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venerdì 20 dicembre 2024

ALBERO o PRESEPE ?



Lo storico del cristianesimo Cassese ripercorre la felice convergenza nella tradizione tra le statuine di origine mediterranea e le fronde decorate di ascendenza nordeuropea. 




-di Michele Cassese 

 Anche stavolta, con il ritorno del Natale, assistiamo alle solite diatribe sul presepe. Viene spontaneo pensarle come parte anch’esse, ormai, delle tradizioni natalizie. Allestirlo o no, nelle scuole che vedono ormai una buona parte degli alunni avere un’appartenenza religiosa non cristiana, o non averla affatto? Fare il presepe per obbligo di legge, come aveva proposto una senatrice, e sanzionare i dirigenti scolastici inadempienti? O delegare la scelta all’autonomia decisionale dei singoli istituti scolastici, sancita dalle norme italiane? È in gioco la cultura italiana o la laicità dello Stato? E, in una prospettiva più ampia, la formazione degli studenti include o esclude la dimensione religiosa? 

Proviamo a tornare sull’argomento come parte di una discussione seria e importante. Il problema, a mio parere, non va affrontato secondo un’ottica di obbligo o divieto, ma va inquadrato nell’orizzonte socio-antropologico in cui collochiamo l’espressione religiosa nella scuola. Non è banale chiedersi che valore abbia fare il presepe, o festeggiare pubblicamente la Pasqua, la fine del Ramadan, la ricorrenza del Purim o il capodanno cinese. Si avverte oggi una sensibilità nuova nell’esprimere sé stessi e nel comunicare, per cui gesti e segni acquistano per chi li compie un’importanza assai rilevante. L’uso del tricolore nei cortei o sui palazzi pubblici, la bandiera della pace sul balcone, ma anche fare un gesto di saluto o scrivere su un pezzo di carta i propri desideri sono indice del «bisogno di esprimere le cose importanti con azioni fondate sui segni e la speranza che in queste azioni la realtà cambi» (F.-J.Nocke). Quali “cose importanti” e quali speranze di cambiamento, è necessario chiedersi, sono espresse dal presepe? Ne siamo consapevoli? 

 Va ricordato che la cultura, nel suo pieno significato antropologico, comprende in sé intrinsecamente anche l’aspetto religioso, come ci hanno insegnato i nostri padri greco-latini. Religione difatti è un “rispetto rigoroso” di ciò che è tramandato dall’antico (Cicerone), un legame tra un me e un tu, una relazione con le realtà meta-fisiche o nascoste, ma anche con quelle umane, terrestri (Lattanzio). Essa è dunque espressione di un rapporto con altre realtà, avvertito come esigenza personale e sociale. 

Vorrei ricordare qui la testimonianza resa dal presidente Sandro Pertini nel 1981 a un gruppo di giovani a Selva di Val Gardena. In quell’occasione dichiarava apertamente che, pur non avendo un’appartenenza religiosa, era fiero della sua fede politica e sociale, fatta di valori per i quali aveva lottato. Perciò li invitava ad avere una propria fede, di qualsiasi segno o espressione, religiosa o meno, su cui fondare l’esistenza e per cui spendere la vita. Una tale fede va espressa anche pubblicamente come propria identità e appartenenza, e va condivisa con i concittadini, pur senza imporla, nel modo più opportuno. Laicità non è laicismo, non significa assenza di espressione religiosa, né agnosticismo, o eliminazione dal contesto pubblico della propria identità, ma possibilità di esternare sé stessi, i propri punti di riferimento, ed è di conseguenza accoglimento, da parte della società, di ogni specificità. 

 Tale visione plurale è sostenuta dalla nostra Costituzione (Art.8), che attesta la libertà di organizzazione e manifestazione per le confessioni religiose diverse da quella cattolica. È un principio importante nella realtà multiculturale e multireligiosa italiana e di altri Paesi europei, in cui si è fatta oggi più rilevante la presenza di donne e uomini, provenienti da altre culture religiose, che vivono l’esigenza di esprimersi pienamente, sia pur in integrazione e sintonia «con l’ordinamento giuridico italiano» e «le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» (Art. 10). 

Questa libertà di manifestazione religiosa dovrebbe estendersi anche all’ambiente scolastico, lasciandone agli organi della scuola l’organizzazione, in una programmazione il più inclusiva possibile. 

 Quindi non limitiamoci a promuovere nella scuola la libertà per la parte cattolica di allestire il presepe e l’albero di Natale. Osserviamo come l’albero, pur presente fin dai primi secoli del cristianesimo, è stato valorizzato soprattutto dal Nord Europa, e particolarmente dalla tradizione protestante. Ciò non ci ha impedito negli ultimi due secoli di cooptarlo con spontaneità nella nostra cultura del Sud dell’Europa, più legata alla tradizione cattolica. Ciò permette la coesistenza – anche in molte nostre chiese – dell’albero natalizio, simbolo di Cristo Luce del mondo, e del presepe, espressione scenica della venuta di Cristo come Salvatore, proposta 9 secoli fa da Francesco d’Assisi e fatta propria da tutto il mondo cattolico. Due sensibilità religiose cristiane diverse si manifestano insieme a Natale, due segni, propri di diverse culture, possono essere affidati a ogni nuova generazione come veicoli di ‘cose importanti’ e di speranza. 

 Come i cristiani festeggiano le loro ricorrenze religiose, così anche gli altri scolari e studenti dovrebbero poter fare memoria e celebrare una festa della loro tradizione religiosa. Ciò permetterebbe di far conoscere ai propri compagni ciò che è “importante” nella loro cultura, e quali sono le loro speranze. Chi professa la fede ebraica potrebbe proporre una delle sue grandi feste, come la Pasqua, il Capodanno o il giorno dell’espiazione (Purim). Gli islamici potrebbero festeggiare il “Piccolo o Grande Bayram”, la “festa della fine del digiuno”, o quella della nascita di Maometto; gli induisti la festa “Makar Sankranti” o “Pongal”, i buddisti la festa della nascita o dell’illuminazione di Budda, i cinesi il loro Capodanno; per gli africani sarebbe interessante trovare una forma per festeggiare l’“Essere Supremo” o gli antenati defunti. Certamente le modalità vanno studiate e preparate, in una programmazione a lungo termine, accurata e partecipata. Niente sarebbe più dannoso che un affastellarsi di feste, in cui il folklore prevalesse sulla trasmissione di significati. 

 Si potrebbe così contribuire in modo rilevante alla formazione umana e “culturale” degli studenti. I ragazzi sperimenterebbero la libertà di manifestazione della sensibilità e identità religiosa apprese nelle famiglie d’origine; e diverrebbe possibile conoscere in modo esperienziale la cultura altrui e il valore della diversità, che non è annullamento delle singole identità culturali e religiose, quanto educazione al rispetto, arricchimento reciproco e soprattutto ampliamento di orizzonti culturali: tutti compiti specifici della scuola. 

 Per i cristiani protestanti e cattolici, infine, sarebbe una messa in atto di quel dialogo interreligioso a cui essi fortemente si rifanno; mentre per i cattolici in particolare sarebbe un esercizio di fedeltà all’insegnamento del Concilio Vaticano II (cfr. Nostra Aetate) e alle indicazioni spirituali e pastorali di papa Francesco (cfr. Fratelli tutti, n. 271). 

 Fonte: Avvenire 

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sabato 8 dicembre 2018

IL PRESEPE E L'ALBERO PER VIVERE LA FESTA DELLA NASCITA DI GESÙ

     
 Papa Francesco: " ... L’albero e il presepio sono due segni che non finiscono mai di affascinarci; ci parlano del Natale e ci aiutano a contemplare il mistero di Dio fattosi uomo per essere vicino a ciascuno di noi. L’albero di Natale con le sue luci ci ricorda che Gesù è la luce del mondo, è la luce dell’anima che scaccia le tenebre delle inimicizie e fa spazio al perdono. L’abete rosso che quest’anno è collocato in Piazza San Pietro, proveniente dalla foresta del Cansiglio, ci suggerisce un’ulteriore riflessione. Esso, con la sua altezza di oltre venti metri, simboleggia Dio che con la nascita del suo Figlio Gesù si è abbassato fino all'uomo per innalzarlo a sé ed elevarlo dalle nebbie dell’egoismo e del peccato. Il Figlio di Dio assume la condizione umana per attirarla a sé e farla diventare partecipe della sua natura divina e incorruttibile.
       Il presepio, posto al centro della Piazza, è realizzato con la sabbia jesolana, originaria delle Dolomiti. La sabbia, materiale povero, richiama la semplicità, la piccolezza e anche la fragilità – come ha detto il Patriarca - con cui Dio si è mostrato con la nascita di Gesù nella precarietà di Betlemme.
         Ci potrebbe sembrare che questa piccolezza sia in contraddizione con la divinità, tant’è vero che qualcuno, fin dall’inizio, l’ha considerata solo un’apparenza, un rivestimento. Invece no, perché la piccolezza è libertà. Chi è piccolo – in senso evangelico – non solo è leggero, ma anche è libero da ogni smania di apparire e da ogni pretesa di successo; come i bambini che si esprimono e si muovono con spontaneità. Tutti noi siamo chiamati ad essere liberi davanti a Dio, ad avere la libertà di un bambino davanti a suo padre. Il Bambino Gesù, Figlio di Dio e nostro Salvatore, che deponiamo nel presepe, è Santo in povertà, piccolezza, semplicità, umiltà.
        Il presepio e l’albero, simboli affascinanti del Natale, possano portare nelle famiglie e nei luoghi di ritrovo un riflesso della luce e della tenerezza di Dio, per aiutare tutti a vivere la festa della nascita di Gesù. Contemplando il Dio Bambino che sprigiona luce nell'umiltà del presepe, possiamo diventare anche noi testimoni di umiltà, tenerezza e bontà".