sabato 19 gennaio 2019

STORIA. PERCHÉ' TANTO DISINTERESSE?

«Studiare storia al contrario:
 alle elementari, raccontiamogli 
dei loro nonni»
                                                                                                                                   
                           di  Paolo Fallai

Studiare la storia al contrario, partendo dal Novecento alle elementari. «Altro che miti e leggende, raccontiamogli dei loro nonni». E’ molto netto il giudizio di Andrea Giardina, uno dei più importanti storici italiani, presidente della Giunta centrale per gli studi storici. Giardina torna anche sull’ultima polemica, dopo il ridimensionamento della Storia allo scritto della Maturità, deciso dal Ministero della Pubblica istruzione: «Le tracce per i temi storici della maturità, come sono state formulate negli ultimi dieci anni, sono dissuasive, deterrenti, fuori dal panorama culturale. Sono tracce bizzarre che disorientano. Inviterei gli esperti del ministero ad andare a rileggersi le tracce di storia che sono state date ai maturandi negli ultimi 10 anni. Avrebbero subito la risposta sul perché non sono state scelte. La loro stranezza è l’elemento più forte. Non so se c’è una tradizione per cui chi scegliere tracce dell’esame di maturità va a controllare cosa è stato fatto negli anni precedenti e quindi ripropone scelte così aberranti . Comincerei a riflettere sui criteri per stabilire a chi vengono affidate queste scelte».
Ma il problema dello studio della storia può limitarsi all’esame?
«Il problema di fondo è come si studia la storia, in particolare la sottovalutazione della storia contemporanea che nelle nostre scuole è ormai cronica. Si sono fatti dei piccoli progressi negli ultimi anni ma è la parte più sacrificata, specialmente da quando è stato tolto spazio riducendo le ore di storia delle classi superiori. Non è un problema solo italiano».
Quindi bisognerebbe aumentare le ore?
«Non solo. E’ il rapporto fra coscienza civile e passato ad essersi deteriorato. Perfino quando e dove si studia la storia, lo si fa con strumenti deboli. L’approfondimento subisce la concorrenza dei messaggi semplificati che arrivano via web».
Ritiene che sia un problema delle scuole superiori?
«No, la storia contemporanea dovrebbe essere studiata precocemente. La coscienza del tempo arriva tardi nei giovani, è un fenomeno post adolescenziale, la tendenza prevalente è quella di appiattire il passato. Bisogna costruire percorsi in cui lo studio della storia sia in relazione allo sviluppo delle capacità dei giovani di connettersi con la dimensione del tempo».
Pensa che sia necessario anticipare questo studio?
«Bisogna cominciare dalle elementari: bisogna parlare ai bambini del presente, non somministrare loro questa caricatura di miti, favole e leggende. Bisogna raccontare loro di quello che è accaduto ai genitori, ai loro nonni. Per i bambini tra i nonni e Adamo ed Eva non c’è alcuna distanza.»
Siamo alla vigilia delle iniziative per il giorno della Memoria. Crede che stiamo facendo il possibile per raccontare l’Olocausto e la guerra mondiale?
«Proprio in questi giorni emergono tutte le debolezze della cultura generale del nostro paese. Nella coscienza diffusa, così come della propaganda politica prevale la rappresentazione del buon fascista italiano contrapposto al cattivo nazista. Il fatto che in Italia non ci sia stata una Norimberga per i crimini di guerra fascisti può far pensare che si tratti di una storia altrui. Purtroppo non è così: una seria autocritica della nostra nazione non c’è mai stata, anche per responsabilità della sinistra».
Eppure oggi i giovani hanno a disposizione un numero di informazioni che nessuna generazione precedente ha avuto.
«Ma è come se fossero condannati a vivere un eterno presente, che ci viene propinato dalla rete e dai social media. Le notizie, perfino quelle false, hanno una vita brevissima, scandita dalla velocità con cui vengono consumate. Studiare la storia non serve solo a fornire elementi decisivi per la conoscenza dei nostri giovani. Deve aiutarli a capire qual è il loro posto nel mondo. Questa consapevolezza non c’è.
E tanto meno possono averla i più giovani. Come fanno a comprendere cosa vuol dire essere oggi degli italiani se non hanno la cognizione di quanto vivono in una dimensione globale. La scuola potrebbe e dovrebbe fare molto di più su questo: non c’è niente di peggio che vivere in una dimensione senza avere la coscienza di esserci».


Da: Corriere della sera




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