Promozioni e bocciature, cosa c’è veramente
in gioco
di Roberto Carnero
Ma davvero la rovina della scuola
italiana è l’«ideologia dell’inclusione»? Lo ha sostenuto, con robusta
convinzione, Ernesto Galli della Loggia sul 'Corriere della Sera' di sabato 29
aprile, in un articolo in cui ha scritto che una delle massime iatture del
nostro sistema di istruzione è la tendenza a promuovere più che a bocciare.
Chi nella scuola lavora e vive
quotidianamente la fatica di un mestiere certamente difficile, ma sempre
positivamente sfidante, sa che uno dei suoi compiti principali è quello di
trovare le strade per portare gli studenti, ogni studente, al traguardo, alla
meta, cioè al raggiungimento degli obiettivi che si sono fissati in sede di
programmazione. La scuola italiana negli ultimi anni ha fatto molti passi
avanti in questo senso. Gli insegnanti hanno capito che per il successo della
propria azione formativa è necessario mettere al centro non tanto i 'programmi'
quanto i ragazzi. E chi li conosce, i ragazzi, sa che non ce n’è uno uguale a
un altro. Come del resto accade con gli adulti: ma nell’infanzia e nell’adolescenza
con dosi di fragilità per forza di cose maggiori.
Una classe scolastica - ha
scritto lo psichiatra Vittorino Andreoli - dovrebbe essere concepita come
un’orchestra musicale, in cui ciascun membro suona il proprio strumento,
diverso da quello del vicino, ma tutti cooperano alla stessa melodia. Dunque
l’inclusione è un’«ideologia» nefasta? O piuttosto è un dovere, una necessità
etica prima ancora che 'amministrativa'? Anche perché il contrario
dell’inclusione si chiama esclusione. E quest’ultima è la negazione di un vero
approccio educativo. Bisogna però capire che cosa significa veramente
includere.
Non si tratta certo di dare un
lasciapassare indiscriminato a tutti per una promozione d’ufficio all’anno
scolastico successivo. Includere vuol dire, al contrario, portare tutti i
ragazzi, o quanto meno il maggior numero di ragazzi possibile, ai cosiddetti
«obiettivi minimi», raggiunti i quali si è in grado di seguire con profitto il
successivo anno di corso. Ma questo può essere fatto, quando la situazione del
ragazzo lo richieda, anche attraverso percorsi differenziati. Per arrivare a
Roma, si possono prendere strade diverse: l’autostrada del Sole, la Via
Aurelia, la statale o la provinciale, magari anche, a piedi, un pezzo della Via
Francigena. Ma è sempre a Roma che arriviamo, sebbene magari un po’ dopo.
Forse l’unica forma di esclusione
che potremmo accettare a scuola è l’autoesclusione, quella cioè di che decide
di non impegnarsi, di non studiare, di non aderire al patto educativo. Ma dico
'forse' e uso il condizionale perché anche in questo caso, prima di pronunciare
la 'sentenza definitiva', abbiamo sempre il dovere, come docenti, di
approfondire le cause di simili atteggiamenti. Non per una forma di
giustificazionismo o di buonismo a tutti i costi, ma perché oggi la scuola è
chiamata a farsi carico della complessità del mondo che la circonda. Sono
finiti - che ci piaccia o no - i tempi di un arroccamento autoreferenziale in
cui l’istituzione scolastica faceva parte per se stessa. Quando si parla di scuola,
sono tra quanti non amano molto il concetto di 'selezione', poiché esso
presuppone a priori che ci debba essere una certa quota la quale debba rimanere
esclusa. Mi vedo anch’io come un educatore più che come il responsabile di un
ufficio del personale chiamato a 'scegliere' alcuni a scapito di altri.
Preferisco che si parli, questo
sì, di serietà e di autorevolezza. Perché la mia professionalità consiste anche
nella capacità di farmi carico delle problematiche dei ragazzi che mi sono
stati affidati. Solo a questo punto posso, in coscienza, anche decidere con i
miei colleghi, per quanto possa essere una decisione difficile e in alcuni casi
persino dolorosa, di non ammettere uno studente alla classe successiva.
Perché è vero - questo sì - che
una scuola che manda avanti tutti in modo indiscriminato per una sorta di
accomodante lassismo sarebbe una scuola non autenticamente democratica, in
quanto, a cascata, non farebbe altro che determinare il perpetuarsi delle
sperequazioni sociali. Ma ciò non è quanto accade oggi nella scuola che
conosco.
Posso assicurarlo, come posso
assicurare a Galli della Loggia e quanti ragionano come lui, che per avere
un’istruzione di ottimo livello non serve mandare i figli alle scuole straniere
o direttamente all’estero.
Nessun commento:
Posta un commento