Certo la presenza dello Spirito, per l’uno, e il dono della profezia, per l’altra; ma aggiungerei proprio la loro età, l’esperienza dei loro numerosi anni, la memoria di una storia tramandata, accolta e vissuta in prima persona: tutto questo è futuro. È ciò che permette loro di intra-vedere il futuro, di riconoscerne i segni, di annunciarne la venuta.

È forse questo uno dei tanti messaggi che questo bellissimo testo può offrirci: la memoria, la storia, come esperienza vissuta e tramandata, non è qualcosa che appartiene al passato, ma è la porta di accesso al nostro futuro, la lente attraverso cui possiamo intra-vederlo, riconoscerlo, accoglierlo. Senza storia, senza memoria, non solo non c’è futuro, ma non c’è neanche attesa, non c’è neanche speranza e, soprattutto, non c’è novità.

E andrebbe sottolineato il fatto che sia Simeone che Anna, nel rappresentare la memoria e la storia, non sono personaggi attaccati «al passato», incapaci di cambiamento, quasi morbosamente cristallizzati in un’epoca o in una comprensione dei testi e della realtà ancorata al passato; i loro occhi sono capaci di vedere il «nuovo» proprio a partire dall’«antico», cioè a leggere e interpretare le Scritture cogliendone la «novità» di Dio.

Non è forse questo quello che, anni dopo, lo stesso Gesù farà con i discepoli sulla strada verso Emmaus? Anche questi speravano e attendevano «che fosse lui a liberare Israele» e cercavano consolazione nella memoria storica racchiusa proprio ad Emmaus, ma ciò che mancava loro era la capacità di intra-vedere, a partire proprio dalla storia, dalla memoria delle Scritture, quel «nuovo» di Dio di cui senza saperlo erano stati testimoni.

Alla fine, anche i loro occhi si sono aperti e il futuro è apparso loro, ma questo è stato possibile solo quando hanno saputo guardare alla memoria vera, a quella storia che Dio aveva costruito con il suo popolo, alle Scritture: «E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc 24,27).

Il Regno

 


domenica 7 marzo 2021

I MERCANTI NEL TEMPIO


Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere

 + Dal Vangelo secondo Giovanni- Gv 2,13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà». Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo. Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù. Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

 Il commento di Paolo Morocutti al Vangelo del 7 marzo 2021  

Se Gesù fosse stato indifferente ai mercanti nel tempio avrebbe dimostrato un amore verso di noi pavido e distaccato, ma poiché la misura dell’amore si rivela dalla passione, egli non ha esitato a mostrare la sua santa ira per rivelarci che il prezzo pagato per la nostra salvezza è la sua stessa vita donata sulla croce

In questa terza Domenica di quaresima la Chiesa ci offre la possibilità di riflettere su una pagina di Vangelo che conosciamo molto bene e che rimane facilmente impressa nell’animo umano. Il Gesù mite e umile di cuore che pensavamo di conoscere, perché racchiuso e circoscritto nella nostra fallace immaginazione, sale a Gerusalemme e trova seduti sulle cattedre del tempio i cambiamonete, acceso dallo zelo per la casa di Dio scaccia con durezza i mercanti dal tempio. Un Gesù apparentemente irriconoscibile, addirittura inconciliabile con quello che spesso ci siamo costruiti e immaginati.

A tale proposito Joseph Ratzinger, pensando probabilmente a questo brano del Vangelo ha affermato: “Un Gesù che sia d’accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Scrittura, ma una sua miserabile caricatura. Una concezione del Vangelo dove non esista più la serietà dell’ira di Dio, non ha niente a che fare con il Vangelo biblico”.

Parole forti e profondissime che in questo tempo di quaresima devono farci riflettere sulla vera immagine del Figlio di Dio, così come ce lo rivela la Scrittura e non come vorremmo che fosse secondo il nostro comodo pensare. Occorre tuttavia riflettere anche sull’errore opposto a quello evidenziato da Joseph Ratzinger, cioè quello di far ricadere sulla persona di Gesù il monito di un Dio vendicativo e senza scrupoli. Il Vangelo chiarisce in modo sublime il modo di agire di Gesù quando afferma: “lo zelo per la tua casa mi divorerà”. Al centro del Vangelo di oggi non c’è l’ira di Dio, che è soltanto una logica conseguenza di quanto sta accadendo, ma c’è lo zelo, la passione, l’amore ardente per la causa di Dio. Soltanto chi ama o chi ha amato veramente qualcuno può comprendere fino in fondo queste parole.

L’amore per qualcuno quando è vero, sincero e onesto, non può lasciare indifferenti davanti all’oltraggio dell’amato. “Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo farò risorgere”.

Il corpo di Gesù è stato di fatto distrutto sulla croce. Egli lo ha consegnato volontariamente fino alla fine, fino alle estreme conseguenze. Chi mercanteggia e fa del culto a Dio un mercimonio, mercanteggia il corpo di Cristo. Quante volte nella nostra vita spirituale la logica del “do ut des” guida il rapporto con Dio, alla passione prevale il calcolo, alla carità il tornaconto. Se Gesù fosse stato indifferente ai mercanti nel tempio avrebbe dimostrato un amore verso di noi pavido e distaccato, ma poiché la misura dell’amore si rivela dalla passione, egli non ha esitato a mostrare la sua santa ira per rivelarci che il prezzo pagato per la nostra salvezza è la sua stessa vita donata sulla croce.

 Agensir

sabato 3 marzo 2018

GESU' SCACCIA I MERCANTI DAL TEMPIO -Vangelo della terza domenica di Quaresima

Es 20,1-17/ 1Cor 1,22-25/ Gv 2,13-25

Nel tempio.
Volete davvero vedere la bellezza di Dio? Volete davvero lasciare la banalità della pianura per salire in alto, per innalzare l’anima? E crescere  nel discernimento fino a riconciliarvi con le bestie feroci e scoprire che gli angeli vi servono perché possiate conoscere Dio?
Sì, certo. Forse.
Perché è complesso. Perché, al di là dell’entusiasmo , innalzarsi significa faticare , camminare, penare. In montagna, sul Tabor, ci si arriva solo muovendo dei passi.
E, anzitutto, spogliandosi di tutto ciò che non ha nulla a che fare con Dio.
Così san Giovanni, birichino, pone l’episodio della purificazione del Tempio all’inizio del suo Vangelo , cosa del tutto improbabile. Un perfetto sconosciuto che fa il pazzo non sarebbe stato possibile a questo punto della vicenda.
Il messaggio che vuole lanciare il quarto evangelista è chiaro: prima di ogni altra cosa bisogna purificare il nostro cuore dall’idea che abbiamo di Dio. Un po’ come l’evangelista Marco che inizia la vita pubblica di Gesù con la guarigione dell’indemoniato nella sinagoga.
Nel tempio. Il tempio di Gerusalemme era diventato, da quando erano iniziati i lavori di ricostruzione da parte di Erode il grande, cinquant’anni prima dai fatti narrati, il nuovo punto di convergenza di tutta la fede di Israele. Decine di migliaia di pellegrini, tre volte all’anno, salivano sulle brulle colline di Galilea per offrire sacrifici al Dio si Israele.
Sacrifici cruenti, olocausti di animali di diversa taglia, come previsto dalla Torà.
Impensabile che la gente affrontasse un lungo viaggio portandosi dietro una pecora!
Ed era del tutto normale che ci fossero dei cambiavalute essendoci pellegrini che provenivano anche da altri paesi e per il fatto che nel tempio non potevano circolare le monete romane con l’effige dell’imperatore.
Perché, allora, Gesù si arrabbia così tanto? …….