NEURODIDATTICA. NUOVE FRONTIERE PER L’INSEGNAMENTO
La ricerca nelle
neuroscienze ha aperto strade interessanti per il mondo della scuola.
Le
tecniche di «teaching brain» o «learning brain» offrono benefici a studenti e
anche agli insegnanti. Ma ricordandosi che l’educazione è soprattutto relazione
Ecco i trucchi per
imparare con il cervello
Ippocampo o neuroni specchio, i vantaggi per lo studio
di Pier Giorgio Rivoltella
di Pier Giorgio Rivoltella
Una
pausa attiva è una piccola attività, in genere ludica e basata sulla
collaborazione, che soprattutto nella scuola primaria può essere utilizzata per
mantenere alta la concentrazione dei bambini. La specificità di quest’attività
sta nel fatto di collocarsi in continuità con quello che si sta facendo in
classe nella didattica.
Ad esempio, se sto lavorando sulle figure piane in
geometria e faccio fare ai bambini pause attive sull’origami o su altre
attività di piegatura della carta, è chiaro che il momento ricreativo mantiene
comunque il bambino sul tema su cui si sta lavorando.
Il vantaggio è evidente:
alleggerire il carico, divertire, ma senza interrompere l’attività di
apprendimento, senza produrre distrazione. Le pause attive sono un esempio di
spaced learning, di apprendimento intervallato, un’ipotesi di lavoro che trova
la sua origine negli studi che le neuroscienze cognitive hanno prodotto sui
ritmi dell’attenzione e sul processo della memorizzazione. Il nostro cervello,
dicono i neuroscienziati, ha bisogno di andare in pausa periodicamente. E
questo succede in particolare quando il numero di informazioni nuove che si
stano introducendo è eccessivo. In questo caso l’ippocampo, una parte della
corteccia che svolge una funzione fondamentale nella memorizzazione, va in
sovraccarico e, di conseguenza, in situazione di stallo.
Qualcosa
di molto simile a quello che ci capita quando stiamo lavorando su un computer
un po’ vecchio e continuiamo a digitare sulla tastiera senza aspettare il
feed-back del primo input: alla fine il computer si blocca. Quello che abbiamo
descritto è solo uno dei tanti possibili incontri della scuola con la ricerca
neuroscientifica. Una nuova frontiera di indagine e sperimentazione che si sta
facendo largo un po’ ovunque nel mondo, dagli Usa alla Gran Bretagna, dalla
Francia all’Italia. A Parigi, ad esempio, per iniziativa del ministro dell’Educazione
Jean Michel Blanquer, è stata appena formata una commissione, composta da
esperti di neuroscienze, per studiare soluzioni capaci di migliorare le
tecniche di apprendimento. L’incontro tra scuola e ricerca neuroscientifica ha
dato vita a un nuovo campo di ricerca che di solito si indica parlando di
neuroeducazione, o di neurodidattica. Esso si occupa di due grandi ambiti di
ricerca e di intervento che hanno a che fare con il cervello dell’insegnante (
Teaching Brain) e con gli apprendimenti degli studenti ( Learning Brain).
La
ricerca sul cervello dell’insegnante lavora sull’uso del corpo e della voce in
situazione, sul dispendio energetico durante la prestazione, sulla biochimica
della relazione con lo studente, sul rapporto tra insegnamento e stress.
Riguardo a quest’ultimo tema si sarebbe portati
a credere che lo stress, ........
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