C'INTERROGA
Lo psichiatra:
«I giovani responsabili
dei femminicidi
temono il coraggio delle ragazze».
intervista a Paolo Crepet
a
cura di Roberta Scorranese
Paolo Crepet, gli ultimi due femminicidi, quelli di Ilaria Sula e di Sara Campanella, hanno sconvolto il Paese.
«Purtroppo,
è uno schema che ricorre: l’impotenza di uomini che non sono capaci di
fronteggiare i propri limiti e così uccidono una donna, una donna che spesso
ripone in loro fiducia. E che quasi sempre le vittime di questa impotenza siano
le donne ormai mi pare un dato di fatto».
In
entrambi i casi, colpisce la sensazione di «invisibilità» del femminicida, che
spesso non sembra tale. Che cosa ne pensa?
«Come
nel caso tragico di Giulia Cecchettin, anche qui abbiamo due ragazze che
inseguivano un sogno: la laurea, un lavoro soddisfacente, l’esperienza dello
studio fuori sede. Io lo chiamo coraggio, ma dobbiamo chiederci: quanto la
nostra società invita al coraggio e quanto, invece, predilige la mediocrità? Un
giovane uomo che non ha un sogno forte, che galleggia nella sua inconcludenza,
che non ha spesso lo stesso coraggio delle donne non è invisibile».
Dunque,
secondo lei, non bisogna fare attenzione soltanto a quelli che manifestano
segnali di violenza?
«Esatto.
Attenzione anche ai mediocri, perché chi non coltiva un orizzonte spesso
nasconde il vuoto e il vuoto è spaventoso. Il problema è che oggi nutriamo
questo vuoto, lo celebriamo, addirittura, in certi casi. Quasi venticinque anni
fa l’Italia venne sconvolta dalla vicenda di Novi Ligure: anche in quel caso i
protagonisti sembravano ragazzi normali. Lo scrissi allora e lo ripeto oggi:
non siamo capaci di ascoltarli».
Le
famiglie da sole non ce la fanno. E così si torna a parlare dell’educazione
affettiva nelle scuole.
«Un’illusione.
Non vedo come il fare una o due ore alla settimana di educazione affettiva
possa scardinare una cultura, ahimè, millenaria e sbagliata e pericolosa, che è
quella maschilista. Una volta, quando facevo ancora psicoterapia, una mia
paziente finì in ospedale perché picchiata dal compagno. Il padre di lei la
raggiunse al Pronto Soccorso e le chiese: “Che cosa gli hai fatto per spingerlo
a ridurti così?”. Vede, io penso che non abbiamo il coraggio di guardare in
faccia la realtà e che ci lanciamo ogni giorno in una fuga dalle
responsabilità. Lo dico da padre di una giovane donna: se non riusciamo a
chiedere ai nostri figli nemmeno “Come stai?” di che cosa stiamo parlando?».
Non
siamo capaci di ascoltarli perché il divario generazionale è aumentato?
«Questa
storia che parliamo linguaggi diversi è ridicola. Io parlavo dei Beatles, mia
madre di Mina e mio padre di Mozart. È sempre stato così, solo che una volta i
bambini delle elementari non andavano a scuola con il trolley. Una volta ti
insegnavano che la scuola è fatica, che il lavoro è fatica, che l’amore stesso
è una fatica. Se non insegniamo ai più giovani che ogni cosa ha un peso, un
prezzo, che comporta una parte di sudore, come possiamo pretendere che loro
stessi diano valore alle cose e alle persone?».
Faccia
un esempio.
«Facilissimo:
chiediamoci tutti quanto è durata l’ultima cena che abbiamo fatto insieme a
nostro figlio o a nostra figlia. Tredici minuti? E magari con lo smartphone
acceso? Fare domande profonde richiede coraggio, anche quello di sentirsi
rispondere con riluttanza, ma fa parte del gioco: saperli ascoltare vuol dire
mettersi in gioco ogni giorno. Creare spazio affinché si stabilisca una
connessione. Il non ascolto crea morte di per sé».
Una
morte silenziosa?
«E,
soprattutto, che ci riguarda tutti. Vorrei dirlo chiaro: questi omicidi non
toccano soltanto le famiglie delle vittime, ma tutte e tutti noi. È un problema
culturale, che ci accomuna e che ci deve unire in una risposta collettiva.
Altro che riferimenti all’etnia».
Un’ultima
domanda: Ilaria Sula è stata uccisa in casa di Mark Antony Samson, con i
genitori di lui presenti nell’appartamento. La posizione di questi ultimi si fa
delicata, lei che cosa pensa?
«Penso
che lo stabilirà la magistratura, non è mio compito commentare questo. Mi
limito a dire che ci sono molti punti ancora oscuri».
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