La nuova politica nel tempo del nichilismo
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Unsplash
Le
ultime notizie riferiscono della decisione di Netanyahu di lanciare una nuova
fase dell’escalation, in una guerra che molti definiscono semplicemente un
genocidio, conquistando Gaza City, incurante delle proteste che ormai da tempo
si levano nell’opinione pubblica mondiale e da qualche settimana anche da parte
di governi tradizionalmente amici di Israele.
Le
prime pagine dei giornali parlano anche dell’ennesima giravolta di Trump sui
dazi, per cui ha raddoppiato fino al 50% quelli all’India per “punirla” di
avere acquistato petrolio russo, oltre a minacciare l’Unione Europea
di tornare al 35% se non cede alle sue richieste di investimenti.
Siamo
davanti a scelte gravissime che, anche per le motivazioni, l’atteggiamento e il
tono con cui vengono compiute e comunicate al mondo, non si possono far
rientrare nelle categorie tradizionali della politica internazionale, neppure
nelle sue forme più ciniche.
Mai
era accaduto che con tanta evidenza e tracotanza si facesse appello alla
propria superiorità militare ed economica per imporre ad altri Stati e ad altri
popoli la propria volontà.
La
diplomazia del passato poteva essere accusata di ipocrisia, quando esibiva
giustificazioni a volte puramente formali per mascherare giochi sostanziali di
potere; ma c’è una sincerità che, nei rapporti internazionali come in
quelli personali, è in realtà arroganza e mancanza di rispetto.
E
c’è qualcosa di ancora più grave. Chi cerca di nascondere l’immoralità dei
propri piani riconosce pur sempre un valore alla morale. Chi si
vergogna di comportamenti che ledono la dignità e i diritti altrui, appartiene
ancora ad un ambito relazionale in cui questa dignità e questi diritti sono un
punto di riferimento indiscusso.
Anche
i teorici del diritto come espressione della forza, non hanno messo in
discussione la differenza che corre tra loro. Oggi siamo spettatori di un
mondo in cui il diritto non maschera la forza, perché si identifica con
essa. La forza stessa è il diritto.
Anche
il paragone con l’assolutismo dell’età moderna – che faceva del sovrano
l’arbitro indiscusso e indiscutibile delle sorti dei suoi sudditi e dei
rapporti con gli altri Stati – non regge. Perché il sovrano era, in
quell’ottica, l’incarnazione di valori morali e religiosi, che
legittimavano la sua autorità (anche se poi di fatto li contraddiceva), mentre
oggi questi valori sono se mai lo strumento di cui il cristiano Trump e l’ebreo
Netanyahu si servono in modo puramente strumentale per esercitare più saldamente
il loro potere.
I
costi economici e umani di una politica spudorata
Da
qui l’assoluta assenza di qualsiasi pudore nel dire e nel fare ciò che
dicono e fanno. Il Tycoon non nasconde che il suo problema sono in primo luogo
i soldi.
«Incasseremo
miliardi», ha commentato soddisfatto la sua decisione di imporre anche al
Brasile dazi del 50%. Gli Stati, i popoli, le persone, non contano
nulla. «Da Trump esigo rispetto», ha detto il presidente brasiliano Lula.
Non parlava solo a titolo personale, ma a nome dei 212 (duecentododici!)
milioni di brasiliani a cui le tariffe arbitrariamente stabilite dal capo della
Casa Bianca con un tratto di penna costeranno gravi perdite, privazioni e
forse, in molti casi, miseria.
Come
al miliardo e mezzo di indiani, impegnati in un difficile sforzo di
emancipazione da un passato di sottosviluppo e ora ricacciati indietro, per di
più con una motivazione – la “punizione” per scelte commerciali non gradite
all’America – che evidenzia la pretesa da parte di quest’ultima di una
indiscussa superiorità.
Per
altri i costi sono sicuramente anche economici, ma prima di tutto politici e
morali. Come nel caso dell’Unione Europea, trattata come una colonia e incapace
di trovare un guizzo di dignità, arrendendosi senza condizioni di fronte
alla sprezzante unilateralità con cui il presidente americano si è
arrogato il diritto di decidere i termini del cosiddetto “accordo”.
Senza
entrare nel merito della questione se ci fossero o no altre alternative sul
piano economico, lo stesso fatto che la presidente della Commissione
europea abbia dovuto recarsi a casa del suo interlocutore, per subire il
suo diktat, evidenzia un clima avvilente di subalternità.
Si
intrecciano con quelli di Trump lo stile e la linea di Netanyahu. Emblematico
il loro accordo per decidere unilateralmente le sorti del popolo palestinese.
Il presidente americano ha proposto – con un’aperta violazione del diritto
internazionale – di deportare i due milioni di abitanti di Gaza in altri paesi,
per costruire sulle macerie delle loro case, distrutte dalle bombe e dai
bulldozer israeliani, un resort internazionale di lusso.
Netanyahu
ha immediatamente ripreso con entusiasmo il progetto, traducendolo in fatti.
Allo scopo di realizzare quella che nel vecchio diritto internazionale
veniva condannata come “pulizia etnica”, ha intensificato le stragi di uomini,
donne e bambini, per convincerli a scegliere – “liberamente”, ha
sottolineato – di cambiare aria.
E
anche l’ultima decisione di occupare Gaza senza assumersene direttamente
l’amministrazione, delegata a non meglio identificate “forze arabe non
palestinesi” – ma sempre sotto il controllo militare israeliano – suppone una
soggezione degli abitanti e favorisce la prospettiva di un loro esodo.
Contemporaneamente
il governo israeliano ha accelerato, col pieno appoggio della Knesset, la
creazione di insediamenti illegali di coloni ultra-ortodossi in
Cisgiordania, a spese degli abitanti palestinesi, distruggendo le loro
case e uccidendo chi resiste.
Una
mossa molto significativa, perché implica perfino la rinunzia a giustificare la
violenza coprendola con la fragile foglia di fico della lotta contro i
terroristi di Hamas (la Cisgiordania appartiene all’Autorità Palestinese,
nemica di Hamas, e che riconosce lo Stato ebraico), sbandierata per Gaza.
Ora,
con l’occupazione della Striscia e la prospettiva dell’imminente annessione
della Cisgiordania, ai governi europei, che hanno sempre ripetuto come un
mantra la soluzione dei due Stati, non resta che prendere atto del fatto
compiuto.
E
in questo caso l’ipocrisia potrà essere molto utile per spiegare ad
un’opinione pubblica ultimamente sempre più indignata per il comportamento di
Israele, come mai in questi quasi due anni le democrazie occidentali non
abbiano mosso un dito per fermare questa evidente politica di conquista e i
quotidiani massacri ad essa legati, accettando per buone le formule ripetute da
Netanyahu come «Israele ha il diritto di difendersi» e «l’aggressore è stato
Hamas».
Lo
sfondo ideologico del nuovo modo di fare politica
Se
Trump e Netanyahu, invece, non hanno bisogno di essere ipocriti è perché ormai
stabiliscono loro cosa è vero e giusto, ciò che è falso e ingiusto. Non si
può spiegare questo salto di qualità solo con circostanze di
fatto. Siamo davanti a una radicale svolta culturale, su cui è il caso di
riflettere, invece di limitarsi a indignarsi.
Da
molto tempo si parla di un profonda crisi dell’Occidente, che non è solo
di ordine economico e politico, ma ha anche una portata spirituale e
intellettuale, perché colpisce la visione della realtà, della vita e dei valori
propria della tradizione cristiana. Questa crisi ha avuto nel nichilismo
di Friedrich Nietzsche la sua espressione più radicale. E dalla tentazione
del nichilismo, più o meno consapevolmente, la nostra società da allora è
costantemente insidiata.
Concetti
come quelli di verità, di bene, di progresso storico, strettamente legati
al primato della realtà, che Nietzsche ha rimesso in discussione, hanno avuto –
non solo tra i filosofi, ma nella coscienza diffusa – un declino che tutti
possiamo constatare. Dell’inevitabile smarrimento che ne è derivato,
soprattutto fra i giovani, ha parlato ampiamente Umberto Galimberti nel suo
noto libro «L’ospite inquietante».
Lo
stile politico di Trump, col suo riflesso in quella di Netanyahu, è lo sbocco
finale di questa deriva verso il nulla. E noi ne siamo sorpresi solo
perché non ci ricordiamo delle pagine in cui Nietzsche esalta la figura
dell’«oltre-uomo», il solo capace di staccarsi dal modello codificato di umano
e di prendere coscienza che nessun “essere” precostituito limita la sua
«volontà di potenza», per cui egli può andare «al di là del bene e del male»,
ricreando secondo i propri insindacabili criteri l’ordine di valori.
Trump
e Netanyahu sono la squallida parodia di questo personaggio, e ne rivelano
tutte le demenziali contraddizioni, per cui esso, piuttosto che
«oltre-umano», si rivela tragicamente sub-umano. Però questo
significa che essi sono solo il punto d’arrivo di una storia in cui tuttala
nostra civiltà è coinvolta. Perciò non possiamo cavarcela demonizzandoli
come “mostri”.
E
del resto a metterci in guardia da questa facile soluzione è il fatto che essi
hanno – anche in Italia – i loro accaniti sostenitori. Segno di quanto il
clima culturale che li ha prodotti sia ancora presente e diffuso.
La
sfida è accettare di interrogarsi sul rapporto che lega tanti nostri modi di
pensare e di vivere apparentemente “innocenti” alla logica
dell’autoreferenzialità, della competitività senza freni, della pretesa di
essere misura del vero e del falso, del bene e del male, che in Trump e
in Netanyahu si è pienamente manifestata mostrando tutto il suo
significato.
Valorizzando,
piuttosto, i germi positivi che ci rendono reattivi contro questo modello
distorto e stanno alla base delle tante manifestazioni di protesta contro
di loro. Riusciremo a fare questo discernimento, non in Trump e in
Netanyahu, ma in noi stessi?