Dal Vangelo secondo Luca
Lc 3, 15-16. 21-22
Lc 3, 15-16. 21-22
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a
Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo,
Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene
colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei
sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Commento di don Fabio Rosini
Il racconto di Luca del Battesimo di Gesù
parte da un pensiero del cuore del popolo in attesa: «Forse Giovanni Battista è
il Messia?». Uno come il Battista quadra con gli schemi umani: una persona
seria, esigente, che sa richiamare le coscienze distratte, uno che sa
rimproverare. Ma lui risponde: «Io sono solo acqua, deve arrivare lo Spirito di
Dio, il suo fuoco». Un altro paio di maniche. Cosa sarà mai? Sarà un dono più
grande delle attese: il cuore degli uomini non arriva a pensare che Dio regali
la cosa a cui tiene di più. Come scoprire che qualcuno ci ha donato quello che
gli sta a cuore più di qualsiasi cosa. Capiamo chi siamo agli occhi di quella
persona, scopriamo di contare tanto per costui – se mai una cosa simile ci è
successa.
Dio non sta dicendo o chiedendo qualcosa,
ma ha aperto lo scrigno e ha regalato la cosa più bella per Lui, il motivo
della sua gioia. «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio
compiacimento». E così scopriamo anche che esiste un “compiacimento” di Dio, e
questo è uno sguardo oltre il velo dei segreti divini, dritti dritti nella vita
intima di Dio: ha un figlio che lo riempie di gioia.
È Padre – cosa tutt’altro che immediata
per la mente umana – e soprattutto è tanto felice di esserlo. Si potrebbe dire
che questa è la festa della paternità di Dio.
In una intervista recente mi è stato
chiesto cosa vorrei che fosse inciso nella scatola nera dell’umanità, se tutti
gli altri messaggi andassero persi, in una frase che esprimesse quel che
veramente conta; ho risposto: «Dio è nostro Padre». Dubitare della sua
paternità è la tragedia dell’umanità, ritrovarlo in Cristo è la nostra via
d’uscita dall’autodistruzione e il fondamento dell’amore.
Questa rivelazione, Luca precisa, accade
mentre Gesù è in preghiera.
Eravamo partiti dai pensieri del cuore
del popolo per poi avere uno squarcio di luce sul cuore di Dio Padre, e
arriviamo al cuore della preghiera di Gesù, ascoltando quel che gli è detto in
questa preghiera: il Padre parla direttamente a Lui dicendogli che è Figlio
amato e fonte di gioia.
Ma lo sente pure il popolo, perché questo
è destinato anche a noi, perché lo Spirito Santo che ora aleggia su di Lui, a
noi sarà donato dopo la sua risurrezione.
Il nostro stesso Battesimo è illuminato
da questa festa ed è il sigillo sacramentale che ci offre un’identità intessuta
dei pensieri e dei sentimenti di Cristo.
Sapere di essere figli per il Padre
celeste, e percepire la Sua tenerezza è il contenuto esistenziale del Battesimo
e il dono della preghiera. Questo è quel che c’è veramente da sapere di noi
stessi e del prossimo, e da questo sentimento ogni solitudine può terminare e
ogni paura può essere dissolta.
Abbiamo tutti bisogno che il Padre
celeste ci invii il suo Spirito, che aleggi anche su di noi come nelle acque
della creazione, per farci ricominciare mille volte dal Suo affetto e avere il
senso della preziosità della nostra vita, e l’importanza dell’esistenza di chi
ci circonda.
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