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venerdì 8 agosto 2025

IL DIRITTO E LA FORZA

 La nuova politica nel tempo del nichilismo


Immagine che contiene cielo, aria aperta, inquinamento, Disastro

Il contenuto generato dall'IA potrebbe non essere corretto.

Foto di Emad El Byed su Unsplash

-di  Giuseppe Savagnone 

Le ultime notizie riferiscono della decisione di Netanyahu di lanciare una nuova fase dell’escalation, in una guerra che molti definiscono semplicemente un genocidio, conquistando Gaza City, incurante delle proteste che ormai da tempo si levano nell’opinione pubblica mondiale e da qualche settimana anche da parte di governi tradizionalmente amici di Israele.

Le prime pagine dei giornali parlano anche dell’ennesima giravolta di Trump sui dazi, per cui ha raddoppiato fino al 50% quelli all’India per “punirla” di avere acquistato petrolio russo, oltre a minacciare l’Unione Europea di tornare al 35% se non cede alle sue richieste di investimenti.

Siamo davanti a scelte gravissime che, anche per le motivazioni, l’atteggiamento e il tono con cui vengono compiute e comunicate al mondo, non si possono far rientrare nelle categorie tradizionali della politica internazionale, neppure nelle sue forme più ciniche.

Mai era accaduto che con tanta evidenza e tracotanza si facesse appello alla propria superiorità militare ed economica per imporre ad altri Stati e ad altri popoli la propria volontà. 

La diplomazia del passato poteva essere accusata di ipocrisia, quando esibiva giustificazioni a volte puramente formali per mascherare giochi sostanziali di potere; ma c’è una sincerità che, nei rapporti internazionali come in quelli personali, è in realtà arroganza e mancanza di rispetto.

E c’è qualcosa di ancora più grave. Chi cerca di nascondere l’immoralità dei propri piani riconosce pur sempre un valore alla morale. Chi si vergogna di comportamenti che ledono la dignità e i diritti altrui, appartiene ancora ad un ambito relazionale in cui questa dignità e questi diritti sono un punto di riferimento indiscusso. 

Anche i teorici del diritto come espressione della forza, non hanno messo in discussione la differenza che corre tra  loro. Oggi siamo spettatori di un mondo in cui il diritto non maschera la forza, perché si identifica con essa.  La forza stessa è il diritto.

Anche il paragone con l’assolutismo dell’età moderna – che faceva del sovrano l’arbitro indiscusso e indiscutibile delle sorti dei suoi sudditi e dei rapporti con gli altri Stati – non regge. Perché il sovrano era, in quell’ottica, l’incarnazione di valori  morali e religiosi, che legittimavano la sua autorità (anche se poi di fatto li contraddiceva), mentre oggi questi valori sono se mai lo strumento di cui il cristiano Trump e l’ebreo Netanyahu si servono in modo puramente strumentale per esercitare più saldamente il loro potere. 

I costi economici e umani di una politica spudorata

Da qui l’assoluta assenza di qualsiasi pudore nel dire e nel fare ciò che dicono e fanno. Il Tycoon non nasconde che il suo problema sono in primo luogo i soldi. 

«Incasseremo miliardi», ha commentato soddisfatto la sua decisione di imporre anche al Brasile dazi del 50%. Gli Stati, i popoli, le persone, non contano nulla. «Da Trump esigo rispetto», ha detto il presidente brasiliano Lula. Non parlava solo a titolo personale, ma a nome dei 212 (duecentododici!) milioni di brasiliani a cui le tariffe arbitrariamente stabilite dal capo della Casa Bianca con un tratto di penna costeranno gravi perdite, privazioni e forse, in molti casi, miseria. 

Come al miliardo e mezzo di indiani, impegnati in un difficile sforzo di emancipazione da un passato di sottosviluppo e ora ricacciati indietro, per di più con una motivazione – la “punizione” per scelte commerciali non gradite all’America – che evidenzia la pretesa da parte di quest’ultima di una indiscussa superiorità.

Per altri i costi sono sicuramente anche economici, ma prima di tutto politici e morali. Come nel caso dell’Unione Europea, trattata come una colonia e incapace di trovare un guizzo di dignità, arrendendosi senza condizioni  di fronte alla sprezzante unilateralità con cui il presidente americano si è arrogato il diritto di decidere i termini del cosiddetto “accordo”.

Senza entrare nel merito della questione se ci fossero o no altre alternative sul piano economico, lo stesso fatto che la presidente della Commissione europea abbia dovuto recarsi a casa del suo interlocutore, per subire il suo diktat, evidenzia un clima avvilente di subalternità.

Si intrecciano con quelli di Trump lo stile e la linea di Netanyahu. Emblematico il loro accordo per decidere unilateralmente le sorti del popolo palestinese. Il presidente americano ha proposto – con un’aperta violazione del diritto internazionale – di deportare i due milioni di abitanti di Gaza in altri paesi, per costruire sulle macerie delle loro case, distrutte dalle bombe e dai bulldozer israeliani, un resort internazionale di lusso. 

Netanyahu ha immediatamente ripreso con entusiasmo il progetto, traducendolo in fatti. Allo scopo di realizzare quella che nel vecchio diritto internazionale veniva condannata come “pulizia etnica”, ha intensificato le stragi di uomini, donne e bambini, per convincerli a scegliere –  “liberamente”, ha sottolineato – di cambiare aria.

E anche l’ultima decisione di occupare Gaza senza assumersene direttamente l’amministrazione, delegata a non meglio identificate “forze arabe non palestinesi” – ma sempre sotto il controllo militare israeliano – suppone una soggezione degli abitanti e favorisce la prospettiva di un loro esodo.

Contemporaneamente il governo israeliano ha accelerato, col pieno appoggio della Knesset, la creazione di insediamenti illegali di coloni ultra-ortodossi in Cisgiordania, a spese degli abitanti palestinesi, distruggendo le loro case e uccidendo chi resiste.

Una mossa molto significativa, perché implica perfino la rinunzia a giustificare la violenza coprendola con la fragile foglia di fico della lotta contro i terroristi di Hamas (la Cisgiordania appartiene all’Autorità Palestinese, nemica di Hamas, e che riconosce lo Stato ebraico), sbandierata per Gaza.

Ora, con l’occupazione della Striscia e la prospettiva dell’imminente annessione della Cisgiordania, ai governi europei, che hanno sempre ripetuto come un mantra la soluzione dei due Stati, non resta che prendere atto del fatto compiuto.

E in questo caso l’ipocrisia potrà essere molto utile per spiegare ad un’opinione pubblica ultimamente sempre più indignata per il comportamento di Israele, come mai in questi quasi due anni le democrazie occidentali non abbiano mosso un dito per fermare questa evidente politica di conquista e i quotidiani massacri ad essa legati, accettando per buone le formule ripetute da Netanyahu come «Israele ha il diritto di difendersi» e «l’aggressore è stato Hamas».

Lo sfondo ideologico del nuovo modo di fare politica

Se Trump e Netanyahu, invece, non hanno bisogno di essere ipocriti è perché ormai stabiliscono loro cosa è vero e giusto, ciò che è falso e ingiusto. Non si può spiegare questo salto di qualità solo con circostanze di fatto. Siamo davanti a una radicale svolta culturale, su cui è il caso di riflettere, invece di limitarsi a indignarsi. 

Da molto tempo si parla di un profonda crisi dell’Occidente, che non è solo di ordine economico e politico, ma ha anche una portata spirituale e intellettuale, perché colpisce la visione della realtà, della vita e dei valori propria della tradizione cristiana. Questa crisi ha avuto nel nichilismo di Friedrich Nietzsche la sua espressione più radicale. E dalla tentazione del nichilismo, più o meno consapevolmente, la nostra società da allora è costantemente insidiata. 

Concetti come quelli di verità, di bene, di progresso storico, strettamente legati al primato della realtà, che Nietzsche ha rimesso in discussione, hanno avuto – non solo tra i filosofi, ma nella coscienza diffusa – un declino che tutti possiamo constatare.  Dell’inevitabile smarrimento che ne è derivato, soprattutto fra i giovani, ha parlato ampiamente Umberto Galimberti nel suo noto libro «L’ospite inquietante».

Lo stile politico di Trump, col suo riflesso in quella di Netanyahu, è lo sbocco finale di questa deriva verso il nulla. E noi ne siamo sorpresi solo perché non ci ricordiamo delle pagine in cui Nietzsche esalta la figura dell’«oltre-uomo», il solo capace di staccarsi dal modello codificato di umano e di prendere coscienza che nessun “essere” precostituito limita la sua «volontà di potenza», per cui egli può andare «al di là del bene e del male», ricreando secondo i propri insindacabili criteri l’ordine di valori.

Trump e Netanyahu sono la squallida parodia di questo personaggio, e ne rivelano tutte le demenziali contraddizioni, per cui esso, piuttosto che «oltre-umano», si rivela tragicamente sub-umano. Però questo significa che essi sono solo il punto d’arrivo di una storia in cui tuttala nostra civiltà è coinvolta. Perciò non possiamo cavarcela demonizzandoli come “mostri”. 

E del resto a metterci in guardia da questa facile soluzione è il fatto che essi hanno – anche in Italia – i loro accaniti sostenitori. Segno di quanto il clima culturale che li ha prodotti sia ancora presente e diffuso. 

La sfida è accettare di interrogarsi sul rapporto che lega tanti nostri modi di pensare e di vivere apparentemente “innocenti” alla logica dell’autoreferenzialità, della competitività senza freni, della pretesa di essere misura del vero e  del falso, del bene e del male, che in Trump e in Netanyahu si è pienamente manifestata mostrando tutto il suo significato. 

Valorizzando, piuttosto, i germi positivi che ci rendono reattivi contro questo modello distorto e stanno alla base delle tante manifestazioni di protesta contro di loro. Riusciremo a fare questo discernimento, non in Trump e in Netanyahu, ma in noi stessi?

www.tuttavia.eu

 

martedì 17 dicembre 2024

LA FORTEZZA


 "Elogio 

della virtù 

chiamata fortezza"


di ENZO BIANCHI

 

 È difficile oggi parlare delle virtù. Pensiamo subito a una lettura moralistica, perché non si comprende più la virtù come habitus che fa parte della formazione del carattere. In realtà, la virtù è la dimensione stabile e evidente degli aspetti più profondi della persona dal punto di vista psicologico, morale e spirituale.

Non è una virtù teologale, dono dall’alto, ma è qualcosa che si può acquisire con la ricerca, l’esercizio, e dando costanza nel tempo a atteggiamenti e azioni finalizzate a compiere il bene. 

Oggi, dobbiamo riconoscerlo, una delle più gravi carenze nella paideia, nell’educazione, è nell’approccio alle virtù. 

Ma tra le virtù alle quali si bada poco, possiamo dire che la fortezza è ancora una virtù, la terza virtù cardinale secondo la tradizione filosofica e teologica occidentale? 

Forse oggi è misconosciuta perché termine troppo imparentato con “forza”? O forse in reazione a una certa lettura di Nietzsche e del suo “uomo forte”? Eppure in passato la fortezza era considerata la virtù per eccellenza. Era la virtù “condizione necessaria di tutte le virtù”. Era ritenuta indispensabile per una vita bella, buona, felice, degna di essere vissuta, era sentita come determinante. Solo con la fortezza si può firmiter operari, operare in modo saldo, rimuovendo gli ostacoli perché l’azione decisa abbia corso e abbia buon esito. 

Come si può costruire una famiglia se non c’è questa virtù della fortezza nei genitori e in modo specifico nel padre? I figli che crescono hanno bisogno di sentire e vedere la possibilità di aderire a qualcosa di sicuro, di saldo. E come si può governare una comunità senza essere “forti” ? Come si può contrastare la forza che aggredisce e tenta di distruggere senza persone forti che con discernimento sappiano lottare e difendersi? Ed è proprio nella capacità della lotta che la virtù della fortezza deve esercitarsi, nel sustinere, cioè nella resistenza anche lunga e faticosa. 

Il contrario della persona forte non è il pauroso ma l’impotente, che nella sua paralisi ad operare lascia fuoriuscire la violenza che lo abita per rovesciarla fuori di sé. 

Proprio per mancanza di fortezza diventerà un traditore lasciando agli altri il lavoro sporco e nascondendo così la sua incapacità anche a opporsi alla persona forte. 

Dove manca la fortezza fiorisce l’omertà, si omette la cura, la giustizia non può essere esercitata per l’arroganza di chi possiede potenza, il silenzio complice di chi non vuole vedere vince su ogni compassione. Troppi elogi della fragilità vengono celebrati oggi ma la fragilità è un grido che chiede aiuto, cura, interessamento di persone forti, non di persone complici della diffusa astenia. 

Vorrei infine ricordare come la virtù della fortezza sia il fondamento della speranza. Perché colui che sa sperare lo può fare tenendo i piedi su un terreno solido per poi lanciarsi in avanti, può sperare sul fondamento di cose certe e mai da solo ma insieme agli altri.

 

Alzogliocchiversoilcielo

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