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venerdì 29 agosto 2025

IL PIU' DEGNO

 


Commento al Vangelo

 della XXII domenica 

del T.O (Lc 14,1.7-14)


Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. […] 7Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: 8«Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, 9e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. 10Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. 11Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato». 12Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. 13Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; 14e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

 Commento di Giulio Michelini

Rispetto alla pagina del vangelo della domenica precedente, il lezionario ha omesso alcuni versetti, quelli in cui si legge che «si avvicinarono a Gesù alcuni farisei, dicendogli “Parti e vattene di qui, perché Erode vuole ucciderti”» (Lc 13,31), ovvero il fatto che probabilmente i farisei stiano tentando di aiutare Gesù, mettendolo in guardia da un imminente pericolo. Per alcuni interpreti, però, si tratterebbe solo di una mossa politica dei farisei, e non di un atto che esprime la loro cura.

Anche nella pagina di oggi compaiono i farisei, in una situazione che ricorre altre volte nel Terzo vangelo: Gesù si trova a pranzo con loro. Da qui prende l’avvio l’azione, costruita con una tecnica narrativa abilissima, quella del racconto nel racconto. Prima di vederne alcuni elementi, però dobbiamo osservare che anche dalla pagina del lezionario odierno sono stati espunti alcuni versetti (i vv. 2-6), riguardanti una disputa sul sabato – che viene letta in altre domeniche dell’anno liturgico.

Il racconto nel racconto è un classico espediente letterario. L’esempio moderno più noto è forse quello della tragedia Amleto, di William Shakespeare, nella quale per smascherare lo zio omicida, Amleto fa rappresentare alla corte di Danimarca, da una compagnia teatrale di passaggio, l’uccisione del re, proprio padre.

Luca costruisce in modo abile la pericope. Anzitutto vi è una introduzione (v. 1), nella quale è spiegata la situazione, e dove si descrive l’atteggiamento dei farisei che osservano Gesù. Segue la disputa sul sabato che, si è detto, è omessa dal lezionario di oggi (vv. 2-6). Vi è poi la parabola sugli invitati o i primi o ultimi posti (7-13), e infine un insegnamento all’ospite, su chi invitare a pranzo o a cena.

Il setting della pagina è dunque duplice: è un sabato, così come vi sono diversi altri sabati nel racconto dei sinottici, durante i quali spesso avvengono incidenti o discussioni. Si noti che – come anche John Paul Meier ha ben sottolineato nel suo quarto volume di Un ebreo marginale, tutto dedicato al rapporto tra Gesù e la Legge – mai il Signore ha violato il Sabato. In discussione, pertanto, da parte di (alcuni?; una frangia di?) farisei vi è il modo in cui Gesù crede di poterlo osservare. Così, come in altre situazioni, in gioco non è la Torah stessa, ma l’applicazione pratica di alcuni suoi precetti. Ma qui non si tratta solo di un sabato, perché, come si è visto, il setting del vangelo di oggi è anche quello di un banchetto.

Il banchetto è molto presente nei vangeli, e, come si è visto, sono caratteristici del Terzo vangelo quelli preparati per Gesù dai farisei. Ricordiamo, per rimanere a Luca, il banchetto in cui Levi prepara un pasto a Cafarnao per Gesù e gli altri esattori delle tasse (cap. 5); al capitolo 7 vi è poi il primo banchetto organizzato dai farisei per Gesù. Segue quello che possiamo definire il “banchetto messianico” o della “moltiplicazione”, preparato – questa volta da Gesù stesso – coi pani e i pesci, al cap. 9. Un’altra scena importante che coinvolge la tavola è quella del capitolo decimo, dove Gesù si trova con le due sorelle Marta e Maria, e discute con la prima della sua distratta diaconia. Vi è poi un secondo banchetto organizzato dai farisei, al cap. 11, e poi l’ultimo, dove sono sempre i farisei a invitare Gesù, quello del lezionario di oggi, al cap. 14. Il vangelo di Luca termina, poi, con la grande scena di Gesù che, tavola, spezza il pane (un banchetto?) per i due di Emmaus, al cap. 24.

Quante cose accadono a tavola, e soprattutto alla tavola con Gesù: sembra di essere di fronte a un simposio greco, quando – ci dicono i testi e gli inni simposiali – non ci si accontentava di consumare un pasto, ma, dopo aver mangiato, si puliva la tavola, si portava del vino buono, e si iniziava a discutere di vari argomenti e si proclamavano versi o si facevano giochi. Lo stesso avviene (questa volta con la partecipazione anche delle donne, non presenti nel modello greco) nel convivium romano, che prevedeva anch’esso un banchetto, e discussioni a tavola.

Particolarmente noto è il banchetto di cui si parla, per quanto riguarda i testi neotestamentari, nella Prima lettera di Paolo ai Corinzi, nel quale, al capitolo undicesimo, non solo abbiamo la più antica attestazione di una celebrazione della cena del Signore, ma essa sembra inserita nel modello di un simposio di stile ellenistico. Segnalo, a tal riguardo, uno dei commenti più utili su questa pagina, il volume di Romano Penna, La cena del Signore. Dimensione storica e ideale (San Paolo, 2015).

Se torniamo al nostro testo, ecco che vi entriamo nel nucleo, e notiamo che mentre sono i farisei ad osservare Gesù, è lo stesso Signore che, in quell’occasione, ha la possibilità di fornire insegnamenti e compiere gesti. Gesù racconta la parabola degli invitati a tavola perché vede come gli invitati – in quella situazione – prendono i primi posti. Può sembrare un’osservazione banale, ma sembra di capire che il vangelo abbia a che fare proprio con la vita normale, con le situazioni feriali di tutti i giorni, con le piccole cose, come il sedersi a tavola…

Naturalmente, Gesù non si limita a tale osservazione, ma si preoccupa poi di aiutare il suo ospite a prendersi cura non solo dei suoi pari, ma anche dei poveri, per poter poi essere ricompensato da loro nei cieli. Il fatto che in questa domenica, dedicata alla Custodia del creato, ricorra questa pagina ci interpella. Come insegna la dottrina sociale della Chiesa e si legge anche nella Laudato si’ di papa Francesco, non è giusto che solo alcuni possano avere l’intera parte di un banchetto, mentre i poveri non riescono a sedersi alla tavola dell’abbondanza che Dio ha preparato per tutti, solo perché ne vengono esclusi.

 Alzogliocchiversoilcielo

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venerdì 13 ottobre 2023

INVITATI ALLA FESTA


 * Anche se invitati alla festa non tutti vanno *

 - Vangelo :  Mt 22,1-14

 1 Gesù riprese a parlare ai farisei con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: «Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!». 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze». 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. 12Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

   Commento di Enzo Bianchi

Ecco la terza parabola pronunciata da Gesù nel tempio di Gerusalemme e indirizzata ai capi dei sacerdoti e alle guide religiose che avevano contestato la sua autorità nella predicazione e nell’operare il bene (cf. Mt 21,23-27). È una parabola strettamente collegata con la precedente, quella dei vignaioli malvagi (cf. Mt 21,33-43), perché il tema di fondo è lo stesso: il rifiuto opposto al Signore della vigna o al Re che offre il banchetto. Questa parabola è stata a lungo letta nella tradizione cristiana come condanna di Israele, il popolo scelto da Dio, che non avendo riconosciuto in Gesù il Messia inviatogli da Dio stesso, non può che essere castigato insieme alla città di Gerusalemme consegnata alle fiamme e alla distruzione.

 Ora, quando Matteo mette per iscritto questo racconto, Gerusalemme è stata distrutta dai romani nel 70 d.C., e tale evento sembrava “autorizzare” l’interpretazione della catastrofe giudaica come punizione inviata da Dio. Ma dobbiamo essere intelligenti e vigilanti: questa parabola, non a caso scritta nel Vangelo e indirizzata alla comunità cristiana, riguarda noi, noi che ci diciamo cristiani, chiamati da Dio personalmente alla fede e al banchetto del Regno. Di fronte a questa chiamata che il Signore sempre rinnova, siamo pronti ad accedere al banchetto, senza dilazioni, o invece opponiamo alla sua parola molte ragioni personali, per non ascoltarla? E se partecipiamo al banchetto, vi andiamo mutando la veste del nostro comportamento, in una vera conversione, o invece finiamo per mentire con ipocrisia, entrando nell’alleanza con il Signore senza aver operato un reale cambiamento del nostro habitus vivendi?

 Sono domande che dobbiamo assolutamente porci, per poter comprendere bene questa parabola e non finire per sentirci giudici degli altri, spioni del loro comportamento, persone rigide che, abituate a spiare gli altri, sono cieche verso se stesse. Ascoltiamo dunque umilmente questo racconto che ci vuole svelare qualcosa che accade di fronte alla venuta del regno dei cieli. Un re vuole celebrare le nozze di suo figlio con un grande banchetto. Invia dunque i suoi servi a chiamare alla festa gli invitati, ma questi, anziché sentirsi onorati, non rispondono alla chiamata e non danno segni di volerla cogliere. Allora il re invia altri servi ad annunciare agli invitati: “Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Dunque, non una ma due volte il re ripete l’invito e dichiara che tutto è pronto e che il banchetto così sontuoso non può essere dilazionato.

 Basterebbe questa parte della narrazione per ricevere dalla parabola un messaggio. Agli ascoltatori di Gesù era facile comprendere, per la conoscenza della profezia veterotestamentaria (cf., per esempio, Is 25 6-10), che egli stava parlando dell’unione nuziale tra il Messia il suo popolo e che Gesù stesso era lo Sposo, come aveva rivelato ai discepoli e ai farisei, dichiarando che quello era il tempo della presenza dello Sposo in vista delle nozze ormai vicine (cf. Mt 9,15). Ma ecco il rifiuto: il dono di Dio non è accolto e tutti disertano le nozze. Quel Re, però, è il Signore misericordioso, paziente, capace di makrothymía, di attendere e di sentire in grande, per questo invia una terza volta i suoi servi a rinnovare l’invito. Nell’intenzione di Gesù questi sono forse i profeti o i missionari da lui inviati alla comunità di Israele? In ogni caso, gli invitati rispondono con delle giustificazioni, rifiutando ancora una volta l’invito: hanno campi da lavorare, poderi da sorvegliare, commerci da realizzare… Non solo non rispondono positivamente ma, come offesi da quell’invito reiterato, insultano gli inviati, li cacciano e li perseguitano fino ad ucciderne alcuni! Superficialità, trascuratezza, mancanza di discernimento di chi non stima il dono ricevuto, possono trasformarsi addirittura in violenza e aggressività, quando il dono è rinnovato gratuitamente, ancora e ancora!

 Per Matteo questa era la realtà della missione cristiana verso la fine del primo secolo, una realtà che permetteva una comprensione profonda della parabola. Ecco in verità cosa hanno scelto quegli invitati, sordi alla parola del Signore: hanno scelto vie di morte, e ciò viene espresso con uno stile orientale, che ci può anche scandalizzare se non decodifichiamo le parole dette da Gesù come avvertimento, ammonizione per gli ascoltatori. In quest’ottica, il re che manda i servi a distruggere con il fuoco la loro città (Gerusalemme), è una visione ammonitrice, non una realtà avvenuta, perché Dio ha pazienza, non castiga, ma resta pur vero che ognuno sceglie la via della morte o della vita: ciascuno è libero di scegliere verso dove incamminarsi, non è Dio che ve lo destina!

 Ma la parabola continua con un altro invio, perché il banchetto nuziale va comunque celebrato e festeggiato. Questa volta l’ordine dato ai servi è di andare lungo le strade, ai crocicchi, dove stanno i pellegrini, i viandanti, i mendicanti, gli “scarti”. Così la sala del banchetto si riempie non degli invitati, degli eletti del Signore chiamati personalmente da lui, ma di coloro che non erano mai sembrati degni a nessuno di partecipare a una festa, a un banchetto nuziale. Entrano nella sala giusti e ingiusti, buoni e cattivi, tutti resi degni dalla misericordia del Signore: è un pranzo dove si trovano insieme il buon grano e la zizzania, i pesci buoni e i pesci cattivi (cf. Mt 13,24-30.47-50). Questa raccolta pare proprio il risultato della missione della chiesa presso le genti, presso i pagani, quelli che non erano stati né eletti nei chiamati da Dio, dall’epoca di Abramo fino a quell’ora di pienezza dei tempi, in cui Cristo era venuto in mezzo agli umani. Nella sua redazione di questa parabola, Luca precisa che quanti sono fatti entrare nella sala delle nozze sono “i poveri, gli storpi, i ciechi, gli zoppi” (Lc 14,21), cioè gli emarginati, gli scarti umani, che prendono il posto dei primi invitati. Accade – come aveva detto Gesù – che prostitute e pubblicani precedono nel Regno gli uomini religiosi, osservanti (cf. Mt 21,31).

 Quando la sala è piena, ecco giungere il re, che si mette a salutare gli invitati dell’ultima ora. Passando dall’uno all’altro, nota che uno di loro non ha l’abito nuziale. Cosa significa questo? Per noi non è facile comprendere la reazione del re, che lo caccia fuori dalla sala nelle tenebre di morte. Ma forse possiamo capire meglio questo particolare, se ricordiamo gli usi dei banchetti nuziali di quel tempo. All’entrata nella sala, ciascun invitato riceveva in dono uno scialle da mettersi sulle spalle come segno di festa. Ebbene, il re nota che uno degli invitati è privo di questo scialle: certamente questo dono gratuito gli era stato offerto, ma egli lo aveva rifiutato.

 In altri termini, di fronte al dono immeritato e sorprendente dell’invito al banchetto, di fronte a quel dono dell’abito che significava la sua volontà di “cambiarsi”, di mutare comportamento, egli ha opposto un rifiuto. Quell’abito gratuito era un onore per l’ospite, un dono da accogliere con stupore e gratitudine, e invece egli ha detto “no”. Insomma, quest’uomo ha accolto l’invito a nozze, ma poi ha deciso che tale invito non significava nulla per lui e che egli non era assolutamente capace di accettare quel dono: era una persona autosufficiente, stava bene nella sua situazione e non aveva alcun desiderio di mutare. Ecco allora che il re lo butta fuori, non può fare altrimenti. Non la sua indegnità lo ha escluso, ma il suo non discernere il dono, il suo non accogliere la misericordia del Signore. Quest’uomo non doveva meritare l’invito, ma doveva cambiare mentalità e comprendere che l’amore di Dio è gratuito, è grazia: basta accoglierlo con gioia, come un bambino accoglie il dono del regno di Dio (cf. Mt 18,3).

 Questa parabola, giocata sulla dialettica tra dono e responsabilità, ci svela una verità che non sempre sappiamo comprendere: la grazia è il dono tra i doni, ma il suo prezzo è l’accoglierla liberamente e per amore. L’abito donato ma rifiutato da quell’invitato significa nient’altro che il prezzo della grazia. Scriveva in proposito Dietrich Bonhoeffer:

 Grazia a caro prezzo è il tesoro nascosto nel campo, per amore del quale l’uomo va a vendere con gioia tutto ciò che aveva; la pietra preziosa, per il cui valore il mercante dà tutti i suoi beni; … la chiamata di Gesù Cristo, per cui il discepolo abbandona le reti e si pone alla sua sequela. Grazia a caro prezzo è il Vangelo, che si deve sempre di nuovo cercare, il dono che si deve sempre di nuovo accogliere … È a caro prezzo, perché ci chiama alla sequela; è grazia, perché chiama alla sequela di Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l’uomo l’acquista al prezzo della propria vita; è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita; è a caro prezzo, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore.

 A tutti noi questa parabola pone dunque una semplice domanda. Di fronte alla chiamata di Dio al Regno, chiamata in Gesù Cristo che si rinnova ogni giorno, qual è la mia risposta? Indifferenza, non ascolto o pretesa di una giustizia e di meriti che non possiedo?

 

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