alle elementari, raccontiamogli
dei loro nonni»
di Paolo Fallai
Studiare
la storia al contrario, partendo dal Novecento alle elementari. «Altro che miti
e leggende, raccontiamogli dei loro nonni». E’ molto netto il giudizio di
Andrea Giardina, uno dei più importanti storici italiani, presidente della
Giunta centrale per gli studi storici. Giardina torna anche sull’ultima
polemica, dopo il ridimensionamento della Storia allo scritto della Maturità,
deciso dal Ministero della Pubblica istruzione: «Le tracce per i temi storici
della maturità, come sono state formulate negli ultimi dieci anni, sono
dissuasive, deterrenti, fuori dal panorama culturale. Sono tracce bizzarre che
disorientano. Inviterei gli esperti del ministero ad andare a rileggersi le
tracce di storia che sono state date ai maturandi negli ultimi 10 anni.
Avrebbero subito la risposta sul perché non sono state scelte. La loro
stranezza è l’elemento più forte. Non so se c’è una tradizione per cui chi
scegliere tracce dell’esame di maturità va a controllare cosa è stato fatto
negli anni precedenti e quindi ripropone scelte così aberranti . Comincerei a
riflettere sui criteri per stabilire a chi vengono affidate queste scelte».
Ma il problema dello studio della
storia può limitarsi all’esame?
«Il problema di fondo è come si studia la
storia, in particolare la sottovalutazione della storia contemporanea che nelle
nostre scuole è ormai cronica. Si sono fatti dei piccoli progressi negli ultimi
anni ma è la parte più sacrificata, specialmente da quando è stato tolto spazio
riducendo le ore di storia delle classi superiori. Non è un problema solo
italiano».
Quindi bisognerebbe aumentare le ore?
«Non solo. E’ il rapporto fra coscienza
civile e passato ad essersi deteriorato. Perfino quando e dove si studia la
storia, lo si fa con strumenti deboli. L’approfondimento subisce la concorrenza
dei messaggi semplificati che arrivano via web».
Ritiene che sia un problema delle
scuole superiori?
«No, la storia contemporanea dovrebbe
essere studiata precocemente. La coscienza del tempo arriva tardi nei giovani,
è un fenomeno post adolescenziale, la tendenza prevalente è quella di
appiattire il passato. Bisogna costruire percorsi in cui lo studio della storia
sia in relazione allo sviluppo delle capacità dei giovani di connettersi con la
dimensione del tempo».
Pensa che sia necessario anticipare
questo studio?
«Bisogna cominciare dalle elementari:
bisogna parlare ai bambini del presente, non somministrare loro questa
caricatura di miti, favole e leggende. Bisogna raccontare loro di quello che è
accaduto ai genitori, ai loro nonni. Per i bambini tra i nonni e Adamo ed Eva
non c’è alcuna distanza.»
Siamo alla vigilia delle iniziative
per il giorno della Memoria. Crede che stiamo facendo il possibile per
raccontare l’Olocausto e la guerra mondiale?
«Proprio in questi giorni emergono tutte
le debolezze della cultura generale del nostro paese. Nella coscienza diffusa,
così come della propaganda politica prevale la rappresentazione del buon
fascista italiano contrapposto al cattivo nazista. Il fatto che in Italia non
ci sia stata una Norimberga per i crimini di guerra fascisti può far pensare
che si tratti di una storia altrui. Purtroppo non è così: una seria autocritica
della nostra nazione non c’è mai stata, anche per responsabilità della
sinistra».
Eppure oggi i giovani hanno a
disposizione un numero di informazioni che nessuna generazione precedente ha
avuto.
«Ma è come se fossero condannati a vivere
un eterno presente, che ci viene propinato dalla rete e dai social media. Le
notizie, perfino quelle false, hanno una vita brevissima, scandita dalla
velocità con cui vengono consumate. Studiare la storia non serve solo a fornire
elementi decisivi per la conoscenza dei nostri giovani. Deve aiutarli a capire
qual è il loro posto nel mondo. Questa consapevolezza non c’è.
E tanto meno possono averla i più giovani. Come fanno a comprendere cosa vuol dire essere oggi degli italiani se non hanno la cognizione di quanto vivono in una dimensione globale. La scuola potrebbe e dovrebbe fare molto di più su questo: non c’è niente di peggio che vivere in una dimensione senza avere la coscienza di esserci».
E tanto meno possono averla i più giovani. Come fanno a comprendere cosa vuol dire essere oggi degli italiani se non hanno la cognizione di quanto vivono in una dimensione globale. La scuola potrebbe e dovrebbe fare molto di più su questo: non c’è niente di peggio che vivere in una dimensione senza avere la coscienza di esserci».
Da: Corriere della sera
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