martedì 30 gennaio 2018

NEURODIDATTICA. I "TRUCCHI" PER APPRENDERE MEGLIO

NEURODIDATTICA. NUOVE FRONTIERE PER L’INSEGNAMENTO
La ricerca nelle neuroscienze ha aperto strade interessanti per il mondo della scuola.
 Le tecniche di «teaching brain» o «learning brain» offrono benefici a studenti e anche agli insegnanti. Ma ricordandosi che l’educazione è soprattutto relazione

Ecco i trucchi per imparare con il cervello
 Ippocampo o neuroni specchio, i vantaggi per lo studio

di Pier Giorgio Rivoltella

Una pausa attiva è una piccola attività, in genere ludica e basata sulla collaborazione, che soprattutto nella scuola primaria può essere utilizzata per mantenere alta la concentrazione dei bambini. La specificità di quest’attività sta nel fatto di collocarsi in continuità con quello che si sta facendo in classe nella didattica. 
Ad esempio, se sto lavorando sulle figure piane in geometria e faccio fare ai bambini pause attive sull’origami o su altre attività di piegatura della carta, è chiaro che il momento ricreativo mantiene comunque il bambino sul tema su cui si sta lavorando. 
Il vantaggio è evidente: alleggerire il carico, divertire, ma senza interrompere l’attività di apprendimento, senza produrre distrazione. Le pause attive sono un esempio di spaced learning, di apprendimento intervallato, un’ipotesi di lavoro che trova la sua origine negli studi che le neuroscienze cognitive hanno prodotto sui ritmi dell’attenzione e sul processo della memorizzazione. Il nostro cervello, dicono i neuroscienziati, ha bisogno di andare in pausa periodicamente. E questo succede in particolare quando il numero di informazioni nuove che si stano introducendo è eccessivo. In questo caso l’ippocampo, una parte della corteccia che svolge una funzione fondamentale nella memorizzazione, va in sovraccarico e, di conseguenza, in situazione di stallo.
Qualcosa di molto simile a quello che ci capita quando stiamo lavorando su un computer un po’ vecchio e continuiamo a digitare sulla tastiera senza aspettare il feed-back del primo input: alla fine il computer si blocca. Quello che abbiamo descritto è solo uno dei tanti possibili incontri della scuola con la ricerca neuroscientifica. Una nuova frontiera di indagine e sperimentazione che si sta facendo largo un po’ ovunque nel mondo, dagli Usa alla Gran Bretagna, dalla Francia all’Italia. A Parigi, ad esempio, per iniziativa del ministro dell’Educazione Jean Michel Blanquer, è stata appena formata una commissione, composta da esperti di neuroscienze, per studiare soluzioni capaci di migliorare le tecniche di apprendimento. L’incontro tra scuola e ricerca neuroscientifica ha dato vita a un nuovo campo di ricerca che di solito si indica parlando di neuroeducazione, o di neurodidattica. Esso si occupa di due grandi ambiti di ricerca e di intervento che hanno a che fare con il cervello dell’insegnante ( Teaching Brain) e con gli apprendimenti degli studenti ( Learning Brain).
La ricerca sul cervello dell’insegnante lavora sull’uso del corpo e della voce in situazione, sul dispendio energetico durante la prestazione, sulla biochimica della relazione con lo studente, sul rapporto tra insegnamento e stress.
Riguardo a quest’ultimo tema si sarebbe portati a credere che lo stress, ........



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