lunedì 8 maggio 2017

COMUNICARE AL TEMPO DEL VIRTUALE








Ho visto recentemente un gruppo di ragazzini in gita scolastica e mi ha colpito il fatto che non facevano chiasso scherzando tra di loro, come accadeva quando ero ragazzino io, e neppure erano riuniti intorno a uno di loro che suonava la chitarra: stavano ognuno per conto proprio, col capo chino sui rispettivi cellulari, alla ricerca di messaggi in arrivo e impegnatissimi a mandarne a loro volta, premendo freneticamente i tasti con entrambi i pollici.
La scena è così frequente che menzionarla potrebbe essere quasi banale. Come banali sarebbero commenti della serie: «Che gioventù! Ai miei tempi…». Forse meno banale sarebbe rendersi conto che questi nostri figli non scelgono di comportarsi così: sono solo nati in un contesto sociale e culturale in cui questi mezzi di comunicazione sono diventati indispensabili per mantenersi in relazione con gli altri – compresi i loro genitori, che gliene fanno dono, mentre sono ancora piccoli, per poterli raggiungere e magari controllare quando sono fuori casa. Che poi, essendo “nativi digitali”, riescano ad usare questi mezzi con maggiore naturalezza e abilità dei loro padri e dei loro professori, non è certo una colpa. E l’utilità che ne deriva per tutti è indubbia. Non bisogna scandalizzarsi di ciò che è nuovo.
Platone, che era contrario all’avvento della scrittura – anche questa, ai suoi tempi, era una nuova tecnica comunicativa, rispetto alla trasmissione orale – ne ha tracciato nel Fedro un profilo che ne mette in luce tutti i pericoli, del resto assolutamente reali. E le sue critiche ……


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